2021-05-18
C’è un giudice a Padova: un minimo di libertà sulle armi
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Esiste, in Italia, come negli Stati Uniti, il diritto di detenere armi? Tecnicamente, no. Ma c'è un limite all'arbitrio di cui possono godere le autorità di pubblica sicurezza nel regolamentare la materia? Certamente sì. Lo dimostrano numerose sentenze e, forse, lo prova la vicenda accaduta di recente a Padova.Alcuni mesi fa, il questore Isabella Fusiello aveva fatto recapitare ai collezionisti di armi una singolare comunicazione. Un ordine con il quale si imponeva un «limite massimo di armi detenibili complessivamente»: non più di 100 pezzi. Ai cittadini che ne avevano di più, veniva intimato di disfarsene entro 90 giorni. Tutti ricorderete, però, qual era la situazione epidemiologica del Paese in quei mesi invernali e quali regole vigevano: era proibito uscire dalla propria Regione, a volte dal proprio Comune, quando scattavano le zone arancioni. Per quasi tutti i padovani interessati dalla disposizione della Questura, le nuove regole significavano dover destinare alla distruzione le proprie armi. Spesso, veri e propri pezzi d'antiquariato.Ma la normativa vigente, secondo la quale si possono detenere solo tre armi da fuoco classificate come «comuni», 12 classificate come «sportive» e un numero illimitato di fucili da caccia, non fissa alcun numero massimo di esemplari che si possono custodire a scopi collezionistici. Certo, nel nostro Paese, la facoltà di detenere armi è una sorta di gentile concessione delle autorità, le quali, dunque, possono imporre criteri più stringenti, in caso di necessità. Le restrizioni, tuttavia, non devono essere del tutto arbitrarie. E nel caso di Padova, era difficile scorgere una qualche ragione di pubblico interesse nell'imposizione del limite di armi collezionabili. Il questore avrebbe sostenuto che non è «ammissibile che un singolo cittadino possa detenere centinaia di armi». Ma perché? La sicurezza pubblica è forse in pericolo? E allora, cosa cambia tra possedere 100 pistole o 200? Tra l'altro, i collezionisti non sono autorizzati a detenere il relativo munizionamento, a meno che l'arma in collezione non sia dello stesso calibro di un'altra già detenuta per scopi sportivi o di caccia.Fortunatamente, i cittadini non hanno accettato supinamente un ordine tanto illogico. E dopo i ricorsi Tar, hanno ottenuto almeno la sospensione del provvedimento della Questura. La vicenda, peraltro, è stata portata all'attenzione del Parlamento, con un'interrogazione firmata dai senatori di Fdi, Giovanbattista Fazzolari, Adolfo Urso e Luca De Carlo. Il documento degli onorevoli tocca esattamente il punto, nel momento in cui chiede al ministro Luciana Lamorgese se «i questori abbiano il potere di interpretare a proprio piacere le leggi dello Stato italiano e, in particolare, quelle relative al legale possesso di armi da sparo». E la verità è che, questo potere, non ce l'hanno. La discrezionalità e l'arbitrio delle autorità di pubblica sicurezza incontrano certamente dei limiti, anche se la nostra Costituzione non ammette nulla di lontanamente paragonabile al secondo emendamento della Carta fondamentale americana, nel quale si legge: «Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben organizzata milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto». Fazzolari, Urso e De Carlo, peraltro, colgono alla perfezione cosa c'è davvero dietro la mossa del questore Fusiello: motivazioni «non riconducibili a fatti contingenti o a situazioni emergenziali ma solamente di tipo ideologico». Curiosamente, il questore di Padova, anni prima, a Reggio Emilia, aveva adottato lo stesso, irragionevole provvedimento. Ma stavolta, la crociata anti armi non filerà così liscia.
Il simulatore a telaio basculante di Amedeo Herlitzka (nel riquadro)
Gli anni Dieci del secolo XX segnarono un balzo in avanti all’alba della storia del volo. A pochi anni dal primo successo dei fratelli Wright, le macchine volanti erano diventate una sbalorditiva realtà. Erano gli anni dei circuiti aerei, dei raid, ma anche del primissimo utilizzo dell’aviazione in ambito bellico. L’Italia occupò sin da subito un posto di eccellenza nel campo, come dimostrò la guerra Italo-Turca del 1911-12 quando un pilota italiano compì il primo bombardamento aereo della storia in Libia.
Il rapido sviluppo dell’aviazione portò con sé la necessità di una crescente organizzazione, in particolare nella formazione dei piloti sul territorio italiano. Fino ai primi anni Dieci, le scuole di pilotaggio si trovavano soprattutto in Francia, patria dei principali costruttori aeronautici.
A partire dal primo decennio del nuovo secolo, l’industria dell’aviazione prese piede anche in Italia con svariate aziende che spesso costruivano su licenza estera. Torino fu il centro di riferimento anche per quanto riguardò la scuola piloti, che si formavano presso l’aeroporto di Mirafiori.
Soltanto tre anni erano passati dalla guerra Italo-Turca quando l’Italia entrò nel primo conflitto mondiale, la prima guerra tecnologica in cui l’aviazione militare ebbe un ruolo primario. La necessità di una formazione migliore per i piloti divenne pressante, anche per il dato statistico che dimostrava come la maggior parte delle perdite tra gli aviatori fossero determinate più che dal fuoco nemico da incidenti, avarie e scarsa preparazione fisica. Per ridurre i pericoli di quest’ultimo aspetto, intervenne la scienza nel ramo della fisiologia. La svolta la fornì il professore triestino Amedeo Herlitzka, docente all’Università di Torino ed allievo del grande fisiologo Angelo Mosso.
Sua fu l’idea di sviluppare un’apparecchiatura che potesse preparare fisicamente i piloti a terra, simulando le condizioni estreme del volo. Nel 1917 il governo lo incarica di fondare il Centro Psicofisiologico per la selezione attitudinale dei piloti con sede nella città sabauda. Qui nascerà il primo simulatore di volo della storia, successivamente sviluppato in una versione più avanzata. Oltre al simulatore, il fisiologo triestino ideò la campana pneumatica, un apparecchio dotato di una pompa a depressione in grado di riprodurre le condizioni atmosferiche di un volo fino a 6.000 metri di quota.
Per quanto riguardava le capacità di reazione e orientamento del pilota in condizioni estreme, Herlitzka realizzò il simulatore Blériot (dal nome della marca di apparecchi costruita a Torino su licenza francese). L’apparecchio riproduceva la carlinga del monoplano Blériot XI, dove il candidato seduto ai comandi veniva stimolato soprattutto nel centro dell’equilibrio localizzato nell’orecchio interno. Per simulare le condizioni di volo a visibilità zero l’aspirante pilota veniva bendato e sottoposto a beccheggi e imbardate come nel volo reale. All’apparecchio poteva essere applicato un pannello luminoso dove un operatore accendeva lampadine che il candidato doveva indicare nel minor tempo possibile. Il secondo simulatore, detto a telaio basculante, era ancora più realistico in quanto poteva simulare movimenti di rotazione, i più difficili da controllare, ruotando attorno al proprio asse grazie ad uno speciale binario. In seguito alla stimolazione, il pilota doveva colpire un bersaglio puntando una matita su un foglio sottostante, prova che accertava la capacità di resistenza e controllo del futuro aviatore.
I simulatori di Amedeo Herlitzka sono oggi conservati presso il Museo delle Forze Armate 1914-45 di Montecchio Maggiore (Vicenza).
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