2023-12-10
ArcelorMittal tiene al guinzaglio l’Europa. Taglia la produzione e fa salire i prezzi
Non solo Ilva: fermi tattici agli altoforni. I dazi frenano l’import e gli indiani prendono pure aiuti green. Qualcosa non funziona.il punto nevralgico dell’acciaio italiano, Taranto, si trova al centro di un buco nero fatto di tre cerchi concentrici. Il primo è regionale. Logiche politiche collegate al Pd hanno spesso deviato le frecce quando erano vicine a colpire il bersaglio di un possibile rilancio. Poi c’è quello nazionale ed europeo: aiuti di Stato complessi, transizione green ed enormi vincoli da parte di Bruxelles. Infine un cerchio globale: le difficoltà di tutelare un settore strategico dagli assalti di Asia e Stati Uniti. A navigare con furbizia in mezzo alla tempesta della deglobalizzazione c’è ArcelorMittal, uno dei problemi che muovono i tre cerchi. Nel 2018 Lucia Morselli, attuale amministratore delegato di Acciaierie d’Italia, rilasciava ad Affari&Finanza una lunga intervista per dire che Taranto sarebbe stata per Arcelor «una delle tante filiali di un impero che ha il suo centro altrove». All’epoca la Morselli era il capo della cordata perdente, Acciaitalia. Un anno dopo la manager d’acciaio ha fatto il salto della palizzata, ma la sua previsione è rimasta intonsa. Lo abbiamo visto negli ultimi cinque anni. Adesso lo stabilimento a mala pena produce 3 milioni di tonnellate di acciaio. Senza contare che in meno di sei mesi sono stati chiusi due altoforni. Quello spento a giugno non è stato più riacceso e il numero 2, spento lo scorso martedì, probabilmente seguirà la stessa sorta. Nulla è più definitivo del provvisorio. Ma per comprendere meglio la strategia di Arcelor e i rischi che corre non solo l’Italia, ma tutta l’Europa, è bene sollevare il capo dalla mappa della Penisola e osservare le pedine che il colosso franco indiano che sede in Lussemburgo ha posizionato lungo il Vecchio continente. Oltre all’Italia, il gruppo ha attività in Polonia, Germania, Francia, Belgio e Bosnia Erzegovina (qui lo stabilimento è stato fermato l’altro ieri). Tra gennaio e settembre di quest’anno (dati raccolti da analisti specializzati di Gmk) tutte le divisioni europee hanno tagliato la produzione dell’11% rispetto allo stesso periodo del 2022. La produzione del 2022 complessiva è stata di 32 milioni di tonnellate, quella del 2021 di 36. Nel 2019 era di 43 milioni. Quest’anno probabilmente non supererà la soglia di 29 milioni. Inutile ribadire che enormi impianti come quello di Fos-sur-Mer, Brema e Gent in Belgio, come Taranto, sono tutti fermi per riparazione. L’effetto è molto semplice. L’azienda sta creando un imbuto. Riducendo la produzione si alzano i prezzi a valle. Al tempo stesso il colosso franco indiano sa bene che l’import è limitato per scelta di Bruxelles e quindi i consumatori sono costretti a servirsi al medesimo ristorante di Arcelor. È vero che anche a livello globale Arcelor ha limato ampiamente la produzione. Ma se si confronta la frenata avvenuta in Europa nei primi nove mesi di quest’anno con quella di tutte le divisioni di Arcelor si vede chiaramente la differenza. Da noi i tagli sono dell’11%, a livello globale del 3. È chiaro che in qualche modo si sta influenzando il mercato dell’acciaio. Le nostre aziende spendono tanto, con bollette elevatissime, e il colosso macina utili. Oltre 10 miliardi nel 2022. L’ultimo trimestre ha registrato quasi 1 miliardo di utili, con una redditività strutturalmente migliorata. Probabilmente è arrivato il momento che l’Europa rifletta sulle proprie dinamiche industriali. Non è possibile che colossi stranieri mettano in difficoltà un continente che per giunta continua a garantire a queste stesse corporation ingenti flussi di denaro per finanziare la transizione green degli stabilimenti. L’enorme volume di normative, i dazi e i divieti agli aiuti di Stato stanno creando storture difficili da recuperare. L’Europa deve tornare a produrre acciaio. Già soffre perché non controlla le materie prime in ingresso, se è pure vittima degli schemi che ha costruito non riesce nemmeno a controllare i flussi di semilavorati. E così si farà schiacciare da Cina e Stati Uniti. Se ci pensiamo è quasi ridicolo. Mesi persi a definire regole per le case green, regole che non porteranno alcun beneficio all’ambiente. Altri mesi a discutere sul futuro del settore degli imballaggi, con il rischio concreto e imminente di distruggere posti di lavoro e intere filiere iper tecnologiche. E non stiamo a ribadire le decisioni prese sul motore a scoppio e gli obblighi di transizione con le batterie elettriche. Che succederà? Non è difficile fare previsioni. Al di là dei top di gamma, la concorrenza sarà insostenibile. Arriveranno aziende che sfrutteranno, con le dovute differenze, le stesse opportunità che sono state offerte ad Arcelor. Significa che Bruxelles non ha strategia e tanto meno ha la flessibilità per parare i colpi in arrivo. Tocca all’automobile, come al settore dei microchip. E sta accadendo all’acciaio. I numeri lo dimostrano. Forse è il caso di un intervento congiunto non tanto contro Arcelor, ma a favore del mondo produttivo europeo.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.