2024-11-04
Asse tonache-toghe per i migranti: «Abbiamo bisogno di manodopera»
Il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei (Ansa)
«Avvenire» sciorina i dati di Bankitalia: per restare competitivi servono 120.000 lavoratori stranieri l’anno. La soluzione? Importare clandestini non qualificati. Riparte la nave Libra, i tribunali fremono.Non bastavano le toghe a opporsi ai trasferimenti dei migranti in Albania: mancava, in effetti, qualche tonaca di supporto. Ecco allora la discesa in campo dei vescovi italiani, sempre pronti quando c’è da sostenere le meraviglie dell’immigrazione di massa. I magistrati dell’Anm si riuniranno oggi a Bologna e discuteranno senz’altro animatamente di come fronteggiare (e magari condizionare) le strategie del governo per la difesa dei confini. Peraltro, come riportava ieri l’Ansa, sulla questione albanese sono stati presentati due esposti alla Corte dei conti da Italia Viva e Cinque Stelle (sì, quelli del Superbonus), giusto per non farsi mancare niente. I prelati, invece, la loro strategia l’hanno elaborata da tempo: stanno solo sperimentando nuove vie per applicarla.In attesa che, forse già oggi, la nave Libra riparta alla volta delle coste albanesi con qualche decina di persone a bordo, e magari che qualche giudice zelante all’eccesso si intigni a fermare nuovamente il trasbordo (cosa che in effetti non è da escludere, nonostante il recente decreto governativo sui Paesi sicuri), il quotidiano Avvenire - anticipando dati di Bankitalia - s’affretta a ribadire quanto siano necessari gli stranieri alla nostra nazione. Il titolo di prima pagina è cristallino: «Il lavoro che serve». Spiega il giornale: «All’Italia per restare competitiva e mantenere i livelli occupazionali, sono già servite e serviranno, ancora di più, le risorse e le competenze dei lavoratori stranieri. Sono i dati a dirlo: secondo le ultime previsioni di Confindustria c’è bisogno di 120.000 lavoratori immigrati per i prossimi cinque anni, al netto della quota annuale di 151.000 lavoratori stranieri già prevista nel decreto flussi per il triennio 2023-2025. Al tempo stesso, se si osserva il nostro andamento occupazionale dal 2007 al 2023, grazie ai dati forniti in esclusiva ad Avvenire dalla Banca d’Italia, è possibile vedere quanto sia già stato determinante il contributo dei lavoratori non nati in Italia con una crescita del numero di occupati del 2,9%, totalmente attribuibile ai lavoratori stranieri».Secondo Bankitalia, che il quotidiano vescovile cita con soddisfazione, «nei primi sei mesi del 2024, oltre due terzi delle imprese italiane con ricerche di personale in corso (il 69,8%) ha riscontrato difficoltà di reperimento e queste difficoltà dichiarate dalle aziende nel trovare professionisti, tecnici, operai e più in generale, manodopera sono cresciute molto nel tempo: riguardavano nel 2019, prima della pandemia, il 26% delle assunzioni previste (in valore assoluto 1,2 milioni), mentre nel 2022 la quota aveva raggiunto il 42% e nel 2023 aveva superato il 45% delle assunzioni (quasi 2,5 milioni in valore assoluto)». Insomma esisterebbe «un evidente problema di disallineamento tra domanda e offerta di lavoro che mette in crisi lo sviluppo del Paese e in futuro andrà ad accentuarsi non solo per l’invecchiamento della popolazione, ma anche a causa della scarsa mobilità interna, dell’attrattività sempre più bassa dell’Italia e della fuga di cervelli all’estero». Quale è dunque la soluzione? Facile: la stessa medicina che ci viene offerta per curare il crollo demografico, ovvero l’importazione di immigrati. Occorre infatti ampliare «gli ingressi dei lavoratori stranieri, arrivando a 120.000 all’anno». Ed è esattamente qui che emerge la truffa ideologica perpetrata dai sostenitori dell’accoglienza indiscriminata.Ora, è evidente che in una nazione industrializzata vi sia spazio per un certo numero di lavoratori stranieri, è sempre stato così. La mistificazione clamorosa sta però nel fare credere che questi lavoratori siano i poveretti in arrivo sui barconi, che è esattamente ciò che suggerisce Avvenire affiancando il caso albanese alle cifre sugli impiegati mancanti. Il giornale della Cei finge di non sapere che l’ingresso di stranieri serve soprattutto a soddisfare la domanda di lavori a basso salario, creando concorrenza al ribasso. Un fenomeno che sarebbe opportuno combattere, magari creando incentivi affinché i posti disponibili siano occupati da italiani. Ma anche fingendo che questa forma di sfruttamento non esista, resta comunque una palese evidenza: i clandestini non sono la soluzione. Non sono qualificati, spesso non sono nemmeno interessati a restare qui. In che modo dovrebbero giovare al nostro sistema produttivo? Davvero si può seriamente ritenere che i migranti inviati in Albania potrebbero invece restare qui a beneficio delle aziende? E poi: da quando i vescovi sono così interessati alla domanda di braccia da parte dei padroni? A noi risultava che per lo più si concentrassero sull’obbligo morale di salvare vite in mare, che c’entra adesso la carenza di operai?Se l’argomento morale a favore dell’immigrazione, negli anni, è stato utile per lo più a coprire i guadagni di alcuni professionisti dell’accoglienza, la tesi utilitarista appare ancora peggiore: poiché manca gente qui da noi, dobbiamo sradicare centinaia di migliaia di giovani dall’Africa onde avere un esercito industriale di riserva? Sarà che i prelati ormai leggono poco i testi sacri, ma a quanto pare hanno dimenticato anche Marx. La verità è che l’immigrazione di massa, al massimo, produce sfruttati e, nel peggiore dei casi, criminali: non certo lavoratori pronti a inserirsi serenamente in un nuovo tessuto sociale. Ci sarebbe da considerare, inoltre, la sorte delle nazioni di partenza, quelle che - stando ai profeti dell’accoglienza - dovrebbero essere svuotate a beneficio delle nostre imprese. Ma forse ai vescovi importa soltanto della povertà di Luca Casarini e degli altri marinai improvvisati, non di quella imperante nei Paesi che un tempo venivano arrogantemente definiti «in via di sviluppo». O forse ai prelati interessa continuare ad alimentare gli sbarchi per una ragione banale: le aziende che hanno più bisogno di stranieri sono quelle dell’accoglienza. I cui interessi, talvolta, coincidono con quelli della curia.
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