2021-04-30
Anziché proteggerci, indagano chi si difende
Il gioielliere del Cuneese che ha reagito alla rapina non è un giustiziere: è un uomo che, inerme, nel 2015 aveva già visto dei banditi minacciare sua figlia e spaccargli il naso. Perché i pregiudicati che l’hanno aggredito erano liberi e lui rischia l’odissea giudiziaria?E capisci che da quei pochi secondi può dipendere la vita tua e quella dei tuoi cari. Che fai? «O io o loro». «O noi o loro». Allora spari. E non perché sei uno sceriffo, non perché vuoi il far west, non perché vuoi la giustizia fai da te, come ora diranno tutti i campioni del buonismo da talk show. Semplicemente perché hai paura. E la paura non si può mettere sotto processo. La paura non si può condannare. Per questo trovo assurdo che il gioielliere Mario Roggero sia indagato per omicidio colposo ed eccesso di legittima difesa. Trovo assurdo che debba prendersi un avvocato e difendersi dallo Stato, dopo che si è difeso dai rapinatori. Per altro era lo Stato che avrebbe dovuto difenderlo dai rapinatori. Non l’ha fatto. E ora con che coraggio lo mette sul banco degli accusati? E per quale motivo? Perché non si è fatto ammazzare? Perché non ha fatto ammazzare la moglie? O la figlia? Per questo dovrà subire mesi di indagini e anni di tribunali? Per questo dovrà sottoporsi a perizie e controperizie, alla trafila degli atti processuali, all’umiliazione di essere trattato come un omicida? Può essere omicida la voglia di vivere? Può essere messa sotto processo l’aspirazione a non farsi trucidare? Il desiderio di non vedere i propri cari massacrati sotto i propri occhi? Dicono: è un atto dovuto. Ma «dovuto» perché? Chi l’ha deciso? Dove sta scritto? Chi spara per difendersi non merita un’inchiesta. Al massimo, un medaglia. Sia chiaro: se l’«atto dovuto» consiste nell’aprire un’inchiesta, benissimo, la si apra. Ma l’indagato non deve essere il gioielliere. Devono essere i ladri, i due che sono morti e quello rimasto ferito. Si indaghi sulle loro intenzioni. Sui loro precedenti. S’indaghi sul motivo per cui in un tranquillo mercoledì d’aprile potevano scorrazzare per il Cuneese a far rapine con il loro carico di precedenti penali. S’indaghi se c’è qualcuno che ha sbagliato a lasciarli liberi. S’indaghi sul loro atto criminale. E su quali altre imprese del genere hanno compiuto. Ci sono molte cose su cui si può indagare. Ma non su Mario Roggero. Lui, l’altra sera, non avrebbe fatto male nemmeno a un moscerino, se non si fosse trovato davanti alla scelta più tragica della sua vita: «O io o loro». Meglio loro Mario, meglio loro. Non è mai bello quando qualcuno muore ammazzato, ma se qualcuno doveva morire ammazzato, beh, non c’è dubbio: meglio loro. D’altra parte se vai in giro a rapinare gioiellerie impugnando coltelli e pistole e ti metti a menar fendenti sulla faccia dei titolari, che ti aspetti? Un bacio Perugina? Un tè caldo con biscotti? Un invito a cena? Gli aggrediti possono reagire. Per paura. Per istinto di sopravvivenza. E se reagiscono l’unica cosa che puoi pensare è: «Me la sono cercata». Il gioielliere Mario, invece, non se l’è cercata. Stava in negozio a lavorare. Non aveva altro desiderio che chiudere la sua bottega, come fa da quarant’anni a questa parte, con la moglie e la figlia, e tornarsene a casa. L’unica cosa che avrebbe potuto aggredire è un bicchiere di barbaresco, che da quelle parti è particolarmente buono. In paese tutti lo descrivono così: «Un uomo tranquillo, riservato, una colonna della comunità». Nel 2015 era già stato rapinato in modo violento: due delinquenti avevano legato lui e la figlia, lo avevano colpito al volto, gli avevano spaccato il setto nasale e gli avevano portato via preziosi per 300.000 euro. Sei mesi dopo, i banditi furono catturati. «Quanto passerà prima che tornino liberi?», si era chiesto Roggero. Anche quelli che l’hanno assaltato mercoledì sera avevano già numerosi precedenti. Ed erano liberi. Lo Stato italiano è così: clemente nei confronti dei malviventi, inflessibile nei confronti delle vittime. Per questo indaga Roggero. Che anche se dovesse vedersi riconosciute dal giudice le sue ragioni di legittima difesa (come ci auguriamo avvenga, anche in base all’applicazione della nuova legge), passerà comunque attraverso mesi d’inferno che gli stravolgeranno la vita: Franco Birolo, il tabaccaio di Padova che uccise un ladro nel 2012, è riuscito a liberarsi da tutte le minacce penali e civili solo nel 2019. È stato assolto sotto ogni punto di vista, ma nel frattempo ha perso il negozio. Fredy Pacini, il gommista di Arezzo, che ha ucciso un ladro nel novembre 2018 ha ottenuto l’archiviazione solo nel marzo di quest’anno, dopo quasi tre anni di inchiesta. Mario Cattaneo, l’oste di Lodi, che uccise un ladro nel febbraio 2017 è stato assolto «perché il fatto non sussiste» soltanto nel gennaio 2020, dopo un travaglio infinito. «La mia vita non è stata più la stessa», ha raccontato. Nemmeno la vita di Roggero sarà più la stessa. Già era stata sconvolta dopo la prima rapina («Da quel giorno mia figlia e io conviviamo con incubi e problemi di salute. Non è stato facile ricominciare», aveva raccontato), lo sarà ancora di più dopo la seconda. Per cui è ovvio: #iostoconroggero #noistiamoconmario, stiamo e staremo sempre dalla sua parte, rilanciamo la citazione di Einstein con cui ha commentato l’episodio sul suo profilo Facebook («Il mondo non è minacciato dalla persone che fanno il male, ma da quelle che lo tollerano»), abbracciamo forte lui, la moglie Marinella, la figlia Laura che era in negozio, gli altri tre che lo aiuteranno ad affrontare questa dura prova. Ma non ci basta più. Non ci basta più stare dalla parte delle vere vittime. Vorremmo finalmente che le vere vittime fossero riconosciute come tali anche dallo Stato. E, se non premiate, almeno consolate. Non di certo indagate. Chiediamo troppo?
Lo stabilimento Stellantis di Melfi (Imagoeconomica)
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