2024-07-22
Arte e fascismo: al MART di Rovereto in mostra le tendenze artistiche del Ventennio
True
Da Depero a Wildt, dalle avanguardie futuriste all’architettura razionalista, con un’esposizione ricca di oltre 400 pezzi (aperta al pubblico sino al 1° settembre 2024) il Mart di Rovereto torna a indagare l’arte del Ventennio, interrogandosi su come il regime fascista influì sulla produzione figurativa italiana dei primi decenni del Novecento.«Una mostra che racconta il fiorire delle Arti nonostante il terreno politicamente inquinato in cui attecchirono». Così Daniela Ferrari (insieme a Beatrice Avanzi curatrice della mostra al Mart, nata da un’idea di Vittorio Sgarbi) introduce Arte e Fascismo, un’esposizione di grande interesse storico e culturale che parte da tre domande fondamentali: in che modo il regime fascista ha influenzato la cultura figurativa durante il ventennio? Come si è sviluppato il complesso sistema dell’arte? In che modo gli artisti hanno dato voce all’ideologia, ai temi e ai miti del fascismo? Interrogativi complessi, che trovano risposta nel lungo e articolato percorso espositivo, dove oltre 400 opere di artisti diversi, noti e meno noti, dimostrano come durante il Ventennio, nonostante le ombre e le brutture di un’innegabile dittatura, l’arte abbia continuato ad «essere » e ad esprimersi in una moltitudine di linguaggi differenti. Se è vero, infatti, che il regime fascista usò per fini propagandistici i codici espressivi dell’arte e dell’architettura, è altrettanto vero che non impose uno stile preciso, lasciando spazio ad una creatività artistica ricca e molto varia, che spaziava dal gruppo del Novecento Italiano di Margherita Sarfatti (coltissima e storica amante del Duce, che rivestì un ruolo di primo piano nell’orientare il gusto e l’attenzione di Mussolini verso le arti figurative), all’Astrattismo, dal Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti a correnti pittoriche minori e più intimiste. Per lo meno sino al 1938 (l’anno di proclamazione anche in Italia delle leggi razziali, che impediranno a pittori, scultori e architetti di origine ebraica di progettare, insegnare, esporre e vendere le proprie opere…), molti furono gli artisti che poterono esprimersi con una certa libertà: alcuni di essi aderirono al fascismo con estrema convinzione (uno su tutti, Mario Sironi) altri, come Giorgio Morandi o Reanto Guttuso (bellissimo il suo Fuga dall’Etna del 1940, a mio parere una delle opere più belle esposte in mostra) fascisti non lo furono mai. Tutti, comunque, ebbero la possibilità di esporre e di farsi conoscere attraverso un sistema delle arti corporativistico, gerarchico e fortemente organizzato (oltre che politicizzato), che se da una parte mirava chiaramente ad indirizzare e controllare l’arte per creare consenso, dall’altra permise a molti artisti (dal già citato Sironi a Funi, passando per Casorati e Campigli) di realizzare le loro opere più importanti proprio durante il Ventennio. Ed è questo che si racconta al Mart.La Mostra, gli autori, le opereDiviso in otto sezioni cronologiche e tematiche, il percorso espositivo parte dal già menzionato Novecento Italiano ( con opere di Bucci, Dudreville, Funi, Malerba, Marussig, Oppi e Sironi) promosso dalla Sarfatti e si conclude con La caduta della dittatura, quando con la fine del regime caddero anche i suoi simboli, effigi del Duce in primis: uno su tutti, Dux, il busto in bronzo realizzato nel 1928 dallo scultore milanese Adolfo Wildt (e presente al Mart), danneggiato dai partigiani nei giorni della Liberazione. Tra gli anni ’20 e il 1943, l’alfa e l’omega della dittatura, le sale dedicate all’arte monumentale, all’architettura (considerata la più importante tra le arti per il suo ruolo nella rappresentazione del potere e per questo al centro delle esposizioni del regime), ai nuovi miti (gli atleti, ma anche i lavoratori, le madri e la famiglia), al complesso sistema delle arti (basato anche su premi, sovvenzioni, ed importanti esposizioni come la Triennale di Milano e la Quadriennale di Roma) e, fondamentale per i rapporti controversi che il Movimento ebbe con il fascismo, al Futurismo, che pur non divenendo mai «arte di Stato», con il regime condivise - amplificandoli attraverso la grafica, l’illustrazione e le immagini riprodotte in serie - i miti dell’azione, dell’interventismo, l’estetica della guerra e dei mezzi meccanici, il fascino della scienza e della tecnica. A completare un’esposizione di straordinaria varietà (di cui Vittorio Sgarbi ha sottolineato la prospettiva antifascista che sta alla base del progetto), apparecchi radio d’epoca (in prestito da Radiorurale.it di Gabriele Gogna) e audio di canti di guerra.
Simona Marchini (Getty Images)