In caso di incidente, verifiche sulle batterie e parti elettroniche da sostituire pesano sui prezzi. E gli extra ricadono sui clienti.
In caso di incidente, verifiche sulle batterie e parti elettroniche da sostituire pesano sui prezzi. E gli extra ricadono sui clienti.Da qualche mese i proprietari di vetture elettriche stanno segnalando un aumento dei costi delle polizze assicurative. E se fino a qualche tempo fa, con veramente pochi esemplari a batteria in giro per le strade, valeva il principio che andando mediamente più lente, i rischi erano inferiori a quelli di una vettura tradizionale, ora ci si sta accorgendo che, in caso d’incidente, la presenza a bordo di dispositivi elettronici da sostituire e le verifiche all’integrità della batteria principale allungano i tempi delle riparazioni e comportano spese maggiori. Tanto che dal 2020 al 2023 è stato registrato un aumento del 25-30% circa dei costi di ripristino, e giocoforza le compagnie assicuratrici hanno dovuto adeguare i premi alla situazione. In altre parole, più velocemente si impone un cambio tecnologico, più emergono in modo improvviso imprevisti da gestire. Certamente le automobili elettriche non sono tutte uguali, alcuni costruttori puntano alla maggiore comunanza di parti possibile sui vari modelli proprio per abbassare i costi di produzione e riparazione, ma a fare la differenza è il metodo costruttivo, ovvero quanti apparati e componenti sono direttamente collegati al telaio della vettura, e quanto questo è esposto a danneggiamenti anche in caso di urti che avvengano a bassa energia. Anche sulle più economiche auto a batteria sono presenti più computer, nel senso di schede elettroniche, il cui costo è superiore a quello delle componenti che trovavamo sui mezzi dotati di motore termico. Non si parla soltanto di sensori e telecamere, ormai presenti in grande numero anche su vetture convenzionali e ibride, i quali non vanno soltanto sostituiti ma anche ritarati e calibrati, ma proprio degli apparati che gestiscono la carica e la scarica dell’energia, la regolazione della potenza e quindi della marcia, eccetera. Se un tempo si riparava l’auto e l’operazione era finita con la prova di un fanale, al massimo dell’Abs, ora bisogna riconfigurare tutti i sistemi, un lavoro da tecnici specializzati, quindi addestrati e soprattutto aggiornati, parole che per le officine si tramutano in selezione delle imprese - non tutti gli esercizi sono abilitati alla riparazione di auto a batteria – e ovviamente ancora in tempi e costi. Ecco, allora, che dopo incidenti con danni notevoli sale la probabilità che il valore residuo dell’auto non renda conveniente la sua riparazione. C’è quindi un’evoluzione delle polizze che hanno cominciato a comprendere nelle condizioni di copertura non soltanto le caratteristiche dell’uso e del guidatore (inesperto, esperto, eccetera), ma anche la copertura delle stazioni di ricarica, oppure l’esclusione della batteria, facendo un distinguo se l’accumulatore è stato acquistato o noleggiato (li fornisce la casa costruttrice dell’auto), creando contratti di assicurazione dedicati a un certo marchio proprio in virtù delle particolari caratteristiche di un modello. Questo fenomeno può costituire un ostacolo alla diffusione delle auto elettriche in ambito privato poiché se non è direttamente il produttore a stipulare un accordo con l’assicuratore, la gestione del rischio porta l’automobilista a spendere molti più soldi per la copertura. Ancora una volta la soluzione è nel tempo di adattamento della filiera in termini di richiesta e formazione di personale addestrato alle nuove forme di mobilità, nella diffusione oggi limitata di sistemi di diagnosi rapida, magari applicabili a più modelli dello stesso gruppo automobilistico, e alla possibilità di semplificare il processo di riparazione delle vetture. Per esempio, nel solo Regno Unito serviranno 16.000 nuovi tecnici entro il 2035 ma non c’è ancora un sistema di formazione che possa addestrarne così tanti e rapidamente. Alcune compagnie assicuratrici, come la britannica Aviva (ma anche altre), qualche mese fa avevano scritto ai loro clienti dichiarando di non poter più assicurare un determinato modello di auto elettrica, poiché in caso di sinistro non si sarebbe potuto ripagarne il valore né la riparazione. Altre assicurazioni, come Unipol, applicano invece condizioni favorevoli se il veicolo è sempre geolocalizzabile, se sono presenti a bordo dispositivi di assistenza alla guida o di sicurezza. Così a parità di guidatore, una Hyundai Kona con batteria da 64 Kilowatt paga lo stesso premio di una Citroen C-1 a benzina nonostante abbia una potenza installata tripla. La convenienza dell’elettrico la fa il tipo di utilizzo e la regione d’immatricolazione, e qui l’esempio lo fa il Piemonte, dove con le elettriche non si paga bollo indefinitamente. C’è dunque un problema legato all’esperienza del mercato: il piccolo numero di veicoli elettrici in circolazione non permette alle compagnie di ottimizzare i premi sulla base dei reali costi delle riparazioni, e la dimostrazione del fatto che la finanza delle auto elettriche sia ancora tutta da studiare è nella decisione della società di noleggio Sixt di non proporre più la Tesla Model Y nella sua offerta, smettendo di acquistarne di nuove, seppure manterrà a catalogo altri modelli a batteria. La società ha recentemente affermato che la domanda di auto elettriche è ancora inferiore a quella dei veicoli con motore a combustione che hanno valori residui più stabili e sono più economici da acquistare, riparare e assicurare, specificando che il forte deprezzamento delle unità sottoposte a riparazione le rende meno convenienti. In questo caso, dunque, il rivoluzionario metodo di costruzione usato da Tesla – ma anche di altri marchi – si è dimostrato un plus per arrivare sul mercato a prezzo concorrenziale, ma dall’altro rappresenta un minus per talune operazioni di riparazione.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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