2020-10-03
Arcuri fallisce pure sull’«autarchia» dei Dpi
A maggio, il commissario prometteva protezioni solo italiane entro settembre. Invece, in otto mesi ne abbiamo importate 3 miliardi (quasi tutte dalla Cina), restando lontani dall'autosufficienza. E ora Antonio Zennaro (Copasir) chiede informazioni sulla qualità dei prodotti.Da Giuseppe Conte nuova stretta sulle Regioni. Ma anche la sinistra non ne può più. Pronto un Dpcm per serrare i Palasport. Sabino Cassese critica la proroga dell'emergenza. Lo speciale comprende due articoli. Il mondo della comunicazione ormai sovrasta quello dell'informazione. Vale in tanti campi. Se un tempo lo storytelling era prerogativa del marketing, oggi la comunicazione influenza sempre più la politica e spesso anche il mondo dei manager pubblici. Il caso di Domenico Arcuri è quasi da scuola e non ci riferiamo solo alla gestione dei banchi.«A settembre ci saranno sul mercato solo mascherine chirurgiche italiane», annunciava con orgoglio, il 27 maggio, il commissario per l'emergenza in commissione Affari sociali alla Camera, sottolineando che per quella data la produzione italiana sarebbe stata a pieno regime. «Entro la fine di giugno», aggiungeva l'ad di Invitalia, le 51 macchine acquistate dallo Stato per la produzione dei dispositivi saranno in grado di immettere sul mercato 31 milioni di mascherine al giorno. Le settimane sono passate, il caldo estivo se ne è andato ed è arrivato ottobre. Eppure l'autarchia delle mascherine e dei dispositivi di protezione sembra ancora un miraggio. Posto che fosse la strada veramente da percorrere per proteggerci dal Covid. La promessa era invece nero su bianco in una occasione che più istituzionale non si può. Invece i flussi di ingresso di mascherine dall'Oriente e soprattutto dalla Cina non sono cambiati in maniera sostanziale. Dagli ultimi giorni di febbraio alla metà di maggio ne sono state importate circa 1,5 miliardi. Da quella data a oggi altri 1,7 miliardi (basta andare sul sito delle Dogane e verificarlo). Il flusso dell'import è chiaramente sceso ma di poco. Segno che servono e se ne utilizzano. Vuol dire che i magazzini devono rimanere pieni e le tanto promesse produzioni italiche non sono entrate a regime. Certo, come sempre ci vuole tempo. Riconvertire è complesso. Lo sta facendo anche Fca. Far andare a regime macchinari richiede l'applicazione di precisi piani industriali. Però è bene sapere che se nel periodo febbraio-maggio, secondo i dati di Assosistema di Confindustria, il Paese ha speso per importare Dpi la cifra di 1,1 miliardi di euro (90% destinati alla Cina) significa che nei 4 mesi successivi ne ha spesi altrettanti. Quasi 2 miliardi di euro che pesano sulla bilancia commerciale e che sono per giunta destinati a crescere. Nel Lazio è ormai obbligatorio indossare le mascherine pure all'aperto e altre Regioni seguiranno. D'altronde l'input arrivato dal sottosegretario alla Salute, Sandra Zampa, è quello di imporre l'obbligo lungo tutta la penisola. Il consumo di dispositivi si impennerà drasticamente e le promesse di Arcuri rischiano di fallire due volte. Non aver raggiunto l'obiettivo prefissato con ottobre e arrivare a fine anno con un saldo commerciale ancora più negativo per l'Italia. Ieri, l'onorevole del gruppo misto, Antonio Zennaro, che è anche membro del Copasir, ha depositato una interrogazione al premier per chiedere contezza della spesa complessiva del sistema Paese e soprattutto per verificare che il commissario svincolato dalle normative ordinarie non abbia saltato troppi controlli e importato prodotti che in Europa sarebbero da considerare irregolari. Dopo aver speso 2 miliardi, sarebbe una beffa. Zennaro ha anche fatto istanza di accesso ai documenti. La richiesta formale è «al fine di estrarre ed ottenere informazioni di interesse pubblico circa la provenienza dei singoli dispositivi di protezione individuale, come le mascherine, nello specifico si intende sapere: quali sono i Paesi di origine di produzione dei dispositivi, distribuzione geografica delle società fornitrici all'interno e all'esterno dell'Unione europea, volumi di fornitura che riguardano rispettivamente l'Italia e i Paesi esteri». La mail è partita ieri. Ci vorranno 90 giorni per ottenere le risposte. E queste saranno interessanti per capire le scelte geopolitiche che stanno dietro ai flussi di import. Siamo contenti che - con l'arrivo dell'inverno e delle tradizionali influenze - ospedali e presidi possano garantire a chiunque protezioni e Dpi. Ma perché promettere l'autarchia se poi si scopre che quasi tutto arriva dalla Cina? Lo storytelling degli aiuti che fine ha fatto? In fondo è una questione di business e - giustamente - chi ha capacità produttiva ci guadagna. Bene ha fatto Zennaro a bussare alla porta di Arcuri e chiedere informazioni dettagliate. Si tratta di un incarico che arriva dalla presidenza del Consiglio e dovrebbe garantire la massima trasparenza. Invece, la gestione delle mascherine rischia di ricalcare quella dei banchi. Una gara annunciata senza che fosse effettivamente assegnata e poi gestita come se si trattasse di chiamata diretta. Il tutto coperto da un segreto quasi di Stato. Parliamo però di banchi pagati dai contribuenti e non di dispositivi militari top secret.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/arcuri-fallisce-pure-sull-autarchia-dei-dpi-2647967733.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="da-conte-nuova-stretta-sulle-regioni-ma-anche-la-sinistra-non-ne-puo-piu" data-post-id="2647967733" data-published-at="1601678880" data-use-pagination="False"> Da Conte nuova stretta sulle Regioni. Ma anche la sinistra non ne può più Nell'ennesimo Dpcm con cui Giuseppe Conte si prepara a prorogare lo stato d'emergenza fino al 31 gennaio, sarà inclusa una stretta sulle Regioni: Roma chiederà ai governatori di rimangiarsi il via libera all'ingresso di più di 200 persone nei Palasport, con occupazione delle strutture al 25%. Al chiuso (palazzetti, cinema o teatri), il limite dei 200 resterà tassativo; all'aperto, negli stadi, si potrà arrivare fino a 1.000 spettatori. Bocciate, insomma, le deroghe consentite da Abruzzo, Basilicata, Emilia, Lombardia e Veneto. Il provvedimento dell'esecutivo sarà discusso lunedì dal cdm e presentato in Parlamento martedì dal ministro della Salute, Roberto Speranza. L'emergenza permanente, però, scontenta ormai anche diversi ambienti di sinistra ed esponenti illustri della casta dei competenti. Già da mesi, ad esempio, il giurista ed ex membro della Consulta, Sabino Cassese, contesta la legittimità dei Dpcm, con i quali Conte ha compresso le libertà degli italiani. Ieri, Cassese è tornato a tuonare sulla proroga dell'emergenza: «Mi sono domandato se non sia una dichiarazione di impotenza o, peggio ancora, di incapacità». In effetti, qualcosa non ha funzionato se, dopo otto mesi dallo scoppio della pandemia, non riusciamo ancora a gestire la situazione con gli strumenti ordinari. Significativo anche il pulpito mediatico dello studioso: InBlu radio, il network delle emittenti cattoliche della Cei. I vescovi italiani, in effetti, hanno mal digerito la lunga sospensione delle cerimonie di culto. E hanno dovuto battagliare, per riottenere l'ok alle messe, a maggio inoltrato. Non finisce qui. Su Domani, il quotidiano edito da Carlo De Benedetti, Vitalba Azzollini ha firmato un editoriale con un titolo degno di Giorgio Agamben: «L'emergenza permanente come strumento di potere». I malumori dell'establishment, a questo punto, tornano a chiamare in causa il Quirinale. A primavera, era emerso che sul Colle serpeggiava un certo sconcerto per il one man show di Giuseppi, a colpi di decreti e dirette fiume. Con l'avvocato che ha tentato di bruciare la ricandidatura di Sergio Mattarella, attraverso un pubblico endorsement, che in questi casi sortisce l'effetto contrario (e il premier ne è consapevoli), l'arietta di lockdown, sia pure tra le rassicurazioni di Palazzo Chigi, può disturbare la tregua armata. Certo, il premier adesso difficilmente avrebbe potuto agire diversamente. Il 14 luglio, in un momento in cui l'epidemia appariva sotto controllo, aveva prolungato l'emergenza fino al 15 ottobre. Una misura che aveva sollevato un tale polverone da costringere Conte, per la prima volta, a confrontarsi con l'Aula. Decidere di non rinnovare il provvedimento ora, con i contagi e i ricoveri in aumento e con la prospettiva dell'incognita invernale, sarebbe stato profondamente incoerente. E avrebbe avvalorato i sospetti di chi, quest'estate, vedeva nella proroga un trucco per blindare un governicchio scricchiolante e sempre più prossimo a una débâcle elettorale. Il pericolo di crisi politica, visto l'esito delle regionali, si è allontanato. Muoversi in un'altra direzione, per il presidente del Consiglio, sarebbe stato l'equivalente di una dichiarazione di colpevolezza. Ma il nocciolo di un problema cui ormai anche la sinistra è sensibile, l'ha centrato ieri, su La 7, Daniela Santanchè. La senatrice di Fdi ha sottolineato che la proroga dello stato d'emergenza è un «unicum in Europa. Questo governo opaco e poco trasparente ci dica la verità: sta nascondendo i dati veri o è solo depistaggio per nascondere liti tra Pd e 5 stelle?». Invero, i pieni poteri significano anche una delega in bianco per il Comitato tecnico scientifico. Gli sprazzi di verbali diffusi hanno dimostrato che il gruppo di esperti ha avuto tutt'altro che le idee chiare - e che c'è stata tutt'altro che armonia con i decisori politici. Il recente e riuscito tentativo di bloccare la pubblicazione delle altre carte rafforza l'alone di mistero intorno a un organismo che ha operato nell'ombra, insieme al dominus Conte. In tali circostanze, semmai, dovrebbe valere un vecchio motto commerciale: vedere cammello. Oppure riprendersi le libertà scippate.