
Riccardo Nencini si dichiara «apolide» e ha permesso a Iv di fare un gruppo a Palazzo Madama.«Noi socialisti». «I socialisti italiani». «Il gruppo di Italia viva e del partito socialista». Ci vuole del talento cristallino per parlare sempre così compitamente a nome di una moltitudine e poi essere in due: lui al Senato e l'onorevole italobrasiliano Fausto Guilherme Longo a Montecitorio. Ma Riccardo Nencini, il deputato di Barberino del Mugello che con una piroetta è riuscito a votare per ultimo la fiducia a Giuseppe Conte, ha mestiere politico da vendere. Anche se a 61 anni non ha mai lavorato veramente neppure un giorno. Solo causa socialista mattina e sera, dai tempi di Bettino Craxi fino a quelli di sé stesso, mantenendo sempre la fedina penale pulita grazie a un'indiscussa onestà personale. Matteo Renzi, che si è servito di lui per fare un gruppo al Senato, gli diceva sempre che è «un apolide». E lui, con la nonchalance di chi in gioventù ha frequentato Giovanni Spadolini e oggi si ritrova nella stessa maggioranza di Dibba, ne va decisamente fiero: «Sì, sono un apolide della politica». Suona meglio di tante brutte parole che girano su chi cambia alleati. A proposito di incarichi, il segretario dei socialisti, nipote del grande ciclista Gastone Nencini, dopo la laurea in storia entra in politica con il Psi e a 30 anni è già consigliere comunale a Firenze. Nel corso degli anni è stato segretario cittadino, eurodeputato, presidente del Consiglio regionale. E poi senatore e viceministro ai Trasporti nei governi Renzi e Gentiloni. Nel settembre 2019, dopo aver votato la fiducia al Conte bis, permette ai deputati di Iv di formare un gruppo autonomo al Senato. Ovviamente «con i socialisti», cioè con lui, il Nencini. Che sarebbe anche titolare del simbolo, ma ieri ha spiegato che non si sognerebbe mai di fregarselo. Sarebbe comunque sbagliato confondere un simile galantuomo, che sul suo sito si definisce «giornalista e scrittore», come uno dei tanti poltronisti in circolazione. Da vero erede della miglior tradizione socialista, come presidente della commissione Cultura si è battuto per la riapertura di scuole e teatri. Ovviamente nessuno lo ha ascoltato, ma sentendo parlare in Senato certi colleghi, si capisce il motivo. In politica estera è un fan dell'Europa, compreso il micidiale Mes, e della collocazione atlantica dell'Italia. «Nazionalismo male d'Europa» e «No alla Russia di Putin» sono due mantra. Inoltre, da socialista che se lo può permettere, ha poca simpatia per lo Stato dei pm e per i processi infiniti. Da sempre, mentre gli altri intorno a lui trafficano e spartiscono, Nencini vola alto. Il 13 marzo del 2013, quando fu eletto papa Bergoglio, lo storico del Mugello scrisse una nota per dire che «la scelta del nuovo Pontefice di adottare il nome Francesco è un elemento di novità che può restituire alla Chiesa il profilo che negli ultimi anni sembrava aver smarrito». Dopo di che indicò l'agenda al nuovo Papa sui diritti civili: «È tempo di lasciare il passo a un approccio meno dogmatico, più attento ai segni di questo tempo». Un'altra volta, invitato dal Gran Maestro Stefano Bisi, si lanciò in un elogio «inequivoco» della massoneria: «Qui da voi è di casa la libertà come scelta di conoscenza […] e la libertà non è merce di scambio per un pugno di voti». Era il 7 aprile 2017, lui era viceministro e si portò a casa la Galileo Galilei, ovvero la massima onorificenza destinata ai non massoni. Sul «pugno di voti», onestamente, siamo alla divinazione pura.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





