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2022-07-17
Aperta la caccia al grillino pentito
deputati del Movimento 5 Stelle non partecipano al voto finale sul dl Aiuti alla Camera dei Deputati (Ansa)
Hanno innescato una crisi al buio e sono rimasti col cerino in mano che davvero non basta a far luce sul percorso futuro, al punto da tentare di appiopparlo alla causa del loro scontento, Mario Draghi.
Della serie, non è il Movimento a essere irresponsabile, come vanno ripetendo tutti gli altri, ma chi non ha ascoltato le proposte avanzate dai pentastellati. Quindi noi, M5s, ci siamo e non serve alcun voto di fiducia, è Draghi che deve decidere se restare. Proprio così ha detto ieri sera su Facebook Giuseppe Conte, prima dell’inizio dell’assemblea congiunta di deputati e senatori: «L’atteggiamento del premier Draghi è incomprensibile e di totale chiusura» rivendicando per il proprio partito un comportamento trasparente e ricordando di aver chiesto più volte di estrapolare il voto sul termovalorizzatore di Roma dal dl Aiuti. «Qualcuno ha parlato di ricatto? Lo abbiamo subito, quando abbiamo partecipato alla votazione è chiaro che abbiamo provato a circoscrivere al minimo il significato politico di questa linearità e coerenza. Non era un’astensione né una mozione, ma il premier ne ha tratto le conseguenze che ha dovuto. Ritenevamo che potesse operare in maniera diversa. Ma abbiamo ricavato che quella nostra mancata partecipazione sia stata interpretata come una rottura».
Secondo Conte, Draghi ha interpretato male il non voto ma «noi abbiamo mandato giù tutto e chiesto soltanto risposte concrete. A questo punto, significa che ci vogliono fuori dalla maggioranza perché siamo scomodi».
E la linea per mercoledì prossimo è chiara: «Tutti stanno facendo pressione perché Draghi prosegua, noi non vogliamo tirarlo per la giacchetta, ma non potremo condividere alcuna responsabilità di governo se non ci sarà chiarezza sul documento politico consegnato e indicazione concreta sulla risoluzione di quelle questioni. Purtroppo non è più tempo dichiarazioni di intenti, ma definire un’agenda di governo chiara e un cronoprogramma specifico, valuterà Draghi se ci sono le condizioni per il M5s di inserire la sua azione politica in un contesto che si sta rivelando poco coeso. Senza risposte chiare, è evidente che il M5s non potrà condividere una responsabilità diretta di governo, ci sentiremo liberi e sereni di votare e partecipare quel che serve al Paese di volta in volta, quel che serve ai cittadini portando avanti la nostra azione politica del tutto disinteressatamente».
Insomma, uscire dal governo e passare all’opposizione parrebbe la strategia di Conte, deciso però a evitare le urne, che si tradurrebbero in una ddébâcle epocale, nel breve periodo. Resta da capire ancora se ci saranno le dimissioni dei ministri, anche se il responsabile delle Politiche agricole Stefano Patuanelli aveva detto: «Se Conte lo chiede noi ci dimettiamo, ma non l’ha fatto». Ipotesi tuttavia sempre più lontana.
L’avvocato di Volturara Appula ha parlato prima di un’assemblea congiunta in una giornata in cui era andato in scena un confronto serrato tra i pentastellati, costretti a scegliere se ritirare o meno la propria delegazione dal governo, evitando però il rischio di una «scissione dell’atomo» considerate le divisioni tra governisti e oltranzisti, tra annunci, rinvii, smentite e scappatoie furbesche. La mattinata era iniziata con il Consiglio nazionale, durato cinque ore, per fare il punto della situazione sulla crisi di governo, ma nel frattempo il capogruppo alla Camera, Davide Crippa, aveva fissato l’assemblea dei deputati grillini, scavalcando Conte e scatenando aspre polemiche fra i pentastellati per discutere la linea da tenere in vista di mercoledì prossimo. A Montecitorio, infatti, non tutti i pentastellati condividono la scelta di lasciare il governo, dopo averlo terremotato. E per allineare i due rami del Parlamento che, in casa 5 Stelle, vanno a due velocità diverse, è stato deciso, dopo averla fatta slittare tre volte (dalle ore 15 alle 16,30-18,30,19,30), di fare un’assemblea congiunta Camera-Senato «dalle ore 19,30 alle ore 23, con eventuale prosecuzione nella mattinata di domani (oggi, ndr). «La congiunta è stata convocata per evitare che Conte perda il controllo dei gruppi» ha detto un big del Movimento all’Adnkronos, «perché sa che i deputati non hanno la posizione dei senatori, e se si va al no a Draghi a prescindere alla Camera si rischia un salasso, con nuovi addii». In mattinata era arrivato un affondo dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, tra le voci più critiche nel Movimento sulla scelta di non votare la fiducia al dl Aiuti.
Il ministro ha illustrato uno scenario «estremamente critico» con i decreti-legge pendenti in Parlamento che potrebbero subire uno stop e con le «riforme abilitanti per raggiungere gli obiettivi del Pnrr entro dicembre 2022» che non giungerebbero al traguardo, dalla concorrenza, ancora da approvare in Parlamento, alla giustizia, che aspetta invece i decreti attuativi.
La mobilitazione per il Draghi bis arruola sindaci, sanitari e trasporti
«Sventurata la terra che ha bisogno di eroi», fa dire Bertolt Brecht a Galileo Galilei: scomparso nel 1956, il drammaturgo tedesco non ha fatto in tempo ad aggiungere il doveroso «a meno che l’eroe non sia Mario Draghi». Dopo gli appelli a restare in carica arrivati da Vaticano, Stati Uniti, Europa e da ogni angolo della galassia, in queste ore moltitudini di personaggi politici, protagonisti istituzionali, leader di associazioni e organizzazioni sindacali, stanno implorando Draghi affinché, seppure amareggiato dalle bizze dei partiti, faccia uno sforzo e resti alla guida di questa disperata Italia, (quasi) vedova inconsolabile del Nonno al servizio delle istituzioni. A proposito di Colle: il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, preoccupato per l’ipotesi di una crisi di governo, lascia trapelare che se Draghi non torna sui suoi passi si va al voto in autunno: un modo come un altro per mettere pressione ai parlamentari, preoccupati pure loro, ma dalla possibilità di dire addio a poltrona e stipendio. La più imprevedibile delle preghiere è recitata dalla Cgil. Il sindacato guidato da Maurizio Landini diffonde una nota che si conclude con parole affrante: «Siamo rispettosi delle soluzioni che il parlamento dovrà individuare», recita la nota della segreteria, «ma ribadiamo con forza che la crisi sociale deve essere la priorità che tutti devono avere presente. Non è il momento di indebolire il Paese e bloccare le riforme».
Tra le chicche registrate ieri vanno segnalate quella della senatrice del Pd Tatjana Rojc, secondo la quale aver fatto innervosire Draghi è «un delitto contro 60 milioni di cittadini italiani e l’Unione europea», e le previsioni apocalittiche del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che a Politico afferma: «Ora dubito che possiamo inviare armi all’Ucraina» (non si sa perché ma non sarebbe un gran danno). «Se salta il governo Draghi», insiste Di Maio, «salta il tetto massimo al prezzo del gas europeo», un tetto che non è mai stato fissato, ma Giggino è in piena trance agonistica: «C’era un Consiglio europeo dopo l’estate», aggiunge il ministro degli Esteri, «molto importante, ovviamente salta». Se Draghi si dimette quindi a sentire Di Maio non ci saranno più Consigli europei, e chi lo sa se continueranno a svolgersi il G7, il G20, le assemblee generali dell’Onu, il Festival di Sanremo e i campionati di calcio in tutto il mondo.
«Chiediamo a Mario Draghi di andare avanti», scrivono i sindaci di Venezia (Luigi Brugnaro), Genova (Marco Bucci), Bari (Antonio Decaro), Ravenna (Michele De Pascale), Bergamo (Giorgio Gori), Roma (Roberto Gualtieri), Torino (Stefano Lorusso), Firenze (Dario Nardella), Asti (Maurizio Rasero), Pesaro (Matteo Ricci) e Milano (Beppe Sala). «Draghi», aggiungono gli undici sindaci, «ha scelto con coraggio e rigore di non accontentarsi della fiducia numerica ottenuta in aula ma di esigere la sincera e leale fiducia politica di tutti i partiti che lo hanno sostenuto dall’inizio». Secondo costoro, dunque, in Italia la fiducia a un governo non è il risultato di un voto del parlamento ma una professione di fede: «Credo in un solo premier, creatore del cielo e della terra». Essendo i sindaci italiani 7.904 in totale, ne mancano 7.893: sui Comuni da loro amministrati incombono grandine e carestia. Non a caso il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, appena appreso della lettera fa sapere di «condividerne lo spirito», e sul golfo continua a splendere il sole. Si accoda anche il sindaco di Monza, Paolo Pilotto, mentre quello di Bologna, Matteo Lepore, dice di averla firmata pure lui, e che il mancato inserimento del suo nome «è dovuto solo a un ritardo nella risposta». Verrà perdonato? Non si sa.
Le organizzazioni territoriali di Confindustria pure lanciano accorati appelli al quasi ex premier: «L’auspicio è che Mario Draghi possa riprendere la sua azione di governo», dice il presidente di Confindustria Lombardia, Francesco Buzzella, con un concetto ripreso in maniera pressoché identica dai leader di Veneto, Piemonte, Romagna, Campania, Basilicata, Calabria. Un «accorato appello al presidente Draghi e al ministro Speranza», perché «non è il tempo di lasciare solo chi, da oltre due anni combatte in prima linea la battaglia, ancora in corso, contro il Covid-19», viene sottoscritto dai leader degli ordini delle professioni sanitarie: psicologi, chimici e fisici, medici chirurghi e odontoiatri, infermieri, ostetrici, tecnici sanitari di radiologia medica, tecnici della riabilitazione e della prevenzione, veterinari, biologi e assistenti sociali.
Vergata su un foglio bagnato di lacrime la richiesta «al presidente del Consiglio Mario Draghi di restare in carica» firmata ieri dalle associazioni dei trasporti: Conftrasporto, Confetra, Anasped, Angopi, Anna, Assarmatori, Assiterminal, Assocad, Assocostieri, Assoferr, Assologistica, Assotir, Associazione nazionale gestori rifiuti manutenzioni spurghi reti fognarie e idriche, Clia, Fai, Fedepiloti, Federagenti, Federlogistica, Federtraslochi, Fedespedi, Fiap, Fise Uniport e Unitai. Fa rumore il silenzio dell’Associazione nazionale amanti della braciola al rosmarino, ma mancano ancora 72 ore a mercoledì. Ma in tutto ciò, Draghi inizia almeno a vacillare di fronte a questa valanga di implorazioni? Che aria tira a Palazzo Chigi? «Sempre la stessa», sospira alla Verità una fonte informata dei fatti. Se Giuseppe Conte, avvertendo il peso del peccato commesso gravare sul suo animo, indossasse il saio del penitente, forse potrebbe aprirsi uno spiraglio. Molto forse.
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Riduci
Continua il pressing: ci si mettono pure i sindaci. Pd e Quirinale puntano a polverizzare il M5s e convincere più onorevoli possibili a ricucire. Imbarazzante video di Giuseppe Conte: non volevamo rompere, ma senza risposte dal premier sui nostri punti siamo fuori. Centrodestra: mai più coi pentastellati. Mario Draghi per ora non pare disposto a rientrare.Non solo Ue, Usa e Chiesa. A pregare il premier di restare alla guida dell’esecutivo sono primi cittadini, persino la Cgil, associazioni professionali e di categoria. Senza di lui il mondo si ferma. E si spera che Giuseppi si penta. Ma vuole l’opposizione, evitando le elezioni. E incombe il rischio scissione.Lo speciale contiene due articoli.Hanno innescato una crisi al buio e sono rimasti col cerino in mano che davvero non basta a far luce sul percorso futuro, al punto da tentare di appiopparlo alla causa del loro scontento, Mario Draghi. Della serie, non è il Movimento a essere irresponsabile, come vanno ripetendo tutti gli altri, ma chi non ha ascoltato le proposte avanzate dai pentastellati. Quindi noi, M5s, ci siamo e non serve alcun voto di fiducia, è Draghi che deve decidere se restare. Proprio così ha detto ieri sera su Facebook Giuseppe Conte, prima dell’inizio dell’assemblea congiunta di deputati e senatori: «L’atteggiamento del premier Draghi è incomprensibile e di totale chiusura» rivendicando per il proprio partito un comportamento trasparente e ricordando di aver chiesto più volte di estrapolare il voto sul termovalorizzatore di Roma dal dl Aiuti. «Qualcuno ha parlato di ricatto? Lo abbiamo subito, quando abbiamo partecipato alla votazione è chiaro che abbiamo provato a circoscrivere al minimo il significato politico di questa linearità e coerenza. Non era un’astensione né una mozione, ma il premier ne ha tratto le conseguenze che ha dovuto. Ritenevamo che potesse operare in maniera diversa. Ma abbiamo ricavato che quella nostra mancata partecipazione sia stata interpretata come una rottura». Secondo Conte, Draghi ha interpretato male il non voto ma «noi abbiamo mandato giù tutto e chiesto soltanto risposte concrete. A questo punto, significa che ci vogliono fuori dalla maggioranza perché siamo scomodi». E la linea per mercoledì prossimo è chiara: «Tutti stanno facendo pressione perché Draghi prosegua, noi non vogliamo tirarlo per la giacchetta, ma non potremo condividere alcuna responsabilità di governo se non ci sarà chiarezza sul documento politico consegnato e indicazione concreta sulla risoluzione di quelle questioni. Purtroppo non è più tempo dichiarazioni di intenti, ma definire un’agenda di governo chiara e un cronoprogramma specifico, valuterà Draghi se ci sono le condizioni per il M5s di inserire la sua azione politica in un contesto che si sta rivelando poco coeso. Senza risposte chiare, è evidente che il M5s non potrà condividere una responsabilità diretta di governo, ci sentiremo liberi e sereni di votare e partecipare quel che serve al Paese di volta in volta, quel che serve ai cittadini portando avanti la nostra azione politica del tutto disinteressatamente». Insomma, uscire dal governo e passare all’opposizione parrebbe la strategia di Conte, deciso però a evitare le urne, che si tradurrebbero in una ddébâcle epocale, nel breve periodo. Resta da capire ancora se ci saranno le dimissioni dei ministri, anche se il responsabile delle Politiche agricole Stefano Patuanelli aveva detto: «Se Conte lo chiede noi ci dimettiamo, ma non l’ha fatto». Ipotesi tuttavia sempre più lontana. L’avvocato di Volturara Appula ha parlato prima di un’assemblea congiunta in una giornata in cui era andato in scena un confronto serrato tra i pentastellati, costretti a scegliere se ritirare o meno la propria delegazione dal governo, evitando però il rischio di una «scissione dell’atomo» considerate le divisioni tra governisti e oltranzisti, tra annunci, rinvii, smentite e scappatoie furbesche. La mattinata era iniziata con il Consiglio nazionale, durato cinque ore, per fare il punto della situazione sulla crisi di governo, ma nel frattempo il capogruppo alla Camera, Davide Crippa, aveva fissato l’assemblea dei deputati grillini, scavalcando Conte e scatenando aspre polemiche fra i pentastellati per discutere la linea da tenere in vista di mercoledì prossimo. A Montecitorio, infatti, non tutti i pentastellati condividono la scelta di lasciare il governo, dopo averlo terremotato. E per allineare i due rami del Parlamento che, in casa 5 Stelle, vanno a due velocità diverse, è stato deciso, dopo averla fatta slittare tre volte (dalle ore 15 alle 16,30-18,30,19,30), di fare un’assemblea congiunta Camera-Senato «dalle ore 19,30 alle ore 23, con eventuale prosecuzione nella mattinata di domani (oggi, ndr). «La congiunta è stata convocata per evitare che Conte perda il controllo dei gruppi» ha detto un big del Movimento all’Adnkronos, «perché sa che i deputati non hanno la posizione dei senatori, e se si va al no a Draghi a prescindere alla Camera si rischia un salasso, con nuovi addii». In mattinata era arrivato un affondo dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, tra le voci più critiche nel Movimento sulla scelta di non votare la fiducia al dl Aiuti. Il ministro ha illustrato uno scenario «estremamente critico» con i decreti-legge pendenti in Parlamento che potrebbero subire uno stop e con le «riforme abilitanti per raggiungere gli obiettivi del Pnrr entro dicembre 2022» che non giungerebbero al traguardo, dalla concorrenza, ancora da approvare in Parlamento, alla giustizia, che aspetta invece i decreti attuativi. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/aperta-caccia-grillino-pentito-2657683105.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-mobilitazione-per-il-draghi-bis-arruola-sindaci-sanitari-e-trasporti" data-post-id="2657683105" data-published-at="1658012253" data-use-pagination="False"> La mobilitazione per il Draghi bis arruola sindaci, sanitari e trasporti «Sventurata la terra che ha bisogno di eroi», fa dire Bertolt Brecht a Galileo Galilei: scomparso nel 1956, il drammaturgo tedesco non ha fatto in tempo ad aggiungere il doveroso «a meno che l’eroe non sia Mario Draghi». Dopo gli appelli a restare in carica arrivati da Vaticano, Stati Uniti, Europa e da ogni angolo della galassia, in queste ore moltitudini di personaggi politici, protagonisti istituzionali, leader di associazioni e organizzazioni sindacali, stanno implorando Draghi affinché, seppure amareggiato dalle bizze dei partiti, faccia uno sforzo e resti alla guida di questa disperata Italia, (quasi) vedova inconsolabile del Nonno al servizio delle istituzioni. A proposito di Colle: il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, preoccupato per l’ipotesi di una crisi di governo, lascia trapelare che se Draghi non torna sui suoi passi si va al voto in autunno: un modo come un altro per mettere pressione ai parlamentari, preoccupati pure loro, ma dalla possibilità di dire addio a poltrona e stipendio. La più imprevedibile delle preghiere è recitata dalla Cgil. Il sindacato guidato da Maurizio Landini diffonde una nota che si conclude con parole affrante: «Siamo rispettosi delle soluzioni che il parlamento dovrà individuare», recita la nota della segreteria, «ma ribadiamo con forza che la crisi sociale deve essere la priorità che tutti devono avere presente. Non è il momento di indebolire il Paese e bloccare le riforme». Tra le chicche registrate ieri vanno segnalate quella della senatrice del Pd Tatjana Rojc, secondo la quale aver fatto innervosire Draghi è «un delitto contro 60 milioni di cittadini italiani e l’Unione europea», e le previsioni apocalittiche del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che a Politico afferma: «Ora dubito che possiamo inviare armi all’Ucraina» (non si sa perché ma non sarebbe un gran danno). «Se salta il governo Draghi», insiste Di Maio, «salta il tetto massimo al prezzo del gas europeo», un tetto che non è mai stato fissato, ma Giggino è in piena trance agonistica: «C’era un Consiglio europeo dopo l’estate», aggiunge il ministro degli Esteri, «molto importante, ovviamente salta». Se Draghi si dimette quindi a sentire Di Maio non ci saranno più Consigli europei, e chi lo sa se continueranno a svolgersi il G7, il G20, le assemblee generali dell’Onu, il Festival di Sanremo e i campionati di calcio in tutto il mondo. «Chiediamo a Mario Draghi di andare avanti», scrivono i sindaci di Venezia (Luigi Brugnaro), Genova (Marco Bucci), Bari (Antonio Decaro), Ravenna (Michele De Pascale), Bergamo (Giorgio Gori), Roma (Roberto Gualtieri), Torino (Stefano Lorusso), Firenze (Dario Nardella), Asti (Maurizio Rasero), Pesaro (Matteo Ricci) e Milano (Beppe Sala). «Draghi», aggiungono gli undici sindaci, «ha scelto con coraggio e rigore di non accontentarsi della fiducia numerica ottenuta in aula ma di esigere la sincera e leale fiducia politica di tutti i partiti che lo hanno sostenuto dall’inizio». Secondo costoro, dunque, in Italia la fiducia a un governo non è il risultato di un voto del parlamento ma una professione di fede: «Credo in un solo premier, creatore del cielo e della terra». Essendo i sindaci italiani 7.904 in totale, ne mancano 7.893: sui Comuni da loro amministrati incombono grandine e carestia. Non a caso il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, appena appreso della lettera fa sapere di «condividerne lo spirito», e sul golfo continua a splendere il sole. Si accoda anche il sindaco di Monza, Paolo Pilotto, mentre quello di Bologna, Matteo Lepore, dice di averla firmata pure lui, e che il mancato inserimento del suo nome «è dovuto solo a un ritardo nella risposta». Verrà perdonato? Non si sa. Le organizzazioni territoriali di Confindustria pure lanciano accorati appelli al quasi ex premier: «L’auspicio è che Mario Draghi possa riprendere la sua azione di governo», dice il presidente di Confindustria Lombardia, Francesco Buzzella, con un concetto ripreso in maniera pressoché identica dai leader di Veneto, Piemonte, Romagna, Campania, Basilicata, Calabria. Un «accorato appello al presidente Draghi e al ministro Speranza», perché «non è il tempo di lasciare solo chi, da oltre due anni combatte in prima linea la battaglia, ancora in corso, contro il Covid-19», viene sottoscritto dai leader degli ordini delle professioni sanitarie: psicologi, chimici e fisici, medici chirurghi e odontoiatri, infermieri, ostetrici, tecnici sanitari di radiologia medica, tecnici della riabilitazione e della prevenzione, veterinari, biologi e assistenti sociali. Vergata su un foglio bagnato di lacrime la richiesta «al presidente del Consiglio Mario Draghi di restare in carica» firmata ieri dalle associazioni dei trasporti: Conftrasporto, Confetra, Anasped, Angopi, Anna, Assarmatori, Assiterminal, Assocad, Assocostieri, Assoferr, Assologistica, Assotir, Associazione nazionale gestori rifiuti manutenzioni spurghi reti fognarie e idriche, Clia, Fai, Fedepiloti, Federagenti, Federlogistica, Federtraslochi, Fedespedi, Fiap, Fise Uniport e Unitai. Fa rumore il silenzio dell’Associazione nazionale amanti della braciola al rosmarino, ma mancano ancora 72 ore a mercoledì. Ma in tutto ciò, Draghi inizia almeno a vacillare di fronte a questa valanga di implorazioni? Che aria tira a Palazzo Chigi? «Sempre la stessa», sospira alla Verità una fonte informata dei fatti. Se Giuseppe Conte, avvertendo il peso del peccato commesso gravare sul suo animo, indossasse il saio del penitente, forse potrebbe aprirsi uno spiraglio. Molto forse.
Volodymyr Zelensky (Ansa)
«Al momento, ci sono tre documenti: i 20 punti fondamentali, le garanzie di sicurezza e il documento sull’economia e la ricostruzione», ha proseguito il funzionario. Sempre ieri, Volodymyr Zelensky ha avuto un colloquio, da lui stesso definito «costruttivo e approfondito», sulle garanzie di sicurezza con alcuni alti funzionari americani: il segretario di Stato, Marco Rubio, il capo del Pentagono, Pete Hegseth, e l’inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff.
Nel frattempo, le relazioni transatlantiche si stanno facendo sempre più tese. Mercoledì sera, Donald Trump ha commentato aspramente la telefonata che, alcune ore prima, aveva avuto con Keir Starmer, Friedrich Merz ed Emmanuel Macron.
«Abbiamo parlato con i leader di Francia, Germania e Regno Unito, tutti ottimi leader, miei cari amici. E abbiamo discusso dell’Ucraina con parole piuttosto forti. E vedremo cosa succede. Voglio dire, stiamo aspettando di sentire le risposte», ha dichiarato il presidente americano, che ha anche rivelato di essere stato invitato a un incontro in Europa, dedicato alla questione delle garanzie di sicurezza. «Prima di andare a un incontro, vogliamo sapere alcune cose», ha affermato, per poi aggiungere: «Vorrebbero che andassimo a un incontro nel fine settimana in Europa, e prenderemo una decisione, a seconda di cosa ci diranno. Non vogliamo perdere tempo». In tal senso, la Casa Bianca ha fatto sapere che Trump non ha ancora deciso se mandare o meno un rappresentante al vertice di Parigi in programma sabato.
È in questo quadro che, ieri, Merz ha chiesto agli Stati Uniti di partecipare a un meeting che dovrebbe tenersi all’inizio della prossima settimana a Berlino. Il cancelliere tedesco ha inoltre sottolineato che il principale nodo sul tavolo risiede in «quali concessioni territoriali l’Ucraina è disposta a fare». Lunedì scorso, Zelensky aveva escluso delle cessioni di territorio, ribadendo una linea in netto contrasto con quella della Casa Bianca che, ormai da tempo, sta cercando di convincere il presidente ucraino a rinunciare al Donbass. A tal proposito, ieri Zelensky ha confermato che le questioni territoriali (soprattutto quelle del Donetsk e di Zaporizhia) sono ancora «in discussione» e che, secondo lui, dovrebbero essere decise tramite «elezioni o referendum. Deve esserci una posizione del popolo ucraino». Ha inoltre aggiunto che gli Usa vorrebbero creare una «zona economica libera» nell’area di Donbass che Kiev, stando ai desiderata della Casa Bianca, dovrebbe eventualmente abbandonare. Infine, secondo il leader ucraino, Washington ritiene che un cessate il fuoco totale sia possibile solo a seguito della firma di un accordo quadro. Ricordiamo che, negli scorsi giorni, Trump si era detto «deluso» da Zelensky, accusando inoltre i leader europei di debolezza. A complicare ulteriormente le relazioni transatlantiche ci si è poi messo Macron che, la scorsa settimana, si è recato in Cina, tentando maldestramente di avviare un processo di pace alternativo a quello condotto da Washington.
Mosca, dal canto suo, ha invece espresso sintonia con la Casa Bianca. «Di recente, quando il rappresentante speciale del presidente Trump, Stephen Witkoff, è stato qui, dopo il suo incontro con Vladimir Putin, entrambe le parti, russa e americana, hanno confermato le intese reciproche raggiunte in Alaska», ha dichiarato ieri il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov. «L’essenza di queste intese è che l’Ucraina deve tornare ai fondamenti non allineati, neutrali e non nucleari del suo Stato», ha aggiunto. «Dobbiamo dare il giusto riconoscimento al leader americano: dopo il suo ritorno alla Casa Bianca, ha affrontato seriamente la questione. A nostro avviso, si sta impegnando sinceramente per contribuire a risolvere il conflitto attraverso mezzi politici e diplomatici», ha proseguito. Non solo. Sempre ieri, Mosca ha mostrato apprezzamento verso l’eventualità, rivelata dal Wall Street Journal, che, nel quadro di un potenziale accordo di pace, Washington possa effettuare investimenti in energia russa. «Siamo interessati a un afflusso di investimenti esteri», ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov. Ciò detto, ieri la Casa Bianca ha detto che il presidente americano è «estremamente frustrato» tanto da Kiev quanto da Mosca.
Trump punta a chiudere la crisi ucraina per sganciare Mosca da Pechino, facendo leva su economia e commercio. Vladimir Putin, dal canto suo, ha bisogno della Casa Bianca per cercare di riacquisire influenza in Medio Oriente: lo zar vuole infatti recuperare terreno in Siria e ritagliarsi il ruolo di mediatore tra Washington e Teheran sul nucleare. Ebbene, davanti ai significativi interessi che stanno alla base del riavvicinamento tra Usa e Russia, gli europei fanno fatica a ritagliarsi un ruolo diplomatico, oltreché geopolitico, di peso.
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