2023-01-28
Chi tifa armi poi non può lamentarsi del carovita
Carri armati Abrams durante un'esercitazione (Getty Images)
Mentre il conflitto diventa sempre più lungo e si scopre che i tank tedeschi e americani non saranno risolutivi, a pagarne le conseguenze sono anche gli italiani vittime del caro vita. Chi ci ha portato sin qui, però, taccia.Fino all’altro ieri la guerra in Ucraina era a una svolta. O per lo meno questo è ciò che con un certo entusiasmo ci è stato raccontato dopo la decisione degli Stati Uniti e della Germania di inviare nuovissimi carri armati. «Ora Kiev può vincere», hanno cominciato a scrivere i giornali, riportando le opinioni di improvvisati analisti politici. «I Leopard tedeschi e gli Abrams americani faranno la differenza, consentendo agli ucraini di sbaragliare l’esercito russo», hanno chiosato alcuni presunti esperti militari. Beh, l’euforia per la consegna di nuovi mezzi militari è durata 48 ore perché, una volta fatti i conti, i cosiddetti esperti hanno cominciato a essere più prudenti, rimettendo i piedi a terra. Innanzitutto, i carri armati di Berlino e Washington non saranno disponibili da domattina. Anzi, per ricevere quelli a stelle e strisce ci vorrà tempo, perché prima di vederli all’opera sul fronte del Donbass ci vorrà quasi un anno. Prima i mezzi dovranno essere preparati, poi trasportati, infine consegnati all’esercito di Kiev, con relativo addestramento dei piloti. Insomma, per vederli operativi passeranno mesi e l’attesa sarà accompagnata dal bollettino di guerra quotidiano, fatto di bombardamenti, vittime, città conquistate o perse. Il segnale che l’aspettativa intorno ai nuovi armamenti autorizzati da Joe Biden e Olaf Scholz fosse eccessiva è partito anche dai giornali di casa nostra. Pur essendo accesi sostenitori della causa ucraina, non hanno infatti potuto nascondere che la svolta nella guerra in corso non potrà arrivare dai nuovi tank. Troppo pochi e troppo in ritardo, ha scritto ieri Federico Rampini, columnist del Corriere della Sera. Alcune decine di mezzi contro le migliaia schierate dai russi. E per di più, queste sofisticate macchine da guerra, capaci di colpire obiettivi a distanza di chilometri, «trasportano un bagaglio di problemi», come ad esempio manutenzione, carburante e munizioni. Efficaci dunque in battaglia, ma ad alto rischio di impantanarsi per mancata assistenza o anche solo per carenza di rifornimenti. Da decisivi che parevano fino all’altroieri, i 31 Abrams promessi da Washington, con il rischio di innescare una reazione russa che potrebbe sconfinare in un coinvolgimento dell’Europa nel conflitto, sono diventati ininfluenti a causa dei «vistosi buchi nella difesa aerea ucraina». Infatti, da Kiev Volodymyr Zelensky non si è preso neppure il tempo di ringraziare America e Germania, che ha subito presentato un’altra richiesta: ci servono gli F-16, ossia gli aerei da combattimento usati dall’Air Force degli Stati Uniti. E l’alta tecnologia di cui in questa guerra si era parlato come un elemento determinante? I satelliti di Elon Musk e il software di Microsoft servono, ma non sono sufficienti per vincere un conflitto che si combatte con tattiche e tecniche che ricordano la Seconda guerra mondiale. Servono uomini, carri armati, bombe, aerei, perché dopo un anno si è scoperto che la guerra non è un videogioco e se c’è di mezzo una potenza nucleare non puoi pensare di combattere guidando un missile a migliaia di chilometri di distanza. Gli ordini telecomandati aiutano, ma poi servono le truppe d’assalto.Risultato, non solo il conflitto si avvia a trasformarsi in uno scontro globale, dove diventa sempre più difficile chiamarsi fuori, rimanendo ai margini della battaglia e continuando a rifornire di armi la resistenza ucraina. Il rischio di un coinvolgimento si fa non solo sempre più probabile, ma anche sempre più costoso. Vengo dall’ennesimo dibattito in cui si mostrano le bollette alte e ci si lamenta dei rincari del prezzo della benzina. Peccato che insieme agli utenti, i quali hanno ragione di dolersene, a denunciare gli incredibili aumenti ci siano anche onorevoli che non solo hanno appoggiato le decisioni prese dal governo precedente, ma che persino l’altro ieri hanno votato a favore dell’invio di altre armi. Come si fa a essere così ipocriti? Come si fa a fingere di non sapere che la guerra costa e non soltanto perché si devono pagare i cannoni che si mandano a Kiev, ma perché di questo conflitto si subiscono le conseguenze in termini di costi dei carburanti? Forse non sapevano che decretando l’embargo del greggio russo (che scatterà dal 15 febbraio) il prezzo alla pompa sarebbe aumentato? Non sapevate qual era l’effetto del taglio delle forniture di gas o anche solo le conseguenze di una guerra che coinvolge uno dei più grandi esportatori di prodotti petroliferi? Sì, lo confesso: ormai non sopporto più il tartufismo di politici e giornalisti che si lamentano per l’inflazione, ma dimenticano che sono le loro scelte ad alimentarla. Se la guerra si allunga, se neppure gli Abrams bastano a ottenere la pace e servono gli F-16, il prezzo non sarà costituito «solo» da altre vite perse, ma anche da prezzi più alti che pagheranno le famiglie meno ricche. Lo dico e lo scrivo da un anno, per questo non posso più sopportare l’ipocrisia di chi se ne accorge solo oggi senza dire: è colpa nostra.