
Verdone firma il manifesto pro Gaza, poi fa marcia indietro: «Non sapevo che volessero escludere due attori». Ma è la solita storia: Mieli si è pentito della fatwa contro Calabresi. E a Nordio rimproverano vecchie adesioni.Chi si firma è perduto. L’ultima figuraccia è di Carlo Verdone: ha sottoscritto l’appello pro Palestina in occasione della Mostra del cinema di Venezia e poi si è ufficialmente pentito. «Mi hanno messo in mezzo», ha dichiarato ieri al Corriere della Sera. Ha giurato che quando Silvia Scola, la figlia di Ettore Scola, gli ha chiesto di aderire, nel documento non c’era la parte che ha suscitato scandalo, quella che riguardava il boicottaggio degli attori Gerald Butler e Gal Gadot. Altrimenti non avrebbe accettato. «Non sono d’accordo con l’escludere gli artisti», ha detto con la coda fra le gambe. Ma dopo aver letto l’intervista, a metà fra l’umiliante e l’imbarazzante, resta un dubbio: davvero Verdone si è fatto raggirare come un allocco? Oppure ha firmato senza capire quel che firmava? In entrambi i casi, l’attore non ne esce bene: voleva fare l’intellettuale e invece finisce per fare la macchietta, come uno dei personaggi dei suoi film. Avete presente Leo di Un sacco bello quando ruotava gli occhi verso l’alto e diceva: «In che senso?». Ecco: uguale. Già: in che senso? Qualche tempo fa il filosofo Stefano Bonaga, con un po’ di sincera autocritica, ha lanciato un appello per «raccogliere quelli che non capiscono più una minchia del presente». Non so se Verdone abbia sottoscritto anche quello, ma forse sarebbe il caso. Nel frattempo, sulla scia di Bonaga, vorrei proporre un altro appello per raccogliere le firme di tutti coloro che non capiscono che cosa stanno firmando. Secondo me avrebbe un enorme successo. Ormai infatti mettere il proprio nome sotto il titolo di una buona causa è diventata una moda dilagante: non c’è giorno che non si è interpellati. Vuoi salvare il pianeta? Tutelare le balene? Proteggere l’Amazzonia? Sfamare l’Africa? Portare pace a Gaza? Aderisci e ti metti il cuore in pace, anche se non sai bene quel che davvero stai sostenendo. Cerchi di far bella figura a costo zero. Dici di voler fermare la guerra. Ma intanto ti basta firmarla. Però ecco: attenti a quel che firmate. Lo scrittore Vassili Vassilikos, grande nemico del regime dei colonnelli in Grecia, ha raccontato che un giorno del 1967, in pieno golpe militare, lesse un accorato appello su Le Monde in cui 70 intellettuali chiedevano la sua liberazione. E lui ne fu felice, se non che egli era venuto a conoscenza dell’appello per la sua liberazione mentre era completamente libero. Non lo lesse infatti in una cella di Atene, ma in un comodo bar di Roma, davanti al Colosseo. Fece notare ai firmatari l’equivoco, e loro gli risposero che avevano lasciato la delega in bianco per un appello di protesta (uno, quale che fosse) a Jean Paul Sartre e Simone de Beauvoir, e ai due parve bello impegnarsi per la liberazione di un intellettuale nemico dei colonnelli. Peccato che egli fosse già libero: ma perché rovinare una bella storia con la verità? Gli altri 68 firmatari aderirono senza se e senza ma, sottoscrivendo ciecamente la sciocchezza. Non lo dico per consolare Verdone perché mal comune non è mai mezzo gaudio, ma quanti conoscono davvero ciò che firmano? Ormai quella degli appelli è una macchina impazzita. Non si riesce più a stargli dietro. Su Change.org si trova di tutto: dalla petizione per individuare i responsabili della cattura dei cani Bull e Poldo alla petizione per salvare l’hotel Paradiso a Sella di Borgo Valsugana, dalla petizione per l’abolizione dello «zoccolo« di Druento alla petizione per dare il nome di Tina Anselmi all’ospedale di Padova. Tutte iniziative nobilissime sia chiaro: 328 sul tema salute, 141 su quello animali, 211 sul benessere dei bambini, milioni di firme che piovono ovunque. E alla fine, al netto degli interessi politici e anche economici, che si nascondono dietro queste piattaforme, la domanda è sempre la stessa: ma tutti questi che sottoscrivono petizioni, lo sanno quel che stanno facendo? O sono pure loro in piena sindrome Un sacco bello? Sommessamente suggerirei di andare cauti. Anche perché, pure nei rari casi in cui si è consapevoli di quel che si firma, poi spesso ci si pente. Chiedete per esempio al ministro Carlo Nordio se non si è pentito di aver firmato nel 1994 un appello contro la separazione delle carriere in magistratura, proprio la misura che ora da ministro vuole introdurre. Lo scrittore Daniel Pennac dal canto suo lo ha ammesso: «Ho fatto un’idiozia a firmare l’appello per Cesare Battisti». Il terrorista, fuggito dalla Francia e arrestato poi in Bolivia, era stato definito da un gruppo di intellettuali, fra cui Pennac, Vauro e Saviano, «persona arguta e profonda». Ma non è nulla rispetto al documento sottoscritto nel 1971 dalla meglio intelligentia italiana, da Umberto Eco a Dacia Maraini, da Inge Feltrinelli a Eugenio Scalfari, contro il commissario Calabresi, ucciso poi da Lotta Continua. Di tutti costoro solo Paolo Mieli ha avuto il coraggio di chiedere scusa per quell’ignobile documento: «Mi vergogno. Non è una bella pagina della mia vita». Non è dunque meglio evitare il firmappelli compulsivo? Che poi, almeno, una volta a sottoscrivere certi documenti ci si sentiva veri intellettuali. Adesso nemmeno quello. La scorsa primavera ottomila «artisti» (così recitavano i giornali) firmarono un documento per escludere Israele dalla Biennale di Venezia. «Niente padiglione del genocidio», intimavano severi. E uno subito diceva: ottomila artisti, ammazza, sono stati bravi a radunarne tanti, manco si sapeva ci fossero ottomila artisti in Italia. Poi, però, fra le firme saltarono fuori: Agata Castello, impiegata; Agnese Verza, studentessa; Alessandro Beretta, ingegnere informatico; Alessandro Barbieri, progettista di fulmini… Tutte ottime persone, e forse davvero si può essere artisti progettando fulmini, ma resta l’impressione che, alla fine, anche in questa occasione più che la mostra Biennale interessasse la mostra di sé stessi. Per questo mi sento in dovere di rilanciare un appello per non fare più appelli. Ma sì proprio così: faccio un appello per dire «basta appelli». Chi vuole lo sottoscriva. Io no. Non ho mai sottoscritto un appello in vita mia.
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