2024-04-20
Resa Ue: gli asset russi non si possono rubare
Naufraga la proposta di usare i beni di Mosca sequestrati per destinarli al conflitto, anche se resta l’idea di disporre solo dei proventi finanziari «straordinari». La Bce bacchetta Unicredit: dovrà cessare subito le sue attività nel Paese di Putin. Avanza con la velocità di una lumaca il piano per impadronirsi e sfruttare le attività finanziarie della banca centrale russa, tuttora sequestrate. Da quando, a fine febbraio 2022, Mario Draghi, suggerì alla segretaria al Tesoro Usa Janet Yellen di sequestrare gli asset russi depositati per la gran parte in Europa (presso il depositario centrale belga Euroclear), ogni Consiglio Europeo o riunione del G7 sembrava essere l’occasione giusta per sbloccare l’impasse. Ma la fumata bianca non è mai arrivata. Una cosa è sequestrare, cioè sottrarre provvisoriamente quei fondi alla disponibilità dei russi. Ben altra cosa è confiscare, cioè consentire ad altri di disporne, espropriandone definitivamente i russi. Significa minare i pilastri del diritto internazionale in materia finanziaria. Altro che «magia» di Draghi su Yellen, come riferì il Financial Times. Da allora la realtà è stata quella di innumerevoli riunioni del Consiglio Europeo terminate con formule interlocutorie.Come quella usata nelle conclusioni della riunione di giovedì, in cui «il Consiglio europeo accoglie con favore i progressi compiuti in merito alle proposte volte a destinare a beneficio dell’Ucraina le entrate straordinarie derivanti dai beni russi bloccati e chiede la loro rapida adozione». Dove però la novità c’è ed è pure clamorosa. Non per quello che dice, ma per quello che non dice. Infatti resta sul tavolo l’idea di poter disporre solo dei proventi finanziari «straordinari» che matureranno sugli strumenti finanziari dei russi e non si parla più di impossessarsi definitivamente dei capitali sequestrati.Differenza non banale. Infatti le due somme sono in un rapporto di 1 a 60 su base annuale, perché si ipotizzano 3 miliardi annui di proventi sui beni sequestrati. Nonostante il tentativo di considerare il valore attuale di quei proventi per i prossimi 10 o 30 anni, siamo ben lontani dai 191 miliardi di euro sequestrati. In ogni caso, tutto appare rimandato a fine maggio, al vertice di Stresa dei ministri economici del G7, quando verrà definita la proposta da portare, a giugno, sul tavolo del G7 in Puglia. Una bella patata bollente da pelare per Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni. L’ultima proposta degli Usa è quella di non trasferire questi proventi direttamente al governo ucraino, ma di usarli come garanzia per emettere bond con una leva finanziaria fino a 5/6 volte, raccogliendo sui mercati 15/20 miliardi da prestare per rimpinguare le esauste casse di Kiev. Ma anche su questa ipotesi i dubbi non mancano, soprattutto da parte della Germania che si interroga sulla sorte di questo prestito a 10 anni. Ipotesi avvalorata anche dal ministro degli Esteri britannico, David Cameron, che, mercoledì alla Camera dei Lord ha parlato di «accordo molto vicino».Proprio nelle stesse ore a Washington è stata invece Christine Lagarde ad affossare l’ipotesi della confisca che «scardinerebbe lo stato di diritto con conseguenze imprevedibili», come una fuga dall’euro da parte degli investitori internazionali. Se l’accusa ai russi è quella di aver rubato la terra agli ucraini, rispondere con un altro furto non è una buona idea, ha commentato.Di rilievo anche il commento sugli effetti sproporzionati ed asimmetrici di una simile mossa. «Voi parlate di 6 miliardi di dollari, da questa parte ne abbiamo 260. Vedo una lieve differenza». Ha continuato sottolineando che «gli Usa - dall’alto del ruolo del dollaro come moneta dominante negli scambi mondiali - potrebbero anche permettersi di violare le regole, cosa ben più difficile per l’Europa». Ha poi concluso che, in ogni caso, «è escluso l’impiego di questi fondi per finanziare lo sforzo militare di Kiev».Proprio ieri - a sottolineare quanto sia complesso l’intreccio finanziario con un’economia di rilevanti dimensioni tra i primi produttori mondiali di materie prime strategiche come gas e petrolio - l’agenzia Reuters ha riferito di una Bce pronta a chiedere a Unicredit di ridurre, fino a cessarla del tutto, la propria attività in Russia. La banca guidata da Andrea Orcel è la seconda banca occidentale a Mosca, dopo l’austriaca Raiffeisen, con 3.150 dipendenti e profitti in crescita dai 210 milioni del 2021 agli 890 del 2023 (7,7% degli utili di gruppo). Insomma, pare che la guerra ingrassi i conti. Ma ora sta per arrivare una disposizione legalmente vincolante per ridurre quelle (lucrose) attività con un calendario ben definito. L’anno scorso il capo della vigilanza Bce, Andrea Enria, si era pubblicamente lamentato della lentezza con cui sia Unicredit che Raiffeisen stavano eseguendo i piani di riduzione delle attività. Il fatto che ora le autorità tornino alla carica significa che i risultati scarseggiano. Dopo si passerà alle sanzioni, nella forma di pesanti multe. Perseverare significherebbe anche esporsi ad un discreto rischio reputazionale. L’attività della Bce è funzionale anche al rischio che le attività (reali e finanziarie) occidentali in Russia siano oggetto di un contro sequestro, come in parte già accaduto. Oggi in Ue abbiamo beni di proprietà russa sequestrati e in Russia abbiamo beni di proprietà occidentale parimenti sequestrati. Reuters ha riferito ieri che il ministero delle Finanze di Mosca ha incaricato un broker di eseguire «uno scambio di prigionieri». Gli investitori occidentali potranno scambiare i loro asset in Russia con quelli che gli investitori russi possiedono in Ue, riducendo così l’esposizione al rischio di perdere tutto. Subito sono arrivati oltre 20 tra banche e fondi (anche Usa), superando le offerte dei russi nella direzione opposta, con richieste di scambio che dovrebbero raggiungere 500 milioni di euro. Eppure sembrava tutto così facile.
Silvia Salis (Imagoeconomica)
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