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2023-12-26
Siamo alla luna di miele tra Biden e Maduro
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Nicolas Maduro (Ansa)
Secondo Reuters, «i pubblici ministeri statunitensi avevano accusato Saab di aver sottratto circa 350 milioni di dollari dal Venezuela attraverso gli Stati Uniti in un piano che prevedeva la corruzione di funzionari governativi venezuelani». Professatosi innocente, il diretto interessato era detenuto in attesa di processo a Miami dal 2021. La stessa testata ha riportato che il suo «trionfante ritorno a Caracas» potrebbe essere sfruttato da Maduro in vista delle elezioni presidenziali venezuelane dell’anno prossimo. Non dimentichiamo che Saab era stato incriminato dal Dipartimento di Giustizia americano nel 2019, ai tempi, cioè, dell’amministrazione Trump. E che era stato arrestato e poi estradato negli Stati Uniti l’anno successivo.
E proprio negli Stati Uniti le polemiche non sono mancate. «Il rilascio di Saab infligge un duro colpo alla credibilità degli Stati Uniti nella lotta contro la corruzione, in particolare in America Latina», ha affermato sui social media Marshall Billingslea, ex assistente segretario del Tesoro americano durante la presidenza di Donald Trump. «Invia un segnale disastroso alle nazioni partner che hanno collaborato con noi, ritenendo che Saab avrebbe dovuto affrontare la giustizia: è un 'pugno nello stomaco' per l'opposizione venezuelana», ha proseguito. Critiche alla mossa della Casa Bianca sono arrivate anche da alcuni esponenti repubblicani della Florida, a partire dal senatore Marco Rubio.
Non è d’altronde la prima volta che Joe Biden si mostra arrendevole nei confronti di Maduro. Ricordiamo che l’anno scorso l’attuale amministrazione americana aveva allentato le sanzioni contro il regime di Caracas. L’obiettivo del presidente americano era, in particolare, quello di fronteggiare la difficile situazione in termini di approvvigionamento energetico. Peccato però che, ai tempi della campagna elettorale, Biden avesse promesso un’alleanza delle democrazie contro le dittature. Senza poi trascurare che, oltre a dirigere una spietata autocrazia, il leader venezuelano intrattiene stretti rapporti con Iran, Cina e Russia. Addirittura, l’anno scorso diede il proprio endorsement all’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca.
Questo significa che, al di là di un problema di credibilità internazionale, Biden, con il suo appeasement nei confronti del Venezuela, sta contribuendo a spingere sempre più l’America Latina nell’orbita sino-russa. Non è d’altronde un caso che Mosca e Pechino abbiano rafforzato la propria influenza sull’area da quando lo stesso Biden è arrivato alla Casa Bianca nel 2021. Non è affatto improbabile che il rilascio di Saab possa peggiorare ulteriormente questo quadro complessivo, che è già di per sé abbastanza inquietante.
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Non sembra arrestarsi il preoccupante appeasement dell’amministrazione Biden nei confronti del regime di Nicolas Maduro. Gli Stati Uniti hanno ottenuto da Caracas la liberazione di alcuni prigionieri in cambio del rilascio di uno stretto alleato del presidente venezuelano, il controverso businessman Alex Saab, a cui l’attuale inquilino della Casa Bianca ha concesso la clemenza. Secondo Reuters, «i pubblici ministeri statunitensi avevano accusato Saab di aver sottratto circa 350 milioni di dollari dal Venezuela attraverso gli Stati Uniti in un piano che prevedeva la corruzione di funzionari governativi venezuelani». Professatosi innocente, il diretto interessato era detenuto in attesa di processo a Miami dal 2021. La stessa testata ha riportato che il suo «trionfante ritorno a Caracas» potrebbe essere sfruttato da Maduro in vista delle elezioni presidenziali venezuelane dell’anno prossimo. Non dimentichiamo che Saab era stato incriminato dal Dipartimento di Giustizia americano nel 2019, ai tempi, cioè, dell’amministrazione Trump. E che era stato arrestato e poi estradato negli Stati Uniti l’anno successivo. E proprio negli Stati Uniti le polemiche non sono mancate. «Il rilascio di Saab infligge un duro colpo alla credibilità degli Stati Uniti nella lotta contro la corruzione, in particolare in America Latina», ha affermato sui social media Marshall Billingslea, ex assistente segretario del Tesoro americano durante la presidenza di Donald Trump. «Invia un segnale disastroso alle nazioni partner che hanno collaborato con noi, ritenendo che Saab avrebbe dovuto affrontare la giustizia: è un 'pugno nello stomaco' per l'opposizione venezuelana», ha proseguito. Critiche alla mossa della Casa Bianca sono arrivate anche da alcuni esponenti repubblicani della Florida, a partire dal senatore Marco Rubio. Non è d’altronde la prima volta che Joe Biden si mostra arrendevole nei confronti di Maduro. Ricordiamo che l’anno scorso l’attuale amministrazione americana aveva allentato le sanzioni contro il regime di Caracas. L’obiettivo del presidente americano era, in particolare, quello di fronteggiare la difficile situazione in termini di approvvigionamento energetico. Peccato però che, ai tempi della campagna elettorale, Biden avesse promesso un’alleanza delle democrazie contro le dittature. Senza poi trascurare che, oltre a dirigere una spietata autocrazia, il leader venezuelano intrattiene stretti rapporti con Iran, Cina e Russia. Addirittura, l’anno scorso diede il proprio endorsement all’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca. Questo significa che, al di là di un problema di credibilità internazionale, Biden, con il suo appeasement nei confronti del Venezuela, sta contribuendo a spingere sempre più l’America Latina nell’orbita sino-russa. Non è d’altronde un caso che Mosca e Pechino abbiano rafforzato la propria influenza sull’area da quando lo stesso Biden è arrivato alla Casa Bianca nel 2021. Non è affatto improbabile che il rilascio di Saab possa peggiorare ulteriormente questo quadro complessivo, che è già di per sé abbastanza inquietante.
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Piuttosto, è il tentativo di capire cosa si celi oltre quelle bellezze, sotto ciò che lo sguardo abbraccia, dentro la terra che oggi andrebbe scavata. Roma dovrebbe avere una linea metropolitana più efficiente. Più fermate, collegamenti migliori. Ma il condizionale è obbligatorio, figlio della necessità di appurare che non ci siano reperti a separare il dire dal fare. Il documentario, accompagnato dalla voce narrante di Domenico Strati e scritto con la consulenza storico-archeologica della dottoressa Claudia Devoto, non pretende di avere risposte, ma cerca di portare a galle le criticità del progetto. Chiedendo e chiedendosi che ne possa essere di Roma, se possa un giorno arrivare ad essere una metropoli contemporanea, il passato relegato al proprio posto, o se, invece, la sua storia sia destinata ad essere troppo ingombrante, impedendole la crescita infrastrutturale che vorrebbe avere.
Roma Sotterranea, disponibile per lo streaming su NowTv, racconta come ingegneri e archeologi abbiano lavorato in sinergia per realizzare un piano atto a portare all'inaugurazione delle nuove fermate della Linea C di Roma, quelle che (da progetto) dovrebbero collegare la periferia sudorientale a quella occidentale della città. E, nel raccontare questo lavoro, racconta parimenti come il gruppo di ingegneri e archeologi abbia cercato di prevedere e accogliere ogni imprevisto, così da accompagnare la città nel suo sviluppo. Questo perché i sondaggi di archeologia preventiva non sempre rivelano quanto poi potrà emergere durante lavori di scavo così imponenti. In Piazza Venezia, inaspettatamente, è tornata alla luce l’imponente struttura degli Auditoria adrianei, un complesso pubblico su due livelli costruito durante l’impero di Adriano (117-138 d.C.). Era destinato alla divulgazione culturale, alla pubblica lettura di opere letterarie e in prosa, all’insegnamento della retorica, e all’attività giudiziaria e la sua scoperta, la cui importanza storica è stata definita straordinaria, ha portato allo spostamento di uno degli accessi alla stazione presente nella piazza.
Diverso è stato il rinvenimento, inatteso, fatto scavando nei dintorni della nuova stazione di Porta Metronia: a nove metri di profondità, è stata scoperta una caserma del II d.C., 1700 metri quadri di superficie con mosaici e affreschi distribuiti in 30 alloggi per una compagnia di soldati che alloggiavano in ambienti di 4 mq e la domus del comandante, dotata di atrio e fontana. Le strutture sono state rimosse per costruire la stazione, dopo la scansione 3D di ogni singolo muro. A seguito della collocazione in magazzino, del restauro e della catalogazione dei reperti, le murature e i pavimenti sono tornati alla loro originaria collocazione, facendo della stazione uno straordinario sito archeologico.
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Secondo un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, la decarbonizzazione dell’auto europea stenta: le vendite elettriche sono ferme al 14%, le batterie e le infrastrutture sono arretrate. E mentre Germania e Italia spingono per una maggiore flessibilità, la Commissione europea valuta la revisione normativa.
La decarbonizzazione dell’automobile europea si trova a un bivio. Lo evidenzia un’analisi della Fondazione Eni Enrico Mattei, in un articolo dal titolo Revisione o avvitamento per la decarbonizzazione dell’automobile, che mette in luce le difficoltà del cosiddetto «pacchetto automotive» della Commissione europea e la possibile revisione anticipata del Regolamento Ue 2023/851, che prevede lo stop alle immatricolazioni di auto a combustione interna dal 2035.
Originariamente prevista per il 2026, la revisione del bando è stata anticipata dalle pressioni dell’industria, dal rallentamento del mercato delle auto elettriche e dai mutati equilibri politici in Europa. Germania e Italia, insieme ad altri Stati membri con una forte industria automobilistica, chiedono maggiore flessibilità per conciliare gli obiettivi ambientali con la realtà produttiva.
Il quadro che emerge è complesso. La domanda di veicoli elettrici cresce più lentamente del previsto, la produzione europea di batterie fatica a decollare, le infrastrutture di ricarica restano insufficienti e la concorrenza dei produttori extra-Ue, in particolare cinesi, si fa sempre più pressante. Nel frattempo, il parco auto europeo continua a invecchiare e la riduzione delle emissioni di CO₂ procede a ritmi inferiori alle aspettative.
I dati confermano il divario tra ambizioni e realtà. Nel 2024, meno del 14% delle nuove immatricolazioni nell’Ue a 27 è stata elettrica, mentre il mercato resta dominato dai motori tradizionali. L’utilizzo dell’energia elettrica nel settore dei trasporti stradali, pur in crescita, resta inferiore all’1%, rendendo molto sfidante l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050.
Secondo la Fondazione Eni Enrico Mattei, non è possibile ignorare l’andamento del mercato e le preferenze dei consumatori. Per ridurre le emissioni occorre che le nuove auto elettriche sostituiscano quelle endotermiche già in circolazione, cosa che al momento non sta avvenendo in Italia, seconda solo alla Germania per numero di veicoli.
«Ai 224 milioni di autovetture circolanti nel 2015 nell’Ue, negli ultimi nove anni se ne sono aggiunti oltre 29 milioni con motore a scoppio e poco più di 6 milioni elettriche. Valori che pongono interrogativi sulla strategia della sostituzione del parco circolante e sull’eventuale ruolo di biocarburanti e altre soluzioni», sottolinea Antonio Sileo, Programme Director del Programma Sustainable Mobility della Fondazione. «È necessario un confronto per valutare l’efficacia delle politiche europee e capire se l’Unione punti a una revisione pragmatica della strategia o a un ulteriore avvitamento normativo», conclude Sileo.
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Ecco #DimmiLaVerità del 15 novembre 2025. Con il senatore di Fdi Etel Sigismondi commentiamo l'edizione dei record di Atreju.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina