2018-05-20
Il Pd non riesce neanche a litigare. L’unica decisione? I fischi a Orfini
All'assemblea contestato il presidente, nessuna votazione sulla nuova segreteria. Il reggente Maurizio Martina attacca il renzismo, ma non ha i numeri e resta lì con poteri dimezzati: se ne riparla a luglio. E si guarda al presidente Sergio Mattarella.Il leader battuto. Mentre lo dice - gridando dal palco - si batte la mano con il palmo aperto sul petto: «Se tocca a me, anche se sono poche settimane, tocca a me! Tocca a me! Tocca a me con tutti voi!». Solo all'ultimo minuto su 27 di discorso Maurizio Martina si lascia scappare di bocca un grido, una speranza rotonda, una reiterazione appassionata, un appello senza filtri al partito. Macché. Non toccherà a lui: il suo è un messaggio che non viene raccolto. Era un appello per essere confermato segretario, con pieni poteri, fino al congresso, in una ultima possibile conciliazione con il potere reale di governo dell'Assemblea nazionale democratica, ancora stretto nelle mani dell'ex segretario, suo grande avversario. Eppure l'appello non è stato raccolto, nel caminetto si è scelto di non farsi male. Il Pd continua ad essere incartato dentro il suo paradosso, né con Renzi (che voleva aprire addirittura lui l'assemblea) né senza Renzi (con una nuova maggioranza raccolta intorno a Martina). Né piantato nel suo passato, né proiettato nel suo futuro, né a favore né contro: una nave dove si combatte sul ponte di comando tra fischi (a Matteo Orfini) applausi, cori - «Segretario! Segretario!», «Vergognatevi!!!» - senza epilogo e senza rimedio. Un gorgo che turbina e non appare. Alla fine vince la cosiddetta «linea della tregua» voluta da Renzi. Passa con 397 sì, 221 no, e 6 astenuti su un totale di 829 delegati registrati. Nessuna fazione in campo ha 500 voti di maggioranza per eleggere un nuovo leader, ci sono sul campo due schieramenti che si battono con un reciproco fuoco di interdizione. Ecco perché l'assemblea che doveva ufficializzare le dimissioni di Renzi per eleggere - nelle speranze di Martina - un nuovo segretario con pieni poteri, ha deciso di rimandare tutto a un nuovo appuntamento, il 30 giugno o il 7 luglio. Martina resta, ma con poteri dimezzati. È il terzo rinvio della resa dei conti: ma consegna l'immagine di un partito spaccato, frantumato e che per ora nessuno può governare. Malgrado l'accordo tra le correnti, sono arrivati più di duecento no, il segnale di un grande mal di pancia collettivo. Anche la relazione di Martina è a metà strada. Rompe con l'analisi di Renzi sulla vittoria dei «populisti» dovuta solo alle promesse non mantenibili della campagna elettorale. Anzi, senza fare nomi, Martina tratteggia un chiaro j'accuse del renzismo: «Non sono stati gli italiani a non capirci», dice Martina, «siamo stati noi a non capire loro. Abbiamo perso male. Abbiamo sbagliato noi. Non abbiamo capito gli italiani. Le loro inquietudini, le loro incertezze, le loro paure». Aggiunge il segretario reggente: «Io penso che ci sia mancato il contatto con il bisogno. Abbiamo pensato che la crescita, che pure c'è, portasse più uguaglianza. E invece no!». Ma la discontinuità viene bilanciata dalla continuità. La mattanza delle liste elettorali con l'epurazione delle minoranze viene affidata a una citazione pallida, in cui non ci sono indicazioni dirette di responsabilità. Il trucco che decide la giornata ha per protagonista Matteo Orfini, ed è un giochetto classico. A mezzogiorno il presidente del partito apre l'assemblea presentando la proposta che illustra come condivisa «all'unanimità» dall'ufficio di presidenza: cambiare l'ordine del giorno, rimandando l'elezione del leader. È il segnale che, malgrado i proclami della vigilia, le correnti hanno sottoscritto la tregua. Ma i delegati che si rendono conto in quel momento di essere arrivati fino a Roma per nulla, si arrabbiano. Partono grida scomposte, brusio, «buuu!» per Orfini che fatica ad andare avanti. Il presidente si arrabbia. Dalla platea chiede la parola contro Marco Sarracino, uomo della minoranza che fa capo ad Andrea Orlando. Sgomento di Orfini: ma Orlando non era anche lui d'accordo sulla tregua? Per qualche secondo il brivido dell'imprevisto potrebbe accendere le scintille e far deflagrare tutto, poi Orlando fa un cenno a Sarracino e lui si tira indietro. Arriva quel dato clamoroso, 221 ribelli al papocchio, che tagliano tutte le anime del partito. E così si arriva al secondo episodio, il voto sulla relazione. Chiesto da Orlando, quasi per prendersi una rivincita, e concesso dai renziani quasi come uno schiaffo. È un voto di minoranza. Ancora una volta la montagna partorisce il topolino. Finisce con 294 sì, 8 astenuti, nessun contrario. Di nuovo il Pd si mostra immaturo, Incapace di contarsi, diviso tra unanimismo di facciata e dispute avvelenate. Anche perché quando questo rito stanco si celebra, più di metà della platea è già partita. Cosa ottiene il fronte antirenziano? Che l'ex premier non parli. Un altro piccolo passo verso la de-renzizzazione. Una vittoria di Pirro, però, vanificata dall'intervento sanguigno di Pina Cocci, la pasionaria di periferia in sedia a rotelle, che va al microfono e grida: «Ve sete stati tutti chiusi là dentro a discutere se doveva parlà o no, vergognatevi! Io ora me ne vado. Ma noi dovemo fare un congresso e se stamo messi così come stamo messi oggi», conclude, «nun me chiamate!». È un partito appeso, questo, che si prepara all'opposizione sperando di ritrovarci dentro l'anima, con il timore di ritrovarsi ruota di scorta di un governo di minoranza se l'intesa gialloblù saltasse. Magra prospettiva.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)
13 agosto 2025: un F-35 italiano (a sinistra) affianca un Su-27 russo nei cieli del Baltico (Aeronautica Militare)
La mattina del 13 agosto due cacciabombardieri F-35 «Lightning II» dell’Aeronautica Militare italiana erano decollati dalla base di Amari, in Estonia, per attività addestrativa. Durante il volo i piloti italiani hanno ricevuto l’ordine di «scramble» per intercettare velivoli non identificati nello spazio aereo internazionale sotto il controllo della Nato. Intervenuti immediatamente, i due aerei italiani hanno raggiunto i jet russi, due Sukhoi (un Su-27 ed un Su-24), per esercitare l’azione di deterrenza. Per la prima volta dal loro schieramento, le forze aeree italiane hanno risposto ad un allarme del centro di coordinamento Nato CAOC (Combined Air Operations Centre) di Uadem in Germania. Un mese più tardi il segretario della Nato Mark Rutte, anche in seguito all’azione di droni russi in territorio polacco del 10 settembre, ha annunciato l’avvio dell’operazione «Eastern Sentry» (Sentinella dell’Est) per la difesa dello spazio aereo di tutto il fianco orientale dei Paesi europei aderenti all’Alleanza Atlantica di cui l’Aeronautica Militare sarà probabilmente parte attiva.
L’Aeronautica Militare Italiana è da tempo impegnata all’interno della Baltic Air Policing a difesa dei cieli di Lettonia, Estonia e Lituania. La forza aerea italiana partecipa con personale e velivoli provenienti dal 32° Stormo di Amendolara e del 6° Stormo di Ghedi, operanti con F-35 e Eurofighter Typhoon, che verranno schierati dal prossimo mese di ottobre provenienti da altri reparti. Il contingente italiano (di Aeronautica ed Esercito) costituisce in ambito interforze la Task Air Force -32nd Wing e dal 1°agosto 2025 ha assunto il comando della Baltic Air Policing sostituendo l’aeronautica militare portoghese. Attualmente i velivoli italiani sono schierati presso la base aerea di Amari, situata a 37 km a sudovest della capitale Tallinn. L’aeroporto, realizzato nel 1945 al termine della seconda guerra mondiale, fu utilizzato dall’aviazione sovietica per tutti gli anni della Guerra fredda fino al 1996 in seguito all’indipendenza dell’Estonia. Dal 2004, con l’ingresso delle repubbliche baltiche nello spazio aereo occidentale, la base è passata sotto il controllo delle forze aeree dell’Alleanza Atlantica, che hanno provveduto con grandi investimenti alla modernizzazione di un aeroporto rimasto all’era sovietica. Dal 2014, anno dell’invasione russa della Crimea, i velivoli della Nato stazionano in modo continuativo nell’ambito delle operazioni di difesa dello spazio aereo delle repubbliche baltiche. Per quanto riguarda l’Italia, quella del 2025 è la terza missione in Estonia, dopo quelle del 2018 e 2021.
Oltre ai cacciabombardieri F-35 l’Aeronautica Militare ha schierato ad Amari anche un sistema antimissile Samp/T e i velivoli spia Gulfstream E-550 CAEW (come quello decollato da Amari nelle immediate circostanze dell’attacco dei droni in Polonia del 10 settembre) e Beechcraft Super King Air 350ER SPYD-R.
Il contingente italiano dell'Aeronautica Militare è attualmente comandato dal colonnello Gaetano Farina, in passato comandante delle Frecce Tricolori.
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