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2025-03-03
L’Artico conteso
Donald Trump ha avviato il suo secondo mandato presidenziale con il chiaro intento di perseguire vari obiettivi, tra cui l’acquisto della Groenlandia dalla Danimarca. A prima vista questa proposta è sembrata eccentrica, tuttavia un’analisi più approfondita mostra come questa iniziativa rientri nei primi passi degli Stati Uniti per consolidare la propria influenza nella regione artica come scritto nel documento «Strategia artica del Dipartimento della Difesa per il 2024». Con lo scioglimento dei ghiacci dovuto ai cambiamenti climatici, il controllo dell’Artico assumerà un ruolo cruciale per l’economia mondiale e la sicurezza globale. Eppure, sia per gli Stati Uniti che per i loro alleati, questa area è stata a lungo trascurata dal punto di vista strategico. Così Russia e Cina hanno potuto rafforzare significativamente la loro presenza militare ed economica nella regione, mettendo gli Stati Uniti e la Nato nella scomoda posizione di dover colmare il divario solo in tempi recenti.
Quali Paesi rientrano tra gli Stati artici? Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e gli Stati Uniti. Queste otto nazioni fanno parte del Consiglio Artico, l’organizzazione che promuove la cooperazione internazionale per garantire uno sviluppo sostenibile e la protezione dell’ambiente nella regione. La regolamentazione principale che disciplina quest’area è la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos). Secondo questa convenzione ogni Stato ha il diritto di controllare una zona economica esclusiva che si estende fino a 200 miglia nautiche (circa 370 km) dalla propria costa e un mare territoriale fino a 12 miglia nautiche (circa 22 km). Attraverso le disposizioni dell’Unclos gli otto Stati artici hanno consolidato la loro sovranità su specifiche porzioni della regione. E cosa c’entra la Cina? In realtà Pechino non rientra tra gli Stati artici e di conseguenza non può rivendicare territori nella regione secondo quanto stabilito dall’Unclos. Tuttavia, nel 2014 si è autodefinita «uno Stato quasi artico», e anche se questa affermazione non ha alcun valore in termini di riconoscimento nel diritto internazionale, è servita a Pechino per aumentare la propria presenza nell’area. Da quel momento, il presidente cinese Xi Jinping, come ha ricordato più volte il Financial Times, ha fissato come obiettivo per il suo governo l’affermazione della Cina come «una potenza polare» e per raggiungere questo ambizioso traguardo Pechino ha siglato un’alleanza strategica con la Russia, finalizzata a consolidare le rispettive posizioni nell’Artico e a contrastare l’influenza della Nato nella regione.
L’Artico è un’area di forte interesse economico e geopolitico, in particolare per il controllo delle rotte commerciali. Entro l’estate del 2035 alcune zone potrebbero essere prive di ghiacci a causa del cambiamento climatico, una circostanza che apre a nuove possibilità per il traffico marittimo che vedrà ridurre sensibilmente i tempi di navigazione tra Nord America, Asia ed Europa. Tutto questo si traduce in centinaia di milioni di dollari.
Il fulcro della collaborazione artica tra Russia e Cina è rappresentato dalla Via della Seta Polare (Psr, Polar Silk Road), annunciata nel 2017. Questo programma rientra nella più ampia Belt and Road Initiative (La Nuova via della Seta), il progetto cinese volto alla realizzazione di infrastrutture globali per estendere la propria influenza. La Psr, in particolare, si concentra sulla creazione di nuove rotte commerciali nell’Artico e sull’estrazione delle immense risorse naturali della regione. La Cina sta collaborando con la Russia sulla rotta polare di San Lorenzo anche a causa della rivendicazione territoriale russa sulla rotta del Mare del Nord, una delle due principali vie di navigazione nell’Artico. Gli Stati Uniti invece, hanno incontrato notevoli difficoltà nella gestione delle questioni artiche, poiché non esercitano alcun controllo diretto su nessuna delle due rotte.
Sebbene il loro alleato, il Canada, controlli il Passaggio a Nord-Ovest, Washington si oppone a questa sovranità canadese. Invece di lavorare per creare una cooperazione commerciale con il Canada e altri Paesi artici, gli Usa sono andati avanti per la loro strada a hanno concentrato i loro sforzi nel tentativo di far riconoscere entrambe le rotte artiche come acque internazionali. Washington sostiene che, in base all’Unclos, «nessun singolo Paese dovrebbe regolamentare queste rotte, poiché sono cruciali per la navigazione internazionale». Tuttavia, questa strategia si è rivelata fallimentare, dato che né la Russia né il Canada hanno accettato di rinunciare al loro controllo sulle rispettive vie marittime.
Come scrive Politico, gli Stati Uniti e il Canada sono rimasti molto indietro rispetto a Russia e Cina nello sviluppo delle infrastrutture commerciali nell’Artico, mentre Mosca, che si è mossa con largo anticipo, dispone già di due porti operativi a Murmansk e Sabetta, strategici per il commercio e l’estrazione del gas naturale. La compagnia di navigazione cinese Cosco ha iniziato le spedizioni artiche nel 2013, effettuando un totale di 22 viaggi tra il 2013 e il 2018. Al contrario, gli Stati Uniti hanno avviato solo nel 2024 la costruzione del loro primo porto in acque profonde nell’Artico, situato a Nome, in Alaska. Anche il Canada sta realizzando due porti simili, ma entrambi i progetti hanno subito ritardi significativi e oggi nessuno sa quando entreranno in funzione. Nel 2022, circa 1.700 navi hanno attraversato l’Artico, con la maggior parte del traffico concentrato lungo la rotta del Mare del Nord, controllata dalla Russia. La quasi totalità delle imbarcazioni era russa o cinese, mentre quelle occidentali erano quasi assenti, a causa delle rigide restrizioni e delle barriere imposte da Mosca sulla navigazione nell’area. Il ritardo nella costruzione di infrastrutture portuali nell’Artico ha messo Stati Uniti e Canada in una posizione di svantaggio rispetto a Russia e Cina nella competizione economica per il controllo della regione. Con l’intensificarsi del commercio artico previsto nel prossimo decennio, gli Stati Uniti e i loro alleati rischiano di non poter sfruttare i tempi di navigazione ridotti offerti dalle nuove rotte. Per colmare questo divario, saranno necessari ingenti investimenti nella costruzione di navi rompighiaccio, al fine di rendere il passaggio a Nord-Ovest una via commerciale competitiva rispetto alla rotta del Mare del Nord controllata dalla Russia. Ma gli Usa non si arrenderanno perché «l’Artico è una regione strategicamente importante per gli Stati Uniti. L’obiettivo principale del Dipartimento della Difesa è proteggere la sicurezza del popolo americano, compresi coloro che chiamano l’Artico “casa”» e gli americani lo hanno chiaramente detto durante l’ultimo vertice di Riad con la Russia.
Un tesoro in minerali che può spezzare il monopolio cinese
La corsa al controllo dell’Artico non riguarda solo le rotte marittime, ma anche le vaste riserve di risorse naturali, in particolare petrolio, gas e minerali. Con la crescente domanda energetica globale molti Paesi hanno puntato lo sguardo su questa regione nella speranza di scoprirne nuove fonti. Storicamente tre aree dell’Artico sono state al centro dello sfruttamento petrolifero: la costa del Mare di Beaufort (include il versante settentrionale dell’Alaska e il delta del Mackenzie in Canada); l’Artico nord-orientale canadese (Nunavut); la Russia nord-occidentale (Mare di Barents e Siberia occidentale). Tuttavia, stime più recenti suggeriscono che l’Artico potrebbe contenere circa il 22% delle riserve mondiali di petrolio e gas ancora inesplorate. Secondo una valutazione del 2008 dell’Us Geological Survey, si tratta di un potenziale pari a 412 miliardi di barili di petrolio equivalente.
Di queste risorse, si stima che circa il 78% sia costituito da gas naturale e gas naturale liquefatto (gnl). In particolare, il bacino della Siberia occidentale e quello del Mare di Barents orientale sono considerati strategici, poiché conterrebbero il 47% delle risorse artiche ancora non scoperte. In queste aree, il gas naturale e il gnl rappresenterebbero il 94% delle riserve totali.
Nel suo rapporto economico del 2024, l’Arctic Economic Council (Aec) ha sottolineato il ruolo cruciale che l’attività mineraria nei Paesi artici potrebbe avere nel soddisfare la crescente domanda globale di materie prime essenziali. La regione artica ospita ben 31 di 34 materiali ritenuti fondamentali per la tecnologia dell’energia pulita. Tra questi spiccano gli elementi delle terre rare, indispensabili per lo sviluppo di veicoli elettrici, batterie e turbine eoliche. In particolare, Norvegia, Svezia e Groenlandia sono al centro dell’interesse per l’estrazione di questi materiali strategici. L’attività mineraria nell’Artico non è una novità: l’Alaska ospita la più grande miniera di zinco al mondo, mentre la Svezia vanta il più grande giacimento europeo di minerale di ferro.
Secondo Arctic Review, la Groenlandia dispone di riserve minerarie di neodimio e disprosio sufficienti a coprire un quarto della futura domanda globale, pari a 38,5 milioni di tonnellate.
Nel 2023, la società svedese Lkab ha annunciato la scoperta di un deposito di terre rare a Kiruna, con oltre 1 milione di tonnellate di ossidi, inizialmente il più grande d’Europa. Tuttavia, nel 2024 è stato superato dal Fen Carbonatite Complex in Norvegia.
Queste scoperte rafforzano il ruolo dell’Artico nordico come alternativa alla Cina per l’approvvigionamento di terre rare, come conferma il rinnovato interesse di Donald Trump per i minerali della Groenlandia.
Tuttavia, i costi elevati della manodopera e le rigide normative hanno spesso frenato gli investimenti, poiché le aziende del settore tendono a privilegiare operazioni a basso costo e alta resa. Oltre agli aspetti normativi ed economici, le difficili condizioni ambientali rappresentano un ulteriore ostacolo. Il freddo estremo e le poche ore di luce solare rendono complessa la costruzione di infrastrutture, mentre l’offerta di salari competitivi è necessaria per attrarre lavoratori qualificati. Di conseguenza, il potenziale minerario della regione è rimasto in gran parte inesplorato, un aspetto che l’Aec e altri attori stanno cercando di cambiare.
Con una domanda di minerali essenziali destinata a crescere esponenzialmente e un’attenzione crescente sulla dipendenza dalla Cina, leader nel mercato delle terre rare, l’Artico sta tornando al centro dell’interesse per l’industria mineraria globale. Il futuro dello sviluppo petrolifero nell’Artico è condizionato da sfide tecniche, politiche e ambientali. Le difficili condizioni climatiche richiedono materiali e tecnologie avanzate per la costruzione di infrastrutture, soprattutto con l’aggravarsi del cambiamento climatico. Inoltre, l’ambiente fragile e le comunità indigene della regione impongono rigidi vincoli ai progetti legati a petrolio e gas.
Militarmente oggi Mosca è dieci anni avanti
Negli ultimi anni, si è assistito a un’intensificazione della presenza militare nell’Artico. Russia e Cina hanno rafforzato la loro cooperazione militare nella regione, con Mosca che ha continuato a sviluppare infrastrutture strategiche, mentre gli Usa hanno progressivamente ridotto le proprie installazioni militari nell’area. Un episodio significativo si è verificato nel luglio 2024, quando il North American Aerospace Defense Command (Norad) ha intercettato bombardieri russi e cinesi nei pressi dell’Alaska. Si è trattato della prima volta in cui velivoli di entrambe le nazioni sono stati fermati insieme in questa zona. Tuttavia, il ministero della Difesa cinese ha poi chiarito che si trattava dell’ottava missione congiunta sul Mare di Bering dal 2019. Dal 2005 la Russia è impegnata nel riattivare le basi militari artiche risalenti all’epoca sovietica, oltre a rafforzare la sua marina e le capacità di combattimento nell’area. Dopo la fine della Guerra Fredda il Dipartimento della Difesa Usa ha ridotto o chiuso gran parte delle basi in Alaska, concentrandosi su altre aree del pianeta. Inoltre, il sistema di allerta del Norad si affida ancora a tecnologie radar obsolete, il che potrebbe spiegare le difficoltà nel rilevare tempestivamente le operazioni congiunte di Russia e Cina nella regione. Secondo gli esperti, l’Occidente avrà bisogno di circa un decennio per colmare il divario rispetto alla Russia nell’Artico.
La Russia ha deliberatamente danneggiato le infrastrutture occidentali nell’Artico per consolidare la propria supremazia, senza assumersi la responsabilità degli attacchi. L’ultimo è avvenuto il 20 febbraio nel Mar Baltico, a est dell’isola di Gotland, con la Svezia che ha avviato un’indagine in seguito alla scoperta di un nuovo cavo danneggiato dopo che negli ultimi mesi si sono verificati diversi casi simili riguardanti infrastrutture sottomarine. Nel 2024 il Pentagono ha denunciato che Mosca aveva interferito con i sistemi Gps statunitensi nell’Artico. Anche altri Paesi della regione, come la Finlandia, hanno riportato episodi analoghi di disturbo del segnale Gps. Inoltre, nel 2021, un cavo in fibra ottica usato dalla Norvegia per monitorare l’attività sottomarina nell’Artico è stato reciso in circostanze sospette. Lo stesso è accaduto nel 2022, quando due cavi sottomarini che collegavano l’isola di Svalbard con la Norvegia continentale sono stati tranciati. In entrambi i casi la Norvegia ha dovuto fare affidamento su sistemi di backup meno efficienti, rivelando così le vulnerabilità della sua rete di comunicazione nell’Artico. Sebbene questi episodi possano essere accidentali o scollegati tra loro, il capo della Difesa norvegese ha dichiarato di ritenere che la Russia abbia le capacità per condurre tali operazioni.
Come ricordato da The Barents Observer, un ulteriore segnale del predominio russo nella regione artica è la sua capacità di nuclearizzare l’area, mentre gli Usa hanno evitato di adottare strategie simili. La crescente presenza nucleare della Russia nell’Artico rappresenta una sfida gigantesca per gli Stati Uniti e la Nato.
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Per via dello scioglimento dei ghiacci, la regione polare è sempre più strategica per il commercio globale e le risorse. Anche di questo Usa e Russia hanno parlato a Riad. L’America vuol contenere le iniziative di Pechino, ma parte in svantaggio.L’area ha il 22% delle riserve di petrolio e gas inesplorate. E soprattutto terre rare, sempre più ricercate per la tecnologia pulita. I costi di estrazione però sono elevati.Militarmente oggi Mosca è dieci anni avanti. Mentre Washington chiudeva le sue basi, Vladimir Putin investiva in infrastrutture e nucleare.Lo speciale contiene tre articoli.Donald Trump ha avviato il suo secondo mandato presidenziale con il chiaro intento di perseguire vari obiettivi, tra cui l’acquisto della Groenlandia dalla Danimarca. A prima vista questa proposta è sembrata eccentrica, tuttavia un’analisi più approfondita mostra come questa iniziativa rientri nei primi passi degli Stati Uniti per consolidare la propria influenza nella regione artica come scritto nel documento «Strategia artica del Dipartimento della Difesa per il 2024». Con lo scioglimento dei ghiacci dovuto ai cambiamenti climatici, il controllo dell’Artico assumerà un ruolo cruciale per l’economia mondiale e la sicurezza globale. Eppure, sia per gli Stati Uniti che per i loro alleati, questa area è stata a lungo trascurata dal punto di vista strategico. Così Russia e Cina hanno potuto rafforzare significativamente la loro presenza militare ed economica nella regione, mettendo gli Stati Uniti e la Nato nella scomoda posizione di dover colmare il divario solo in tempi recenti. Quali Paesi rientrano tra gli Stati artici? Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e gli Stati Uniti. Queste otto nazioni fanno parte del Consiglio Artico, l’organizzazione che promuove la cooperazione internazionale per garantire uno sviluppo sostenibile e la protezione dell’ambiente nella regione. La regolamentazione principale che disciplina quest’area è la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos). Secondo questa convenzione ogni Stato ha il diritto di controllare una zona economica esclusiva che si estende fino a 200 miglia nautiche (circa 370 km) dalla propria costa e un mare territoriale fino a 12 miglia nautiche (circa 22 km). Attraverso le disposizioni dell’Unclos gli otto Stati artici hanno consolidato la loro sovranità su specifiche porzioni della regione. E cosa c’entra la Cina? In realtà Pechino non rientra tra gli Stati artici e di conseguenza non può rivendicare territori nella regione secondo quanto stabilito dall’Unclos. Tuttavia, nel 2014 si è autodefinita «uno Stato quasi artico», e anche se questa affermazione non ha alcun valore in termini di riconoscimento nel diritto internazionale, è servita a Pechino per aumentare la propria presenza nell’area. Da quel momento, il presidente cinese Xi Jinping, come ha ricordato più volte il Financial Times, ha fissato come obiettivo per il suo governo l’affermazione della Cina come «una potenza polare» e per raggiungere questo ambizioso traguardo Pechino ha siglato un’alleanza strategica con la Russia, finalizzata a consolidare le rispettive posizioni nell’Artico e a contrastare l’influenza della Nato nella regione. L’Artico è un’area di forte interesse economico e geopolitico, in particolare per il controllo delle rotte commerciali. Entro l’estate del 2035 alcune zone potrebbero essere prive di ghiacci a causa del cambiamento climatico, una circostanza che apre a nuove possibilità per il traffico marittimo che vedrà ridurre sensibilmente i tempi di navigazione tra Nord America, Asia ed Europa. Tutto questo si traduce in centinaia di milioni di dollari. Il fulcro della collaborazione artica tra Russia e Cina è rappresentato dalla Via della Seta Polare (Psr, Polar Silk Road), annunciata nel 2017. Questo programma rientra nella più ampia Belt and Road Initiative (La Nuova via della Seta), il progetto cinese volto alla realizzazione di infrastrutture globali per estendere la propria influenza. La Psr, in particolare, si concentra sulla creazione di nuove rotte commerciali nell’Artico e sull’estrazione delle immense risorse naturali della regione. La Cina sta collaborando con la Russia sulla rotta polare di San Lorenzo anche a causa della rivendicazione territoriale russa sulla rotta del Mare del Nord, una delle due principali vie di navigazione nell’Artico. Gli Stati Uniti invece, hanno incontrato notevoli difficoltà nella gestione delle questioni artiche, poiché non esercitano alcun controllo diretto su nessuna delle due rotte. Sebbene il loro alleato, il Canada, controlli il Passaggio a Nord-Ovest, Washington si oppone a questa sovranità canadese. Invece di lavorare per creare una cooperazione commerciale con il Canada e altri Paesi artici, gli Usa sono andati avanti per la loro strada a hanno concentrato i loro sforzi nel tentativo di far riconoscere entrambe le rotte artiche come acque internazionali. Washington sostiene che, in base all’Unclos, «nessun singolo Paese dovrebbe regolamentare queste rotte, poiché sono cruciali per la navigazione internazionale». Tuttavia, questa strategia si è rivelata fallimentare, dato che né la Russia né il Canada hanno accettato di rinunciare al loro controllo sulle rispettive vie marittime.Come scrive Politico, gli Stati Uniti e il Canada sono rimasti molto indietro rispetto a Russia e Cina nello sviluppo delle infrastrutture commerciali nell’Artico, mentre Mosca, che si è mossa con largo anticipo, dispone già di due porti operativi a Murmansk e Sabetta, strategici per il commercio e l’estrazione del gas naturale. La compagnia di navigazione cinese Cosco ha iniziato le spedizioni artiche nel 2013, effettuando un totale di 22 viaggi tra il 2013 e il 2018. Al contrario, gli Stati Uniti hanno avviato solo nel 2024 la costruzione del loro primo porto in acque profonde nell’Artico, situato a Nome, in Alaska. Anche il Canada sta realizzando due porti simili, ma entrambi i progetti hanno subito ritardi significativi e oggi nessuno sa quando entreranno in funzione. Nel 2022, circa 1.700 navi hanno attraversato l’Artico, con la maggior parte del traffico concentrato lungo la rotta del Mare del Nord, controllata dalla Russia. La quasi totalità delle imbarcazioni era russa o cinese, mentre quelle occidentali erano quasi assenti, a causa delle rigide restrizioni e delle barriere imposte da Mosca sulla navigazione nell’area. Il ritardo nella costruzione di infrastrutture portuali nell’Artico ha messo Stati Uniti e Canada in una posizione di svantaggio rispetto a Russia e Cina nella competizione economica per il controllo della regione. Con l’intensificarsi del commercio artico previsto nel prossimo decennio, gli Stati Uniti e i loro alleati rischiano di non poter sfruttare i tempi di navigazione ridotti offerti dalle nuove rotte. Per colmare questo divario, saranno necessari ingenti investimenti nella costruzione di navi rompighiaccio, al fine di rendere il passaggio a Nord-Ovest una via commerciale competitiva rispetto alla rotta del Mare del Nord controllata dalla Russia. Ma gli Usa non si arrenderanno perché «l’Artico è una regione strategicamente importante per gli Stati Uniti. L’obiettivo principale del Dipartimento della Difesa è proteggere la sicurezza del popolo americano, compresi coloro che chiamano l’Artico “casa”» e gli americani lo hanno chiaramente detto durante l’ultimo vertice di Riad con la Russia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/artico-conteso-2671249710.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="un-tesoro-in-minerali-che-puo-spezzare-il-monopolio-cinese" data-post-id="2671249710" data-published-at="1740940389" data-use-pagination="False"> Un tesoro in minerali che può spezzare il monopolio cinese La corsa al controllo dell’Artico non riguarda solo le rotte marittime, ma anche le vaste riserve di risorse naturali, in particolare petrolio, gas e minerali. Con la crescente domanda energetica globale molti Paesi hanno puntato lo sguardo su questa regione nella speranza di scoprirne nuove fonti. Storicamente tre aree dell’Artico sono state al centro dello sfruttamento petrolifero: la costa del Mare di Beaufort (include il versante settentrionale dell’Alaska e il delta del Mackenzie in Canada); l’Artico nord-orientale canadese (Nunavut); la Russia nord-occidentale (Mare di Barents e Siberia occidentale). Tuttavia, stime più recenti suggeriscono che l’Artico potrebbe contenere circa il 22% delle riserve mondiali di petrolio e gas ancora inesplorate. Secondo una valutazione del 2008 dell’Us Geological Survey, si tratta di un potenziale pari a 412 miliardi di barili di petrolio equivalente. Di queste risorse, si stima che circa il 78% sia costituito da gas naturale e gas naturale liquefatto (gnl). In particolare, il bacino della Siberia occidentale e quello del Mare di Barents orientale sono considerati strategici, poiché conterrebbero il 47% delle risorse artiche ancora non scoperte. In queste aree, il gas naturale e il gnl rappresenterebbero il 94% delle riserve totali. Nel suo rapporto economico del 2024, l’Arctic Economic Council (Aec) ha sottolineato il ruolo cruciale che l’attività mineraria nei Paesi artici potrebbe avere nel soddisfare la crescente domanda globale di materie prime essenziali. La regione artica ospita ben 31 di 34 materiali ritenuti fondamentali per la tecnologia dell’energia pulita. Tra questi spiccano gli elementi delle terre rare, indispensabili per lo sviluppo di veicoli elettrici, batterie e turbine eoliche. In particolare, Norvegia, Svezia e Groenlandia sono al centro dell’interesse per l’estrazione di questi materiali strategici. L’attività mineraria nell’Artico non è una novità: l’Alaska ospita la più grande miniera di zinco al mondo, mentre la Svezia vanta il più grande giacimento europeo di minerale di ferro. Secondo Arctic Review, la Groenlandia dispone di riserve minerarie di neodimio e disprosio sufficienti a coprire un quarto della futura domanda globale, pari a 38,5 milioni di tonnellate. Nel 2023, la società svedese Lkab ha annunciato la scoperta di un deposito di terre rare a Kiruna, con oltre 1 milione di tonnellate di ossidi, inizialmente il più grande d’Europa. Tuttavia, nel 2024 è stato superato dal Fen Carbonatite Complex in Norvegia. Queste scoperte rafforzano il ruolo dell’Artico nordico come alternativa alla Cina per l’approvvigionamento di terre rare, come conferma il rinnovato interesse di Donald Trump per i minerali della Groenlandia. Tuttavia, i costi elevati della manodopera e le rigide normative hanno spesso frenato gli investimenti, poiché le aziende del settore tendono a privilegiare operazioni a basso costo e alta resa. Oltre agli aspetti normativi ed economici, le difficili condizioni ambientali rappresentano un ulteriore ostacolo. Il freddo estremo e le poche ore di luce solare rendono complessa la costruzione di infrastrutture, mentre l’offerta di salari competitivi è necessaria per attrarre lavoratori qualificati. Di conseguenza, il potenziale minerario della regione è rimasto in gran parte inesplorato, un aspetto che l’Aec e altri attori stanno cercando di cambiare. Con una domanda di minerali essenziali destinata a crescere esponenzialmente e un’attenzione crescente sulla dipendenza dalla Cina, leader nel mercato delle terre rare, l’Artico sta tornando al centro dell’interesse per l’industria mineraria globale. Il futuro dello sviluppo petrolifero nell’Artico è condizionato da sfide tecniche, politiche e ambientali. Le difficili condizioni climatiche richiedono materiali e tecnologie avanzate per la costruzione di infrastrutture, soprattutto con l’aggravarsi del cambiamento climatico. Inoltre, l’ambiente fragile e le comunità indigene della regione impongono rigidi vincoli ai progetti legati a petrolio e gas. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/artico-conteso-2671249710.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="militarmente-oggi-mosca-e-dieci-anni-avanti" data-post-id="2671249710" data-published-at="1740940389" data-use-pagination="False"> Militarmente oggi Mosca è dieci anni avanti Negli ultimi anni, si è assistito a un’intensificazione della presenza militare nell’Artico. Russia e Cina hanno rafforzato la loro cooperazione militare nella regione, con Mosca che ha continuato a sviluppare infrastrutture strategiche, mentre gli Usa hanno progressivamente ridotto le proprie installazioni militari nell’area. Un episodio significativo si è verificato nel luglio 2024, quando il North American Aerospace Defense Command (Norad) ha intercettato bombardieri russi e cinesi nei pressi dell’Alaska. Si è trattato della prima volta in cui velivoli di entrambe le nazioni sono stati fermati insieme in questa zona. Tuttavia, il ministero della Difesa cinese ha poi chiarito che si trattava dell’ottava missione congiunta sul Mare di Bering dal 2019. Dal 2005 la Russia è impegnata nel riattivare le basi militari artiche risalenti all’epoca sovietica, oltre a rafforzare la sua marina e le capacità di combattimento nell’area. Dopo la fine della Guerra Fredda il Dipartimento della Difesa Usa ha ridotto o chiuso gran parte delle basi in Alaska, concentrandosi su altre aree del pianeta. Inoltre, il sistema di allerta del Norad si affida ancora a tecnologie radar obsolete, il che potrebbe spiegare le difficoltà nel rilevare tempestivamente le operazioni congiunte di Russia e Cina nella regione. Secondo gli esperti, l’Occidente avrà bisogno di circa un decennio per colmare il divario rispetto alla Russia nell’Artico. La Russia ha deliberatamente danneggiato le infrastrutture occidentali nell’Artico per consolidare la propria supremazia, senza assumersi la responsabilità degli attacchi. L’ultimo è avvenuto il 20 febbraio nel Mar Baltico, a est dell’isola di Gotland, con la Svezia che ha avviato un’indagine in seguito alla scoperta di un nuovo cavo danneggiato dopo che negli ultimi mesi si sono verificati diversi casi simili riguardanti infrastrutture sottomarine. Nel 2024 il Pentagono ha denunciato che Mosca aveva interferito con i sistemi Gps statunitensi nell’Artico. Anche altri Paesi della regione, come la Finlandia, hanno riportato episodi analoghi di disturbo del segnale Gps. Inoltre, nel 2021, un cavo in fibra ottica usato dalla Norvegia per monitorare l’attività sottomarina nell’Artico è stato reciso in circostanze sospette. Lo stesso è accaduto nel 2022, quando due cavi sottomarini che collegavano l’isola di Svalbard con la Norvegia continentale sono stati tranciati. In entrambi i casi la Norvegia ha dovuto fare affidamento su sistemi di backup meno efficienti, rivelando così le vulnerabilità della sua rete di comunicazione nell’Artico. Sebbene questi episodi possano essere accidentali o scollegati tra loro, il capo della Difesa norvegese ha dichiarato di ritenere che la Russia abbia le capacità per condurre tali operazioni. Come ricordato da The Barents Observer, un ulteriore segnale del predominio russo nella regione artica è la sua capacità di nuclearizzare l’area, mentre gli Usa hanno evitato di adottare strategie simili. La crescente presenza nucleare della Russia nell’Artico rappresenta una sfida gigantesca per gli Stati Uniti e la Nato.
Uno scatto della famiglia anglo-australiana, che viveva nel bosco di Palmoli, in provincia di Chieti (Ansa)
Non è certo un grosso problema: è sufficiente reidratare il paziente e si risolve nel giro di un paio di giorni al massimo. La tragedia è che questo ha allertato il «lupo». Per una indigestione da funghi, la famiglia è stata attenzionata dai servizi sociali.
Levare un bambino alla sua famiglia, staccarlo da sua madre, è un danno di gravità mille. Il cortisolo alle stelle, la fede nel mondo distrutta. Lo stress è talmente atroce che abbatte il sistema immunitario. Un bambino si può levare solo quando sta subendo un danno di gravità duemila. Come si fa a non sbagliarsi? Basta usare il buon senso, la logica e ascoltare i bambini.
Eleonora è morta il 7 gennaio 2005 a Bari. Aveva 16 mesi. Era nata sana come un pesciolino. È morta di stenti, di fame e sete, ma sicuramente avranno avuto un peso le botte, le ecchimosi, le escoriazioni suppurate, le due vecchie fratture a un braccio mai curate, la completa mancanza di sole, e soprattutto le devastanti piaghe da decubito per i pannolini non cambiati. Era legata al passeggino e il passeggino era messo davanti a un muro. Ha vissuto nel dolore e nel terrore: la paura continua dei colpi da parte della madre e del suo convivente (le tiravano addosso di tutto, se piangeva) o anche dei due fratellini a cui era stata regalata come una specie di giocattolo da tormentare. L’ha uccisa la paura che la notte calasse senza nemmeno il mezzo biberon che le davano ogni due giorni. La notte è calata per più di una volta consecutiva senza il mezzo biberon, ed Eleonora è morta di disidratazione. Le assistenti sociali, allertate da vicini perplessi, erano arrivate alla sua porta, per ben quattro volte, avevano fatto toc toc come il lupo davanti alla porta dei tre porcellini, nessuno aveva aperto e il discorso è stato considerato chiuso.
Le assistenti sociali sono persone educate, estremamente rispettose, davanti alle porte chiuse si fermano. I due fratellini di Eleonora sono stati ricoverati in ospedale. Quando hanno loro chiesto se volessero stare con mamma o con la dottoressa, hanno risposto che volevano stare con la dottoressa. I bambini abusati lo capiscono che fuori casa stanno meglio e lo verbalizzano. Un bambino, dopo aver dichiarato innumerevoli volte che la madre era violenta con lui, che lo terrorizzava, che non voleva andare con lei, è stato consegnato alla donna che lo ha sgozzato. Si sono fidati di un qualche esperto, uno psichiatra, un’altra assistente sociale, un giudice che per una qualche teoria letta su un libro ha ritenuto di avere la capacità di stabilire che quella madre non fosse pericolosa, e che il bambino che ne aveva paura fosse uno sciocchino.
Sono le stesse assistenti sociali che, dopo aver tolto un bambino a sua madre con le motivazioni più creative, stanno con le labbra strette e l’orologio in mano a controllare che non si sgarri dai 60 minuti che un giudice, che non ha mai visto quel bambino in vita sua, ha stabilito per la visita due volte al mese. L’assistente sociale sottolinea alla madre che il bambino il giorno del colloquio con lei è agitato, disperato e intrattabile, mentre di solito è sempre «buonissimo». Buonissimo vuol dire apatico e rassegnato, in inglese si usa il termine «functional freezing», congelamento delle emozioni per evitare di essere schiantato dal dolore. Il congelamento deve essere totale perché il bambino possa essere svuotato di qualsiasi emotività e ridotto a cosa. Se il bimbo ha un fratello, viene separato da lui. Sparisce la nonna da cui andava tutti i pomeriggi e che gli faceva i biscotti, spariscono gli amici. A volte sono andati a prenderlo poliziotti armati. Più il trauma è atroce, più potente è il congelamento emotivo che rende il bambino malleabile.
La prima notte che il bambino passa in «casa famiglia», vezzoso termine con cui si chiamano gli orfanotrofi statali dove portano i bambini tolti alle famiglie, piange tutta la notte: se è piccolo può arrivare alla disidratazione. Poi si «rasserena», diventa buono. La rassegnazione si paga in malattie. Ci sono processi che dimostrano che è vero che nei campi rom si vendono bambini ladri e bambine prostitute, periodicamente qualche bambino rom muore bruciato vivo nella roulotte che ha preso fuoco, eppure nessuno interviene. I rom non vogliono essere disturbati e le assistenti sociali sono persone rispettose delle civiltà altrui, per questo non intervengono nelle famiglie musulmane che infibulano la figlia di due anni o danno la figlia tredicenne in sposa al cugino mai visto prima. Ma è su tre nomi: Forteto, Bibbiano, Bassa Modenese, che il sistema ha mostrato la sua struttura violentemente patologica. Non metto in dubbio che tra le assistenti sociali esistano persone di buon senso e non malevole, ma un sistema che ha prodotto Bibbiano, il Forteto e la Bassa Modenese è strutturalmente privo di buonsenso e soprattutto malevolo, e deve essere ristrutturato o abolito. Gli assistenti sociali e i giudici hanno un potere totale. Non rispondono degli errori. La facoltà da cui escono gli assistenti sociali, dopo aver dato alcuni esami e superato una tesi, in nulla garantisce buon senso e benevolenza, anzi: è il contrario. Si tratta di una delle facoltà politicamente strutturate, il 99% dei docenti e degli iscritti sono di sinistra. Le assistenti sociali sono il braccio armato della politica della sinistra mondiale: odio per il cristianesimo, odio per la famiglia, amore sviscerato per tutte le tematiche Lgbt. Tra i minuscoli esami con cui le assistenti sociali formano la loro capacità di giudicare il bene e il male, di distruggere famiglie, di annientare la psiche ma anche il corpo dei bambini che hanno la sciagura di attirare la loro attenzione, quindi non Eleonora e non i bambini rom, le incredibili idiozie raccolte sotto il nome di «studi gender» sono considerate una lodevole intuizione scientifica. Le assistenti sociali sono convinte che un uomo possa essere una donna, che un bambino affidato a due maschi che l’hanno comprato non possa che stare benissimo, e che in fondo la famiglia «tradizionale» sia un modello da superare. La terza situazione problematica è la mancanza di un controllo sui controllori. Chi stabilisce che la psiche dell’assistente sociale e del giudice che possono distruggere la vita di altri sia in equilibrio? Si tratta di persone che hanno semplicemente superato degli esami e un concorso. Chi stabilisce che nella sua mente l’assistente sociale, che controlla con le labbra strette che la madre non possa stare con i suoi figli più del numero di minuti stabiliti da lei o da un giudice, non abbia tendenze di aggressività maligna o non le abbia sviluppate facendo questo lavoro?
Sono stati fatti terribili esperimenti, dove persone prese a caso venivano messe nel ruolo del carceriere, dove qualcun altro a caso faceva il carcerato: era una recita. Ma molti hanno sviluppato linee di aggressività maligna. Dove si ha potere sugli altri, è estremamente facile che si sviluppino linee di aggressività maligna, linee di piacere nell’infliggere ad altri dolore attraverso la propria autorità. Ripeto la domanda: chi controlla i controllori? Nel frattempo, se avete bambini in casa, evitate i funghi. Le zucchine costano anche meno.
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Soldati di guardia vicino al confine tra Thailandia e Cambogia (Getty Images)
L’ennesimo scontro sta imponendo nuove evacuazioni di massa su entrambi i lati del confine. Il governo della Thailandia ha ordinato a più di 380.000 suoi cittadini di abbandonare subito le aree ad alto rischio, con decine di migliaia che hanno già raggiunto i rifugi allestiti dal governo.
La Cambogia ha spostato circa 1200 famiglie, portandole all’interno del paese e lontane dalla zona dove si combatte. Hun Manet, primo ministro della Cambogia ha pubblicamente accusato la Thailandia, di essersi inventata un incidente fra i militari per tornare ad attaccare la Cambogia, negando che ci sia stato qualsiasi tipo di atto provocatorio da parte dell’esercito di Phnom Penh. Il governo di Bangkok ha invece additato la Cambogia come la nazione che non vuole rispettare l’accordo avendo continuato a minare il confine comune. «Il ministero della Difesa thailandese.ha autorizzato nuove operazioni militari a fronte dell’escalation - ha dichiarato il portavoce dell’esercito Winthai Suvaree - i raid hanno preso di mira infrastrutture militari cambogiane in rappresaglia all’attacco avvenuto in precedenza. il nostro unico obiettivo sono le posizioni di supporto della Cambogia nell’area del passo di Chong An Ma, un’area che doveva essere smilitarizzata».
I combattimenti della scorsa estate in pochi giorni avevano provocato 45 morti ed oltre 250.000 sfollati da entrambe le parti. Alla fine dell’estate a Kuala Lumpur Malesia, Cina e anche Stati Uniti avevano mediato un primo cessate il fuoco che però non era mai stato realmente applicato. A ottobre il presidente statunitense Donald Trump si era impegnato in prima persona co-firmando una dichiarazione congiunta tra le due nazioni e promuovendo allo stesso tempo una serie di nuovi accordi commerciali con Bangkok e Phnom Penh, nel caso avessero accettato un prolungamento del cessate il fuoco. Questo accordo sembrava poter durare, ma meno di un mese fa la Thailandia ha deciso di sospenderlo unilateralmente, accusando la Cambogia di aver minato una zona in territorio thailandese e l’esplosione di una mina aveva anche ferito alcuni soldati. Il primo ministro cambogiano ha ribadito il suo impegno nei confronti dell'accordo, che prevedeva il rilascio di 18 prigionieri cambogiani detenuti in Thailandia da diversi mesi e non ancora liberati. Il problema rimane il posizionamento del confine e la contestazione di alcune aree e templi che si trovano in territorio cambogiano, ma che sono rivendicati da Bangkok.
Le aree contese ospitano diversi templi di grande interesse storico e culturale, tra cui il Preah Vihear. La Corte Internazionale di Giustizia ne ha concesso la sovranità esclusiva a Phnom Penh, ma Bangkok si rifiuta di riconoscere l'autorità della Corte in materia territoriale. In realtà la questione è molto più profondo e da molti anni fra i due paesi del sud-est asiatico la tensione rimane altissima. Entrambe le nazioni sono caratterizzate da un acceso nazionalismo che diventa determinante soprattutto fra le popolazioni che vivono lungo gli oltre 800 chilometri di confine. L’amministrazione statunitense si è detta pronta a riportare i due contendenti al tavolo delle trattative, ma intanto l’aviazione thailandese sta continuando a martellare il territorio cambogiano.
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Ecco #DimmiLaVerità dell'8 dicembre 2025. La "dj" ufficiale di Atreju, la deputata di Fdi Grazia Di Maggio, ci parla della festa nazionale del partito di Giorgia Meloni.