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2022-02-02
Anziché eliminare Dad e quarantene vogliono la gogna pure per i bambini
Oggi il governo potrebbe decidere di introdurre norme distinte tra alunni vaccinati e non, anche alle elementari. Dopo la riunione del Cts prevista alle 12, il Consiglio dei ministri si riunisce, infatti, per valutare se estendere alla primaria le regole in vigore alle medie e alle superiori, ovvero didattica a distanza solo al terzo positivo registrato in classe, però con dei distinguo che diventerebbero una pesantissima discriminazione.
I bimbi vaccinati saranno in Dad cinque giorni, che sarà il doppio per chi non ha fatto nemmeno una dose. Con due positivi rimarrebbe a casa solo chi è vaccinato da più di quattro mesi o non ha mai ricevuto nemmeno la prima dose, oppure è guarito da più di 120 giorni. Alla faccia del diritto allo studio per tutti, fin dalla più tenera età si vuole creare un clima di contrasto tra immunizzati e non, lasciando a casa per dieci giorni chi non ha offerto il braccino, mentre i compagni di classe «virtuosi» saranno riammessi in presenza in metà tempo. «Quello che mi interessa è ottenere l’allentamento delle restrizioni, il diritto alla scuola per tutti», dichiarava ieri il segretario della Lega, Matteo Salvini, anticipando il tema di cui intende discutere in settimana con il premier Mario Draghi. Aggiungeva: «Leggo di bizzarre ipotesi di divieti alla scuola per bimbi di 6 e 7 anni o con distinzioni tra vaccinati e non vaccinati e penso sia il momento di fare l’esatto contrario».
Dopo circolari e decreti e vari, molti dei quali contraddittori e che hanno portato il caos nella scuola imponendo protocolli assurdi da seguire per i docenti e per i genitori, adesso arriverebbe la mossa capolavoro, per imporre di fatto la vaccinazione alle elementari. Quale bambino non avrà da lamentarsi in famiglia, perché costretto a restare fuori di classe per più tempo rispetto agli amichetti che si sono fatti il vaccino?
Il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, tra i tanti suoi propositi annunciati, sosteneva che era in corso una «riflessione» per semplificare la certificazione del rientro a scuola degli alunni che sono stati contagiati dal Covid e hanno superato la malattia, sottolineando che «al di là della formula con cui si rientra, è importante che il rientro ci sia stato e che si è affermato il principio che la scuola è in presenza, ed è un diritto».
La formula è fondamentale, non secondaria, visto che si tratta di garantire la continuità di studio per i bambini senza discriminazioni da vaccino anti Covid. Invece anche la quarantena dovrebbe avere modalità diverse, così come viene imposto a tutti i cittadini, quindi niente isolamento per vaccinati da meno di 120 giorni e guariti, cinque giorni per chi è vaccinato o guarito da più di 120 giorni, ma dieci giorni per i non vaccinati.
Una «punizione», perché di altro non si tratterebbe, con tempi più lunghi di segregazione in casa, senza poter giocare né andare a scuola. E per fortuna che si vuole il bene dei più piccoli, che tanto hanno sofferto in due anni di lockdown e limitazioni. «Non avere contatti fisici, reali, coi propri pari impoverisce la “dieta del nostro cervello emotivo”», ha scritto Marcella Mauro del Centro di neuropsicologia di Humanitas medical care. E con la Dad, che determina diffuso disagio psicologico tra i ragazzi, «aumenta la propensione all’isolamento nel pianeta digitale», segnalava già un anno fa l’Ordine nazionale degli psicologi.
Nessuna novità dovrebbe esserci sul fronte scuole dell’infanzia, dove basta un solo bimbo 0-5 anni positivo per lasciare tutti a casa dieci giorni. Una norma assurda, che sta creando infiniti problemi alle famiglie, che non possono godere del servizio educativo, devono pagare baby sitter se i nonni non ci sono o sono troppi fragili, pagare i tamponi dopo l’uscita dalla quarantena.
Nel mondo della scuola si registra pure il malumore per la reintroduzione della seconda prova scritta all’esame di Stato, diversa per ogni singolo istituto a differenza della prima che rimane predisposta su base nazionale. «Gli studenti che affronteranno le prove di giugno sono quelli che più hanno sofferto l’emergenza: due anni e mezzo del loro percorso scolastico sono stati pesantemente inficiati dalla pandemia», ha commentato Antonello Giannelli, presidente dell’associazione nazionale presidi (Anp). «Anche la decisione di basare la seconda prova scritta su una sola materia tra quelle di indirizzo rappresenta un passo indietro, perché si perde quella interdisciplinarietà che rappresentava un salto di qualità nella rilevazione delle competenze degli studenti. Ci auguriamo che il ministro ci ripensi e tolga la seconda prova agli esami di maturità».
Secondo Tommaso Biancuzzi, della Rete degli studenti medi, sindacato studentesco, «serve una maturità che tenga conto degli ultimi tre anni di scuola a singhiozzo, tra didattica mista e a distanza. Serve una maturità che dia importanza e spazio ai percorsi personali con una tesina e niente scritti». Per questo, tra due giorni protesteranno davanti al ministero dell’Istruzione e in molte piazze italiane.
«Inaffidabili i trial di Pfizer sui sieri»
«I risultati dell’efficacia del 95% del vaccino annunciati da Pfizer non potevano essere considerati affidabili per il criterio principale, vale a dire, prima insorgenza di Covid-19 sintomatico a partire da 7 giorni dopo la dose 2». È il parere della biostatistica Christine Cotton, specialista in sperimentazioni cliniche, che ha pubblicato su FranceSoir la sua perizia metodologica, richiesta da un avvocato alla Corte d’Appello del Quebec, entrando nei dettagli dei vaccini contro il coronavirus. In sostanza una valutazione delle pratiche metodologiche implementate nelle sperimentazioni Pfizer per lo sviluppo del suo vaccino a RNA messaggero contro il Covid-19, in relazione alle buone pratiche cliniche.
La Cotton, con 23 anni di esperienza, ha nel suo curriculum oltre 500 studi nell’industria farmaceutica e varie sperimentazioni cliniche, ha esaminato tutta la documentazione del laboratorio Pfizer registrato presso le autorità americane ed europee, per individuare e determinare i bias, ovvero gli elementi che possono far deviare i risultati dal loro vero valore.
Dagli intervalli di confidenza con campioni con zero o pochi pazienti a risultati statisticamente non dimostrati su casi gravi o anziani, una rassegna completa in termini semplici e comprensibili. La specialista indipendente, che ha lavorato per i più grandi laboratori come Astrazeneca, J&J, Roche, ritiene che l’efficacia del vaccino annunciata dal colosso farmaceutico Usa «non si può considerare efficace» perché chi ha partecipato ai trials doveva segnalare i propri sintomi al sito che li aveva reclutati, per capire se si trattava di casi sintomatici di Covid. Ma «qualsiasi segnalazione incompleta o errata da parte del partecipante che non ha la competenza per giudicare il suo stato di salute, l’uso autorizzato di antipiretici che sopprimono i sintomi, febbre e dolore, portano a una sottovalutazione del numero di contagiati sintomatici, poiché solo i partecipanti che segnalano sintomi dovrebbero completare un test Pcr, ossia molecolare, come parte di questo studio. Altrimenti, nessun sintomo significa nessun test Pcr e nessun test Pcr significa niente Covid-19». Per la Cotton era necessario effettuare test molecolari a tutta la popolazione inclusa nella sperimentazione clinica per capire se il Covid asintomatico fosse vettore di malattia. Pertanto, sottolinea la biostatistica, «è chiaro che tutta la comunicazione sulla vaccinazione che frena la trasmissione del virus, non sia stata supportata da alcun risultato nella sperimentazione clinica».
Altro problema la valutazione della tolleranza, poiché «abbiamo solo due mesi mediani di follow-up dopo la seconda dose, ovvero il 50% dei partecipanti a meno di due mesi e il 50% a più di due mesi: un periodo di osservazione che è troppo breve per raccogliere la tolleranza a medio e lungo termine».
Infine un altro dato scioccante della relazione: nell’ottobre 2021 è stato finalmente riconosciuto il rischio di miocardite/pericardite da vaccino nei soggetti di età compresa tra 12 e 39 anni, quando la popolazione generale era già vaccinata da diversi mesi e il rischio era stato sottovalutato. A fronte di tutte queste «distorsioni e informazioni mancanti» Christine Cotton ha chiesto «la sospensione urgente di tutte le vaccinazioni con Comirnaty, )il vaccino BionTech-Pfizer) non solo per le popolazioni su cui non abbiamo informazioni fino ad oggi, ma anche per l’intera popolazione, in attesa delle spiegazioni del laboratorio Pfizer sulla scelta del proprio piano di sperimentazione, delle sue modalità di valutazione, dell’algoritmo per il calcolo dei criteri d’efficacia, dell’assenza di un test Pcr sulla popolazione generale».
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Oggi il Cdm estenderà la discriminazione alle elementari. Lezioni online con tre casi, con due a casa solo i non vaccinati, penalizzati anche sull’isolamento. Matteo Salvini: «Ipotesi bizzarre, restrizioni da allentare».«Inaffidabili i trial di Pfizer sui sieri». Per la biostatistica Christine Cotton, i test sull’efficacia del preparato sono imprecisi. Pochi pazienti, segnalazioni incomplete e rischi sottovalutati comprometterebbero i risultati.Lo speciale comprende due articoli. Oggi il governo potrebbe decidere di introdurre norme distinte tra alunni vaccinati e non, anche alle elementari. Dopo la riunione del Cts prevista alle 12, il Consiglio dei ministri si riunisce, infatti, per valutare se estendere alla primaria le regole in vigore alle medie e alle superiori, ovvero didattica a distanza solo al terzo positivo registrato in classe, però con dei distinguo che diventerebbero una pesantissima discriminazione. I bimbi vaccinati saranno in Dad cinque giorni, che sarà il doppio per chi non ha fatto nemmeno una dose. Con due positivi rimarrebbe a casa solo chi è vaccinato da più di quattro mesi o non ha mai ricevuto nemmeno la prima dose, oppure è guarito da più di 120 giorni. Alla faccia del diritto allo studio per tutti, fin dalla più tenera età si vuole creare un clima di contrasto tra immunizzati e non, lasciando a casa per dieci giorni chi non ha offerto il braccino, mentre i compagni di classe «virtuosi» saranno riammessi in presenza in metà tempo. «Quello che mi interessa è ottenere l’allentamento delle restrizioni, il diritto alla scuola per tutti», dichiarava ieri il segretario della Lega, Matteo Salvini, anticipando il tema di cui intende discutere in settimana con il premier Mario Draghi. Aggiungeva: «Leggo di bizzarre ipotesi di divieti alla scuola per bimbi di 6 e 7 anni o con distinzioni tra vaccinati e non vaccinati e penso sia il momento di fare l’esatto contrario». Dopo circolari e decreti e vari, molti dei quali contraddittori e che hanno portato il caos nella scuola imponendo protocolli assurdi da seguire per i docenti e per i genitori, adesso arriverebbe la mossa capolavoro, per imporre di fatto la vaccinazione alle elementari. Quale bambino non avrà da lamentarsi in famiglia, perché costretto a restare fuori di classe per più tempo rispetto agli amichetti che si sono fatti il vaccino? Il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, tra i tanti suoi propositi annunciati, sosteneva che era in corso una «riflessione» per semplificare la certificazione del rientro a scuola degli alunni che sono stati contagiati dal Covid e hanno superato la malattia, sottolineando che «al di là della formula con cui si rientra, è importante che il rientro ci sia stato e che si è affermato il principio che la scuola è in presenza, ed è un diritto». La formula è fondamentale, non secondaria, visto che si tratta di garantire la continuità di studio per i bambini senza discriminazioni da vaccino anti Covid. Invece anche la quarantena dovrebbe avere modalità diverse, così come viene imposto a tutti i cittadini, quindi niente isolamento per vaccinati da meno di 120 giorni e guariti, cinque giorni per chi è vaccinato o guarito da più di 120 giorni, ma dieci giorni per i non vaccinati. Una «punizione», perché di altro non si tratterebbe, con tempi più lunghi di segregazione in casa, senza poter giocare né andare a scuola. E per fortuna che si vuole il bene dei più piccoli, che tanto hanno sofferto in due anni di lockdown e limitazioni. «Non avere contatti fisici, reali, coi propri pari impoverisce la “dieta del nostro cervello emotivo”», ha scritto Marcella Mauro del Centro di neuropsicologia di Humanitas medical care. E con la Dad, che determina diffuso disagio psicologico tra i ragazzi, «aumenta la propensione all’isolamento nel pianeta digitale», segnalava già un anno fa l’Ordine nazionale degli psicologi.Nessuna novità dovrebbe esserci sul fronte scuole dell’infanzia, dove basta un solo bimbo 0-5 anni positivo per lasciare tutti a casa dieci giorni. Una norma assurda, che sta creando infiniti problemi alle famiglie, che non possono godere del servizio educativo, devono pagare baby sitter se i nonni non ci sono o sono troppi fragili, pagare i tamponi dopo l’uscita dalla quarantena. Nel mondo della scuola si registra pure il malumore per la reintroduzione della seconda prova scritta all’esame di Stato, diversa per ogni singolo istituto a differenza della prima che rimane predisposta su base nazionale. «Gli studenti che affronteranno le prove di giugno sono quelli che più hanno sofferto l’emergenza: due anni e mezzo del loro percorso scolastico sono stati pesantemente inficiati dalla pandemia», ha commentato Antonello Giannelli, presidente dell’associazione nazionale presidi (Anp). «Anche la decisione di basare la seconda prova scritta su una sola materia tra quelle di indirizzo rappresenta un passo indietro, perché si perde quella interdisciplinarietà che rappresentava un salto di qualità nella rilevazione delle competenze degli studenti. Ci auguriamo che il ministro ci ripensi e tolga la seconda prova agli esami di maturità». Secondo Tommaso Biancuzzi, della Rete degli studenti medi, sindacato studentesco, «serve una maturità che tenga conto degli ultimi tre anni di scuola a singhiozzo, tra didattica mista e a distanza. Serve una maturità che dia importanza e spazio ai percorsi personali con una tesina e niente scritti». 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È il parere della biostatistica Christine Cotton, specialista in sperimentazioni cliniche, che ha pubblicato su FranceSoir la sua perizia metodologica, richiesta da un avvocato alla Corte d’Appello del Quebec, entrando nei dettagli dei vaccini contro il coronavirus. In sostanza una valutazione delle pratiche metodologiche implementate nelle sperimentazioni Pfizer per lo sviluppo del suo vaccino a RNA messaggero contro il Covid-19, in relazione alle buone pratiche cliniche. La Cotton, con 23 anni di esperienza, ha nel suo curriculum oltre 500 studi nell’industria farmaceutica e varie sperimentazioni cliniche, ha esaminato tutta la documentazione del laboratorio Pfizer registrato presso le autorità americane ed europee, per individuare e determinare i bias, ovvero gli elementi che possono far deviare i risultati dal loro vero valore. Dagli intervalli di confidenza con campioni con zero o pochi pazienti a risultati statisticamente non dimostrati su casi gravi o anziani, una rassegna completa in termini semplici e comprensibili. La specialista indipendente, che ha lavorato per i più grandi laboratori come Astrazeneca, J&J, Roche, ritiene che l’efficacia del vaccino annunciata dal colosso farmaceutico Usa «non si può considerare efficace» perché chi ha partecipato ai trials doveva segnalare i propri sintomi al sito che li aveva reclutati, per capire se si trattava di casi sintomatici di Covid. Ma «qualsiasi segnalazione incompleta o errata da parte del partecipante che non ha la competenza per giudicare il suo stato di salute, l’uso autorizzato di antipiretici che sopprimono i sintomi, febbre e dolore, portano a una sottovalutazione del numero di contagiati sintomatici, poiché solo i partecipanti che segnalano sintomi dovrebbero completare un test Pcr, ossia molecolare, come parte di questo studio. Altrimenti, nessun sintomo significa nessun test Pcr e nessun test Pcr significa niente Covid-19». Per la Cotton era necessario effettuare test molecolari a tutta la popolazione inclusa nella sperimentazione clinica per capire se il Covid asintomatico fosse vettore di malattia. Pertanto, sottolinea la biostatistica, «è chiaro che tutta la comunicazione sulla vaccinazione che frena la trasmissione del virus, non sia stata supportata da alcun risultato nella sperimentazione clinica». Altro problema la valutazione della tolleranza, poiché «abbiamo solo due mesi mediani di follow-up dopo la seconda dose, ovvero il 50% dei partecipanti a meno di due mesi e il 50% a più di due mesi: un periodo di osservazione che è troppo breve per raccogliere la tolleranza a medio e lungo termine». Infine un altro dato scioccante della relazione: nell’ottobre 2021 è stato finalmente riconosciuto il rischio di miocardite/pericardite da vaccino nei soggetti di età compresa tra 12 e 39 anni, quando la popolazione generale era già vaccinata da diversi mesi e il rischio era stato sottovalutato. A fronte di tutte queste «distorsioni e informazioni mancanti» Christine Cotton ha chiesto «la sospensione urgente di tutte le vaccinazioni con Comirnaty, )il vaccino BionTech-Pfizer) non solo per le popolazioni su cui non abbiamo informazioni fino ad oggi, ma anche per l’intera popolazione, in attesa delle spiegazioni del laboratorio Pfizer sulla scelta del proprio piano di sperimentazione, delle sue modalità di valutazione, dell’algoritmo per il calcolo dei criteri d’efficacia, dell’assenza di un test Pcr sulla popolazione generale».
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Sempre la storia dimostra che questo tipo di progresso tecnologico è spesso seguito dallo sviluppo di contromisure, non a caso stiamo assistendo alla comparsa di armi anti-drone, queste sia di tipo convenzionale, con un proiettile che viene sparato contro di essi, ma anche del tipo a energia concentrata, ovvero laser. L’evidenza però è che l'uso dei droni abbia cambiato la natura della guerra, con la zona in cui le forze di terra sono vulnerabili ad attacchi letali da parte di mezzi a pilotaggio remoto che si estende tra dieci e sedici chilometri dietro la linea del fronte. Ciò ha reso trincee, posizioni fortificate e veicoli blindati molto più vulnerabili di quanto non lo fossero in precedenza, costringendo l’industria a sviluppare nuovi tipi di protezioni da installare a bordo. Così se inizialmente i droni hanno dimostrato il loro valore nelle operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione, poi in quello di effettori d’attacco, ora costituiscono anche una forza di difesa restando comunque utili per la raccolta di informazioni in tempo reale e per fornire consapevolezza della situazione del campo di battaglia, come anche a supporto della pianificazione e del comando, nel controllo e nella comunicazione come nell'avvistamento dell'artiglieria.
Un colpo deve costare meno di un proiettile
Uno dei problemi da risolvere per praticare un vero contrasto ai droni sono i costi: un sistema laser, oltre che costoso è anche difficilmente trasportabile e resta comunque vulnerabile a eventuali attacchi, dunque in Ucraina vengono usate le infinitamente più economiche reti che riducono l'efficacia dei droni imbrigliandone le eliche. La Marina britannica ha recentemente annunciato che impiegherà un'arma a energia diretta denominata DragonFire, sistema che come detto, sebbene presenti delle limitazioni, come il costo iniziale, le dimensioni, la necessità di alimentazione elettrica e il fatto di dover avere il bersaglio in vista per colpirlo, a ogni colpo costa soltanto l’equivalente di 12 euro. L’alternativa è usare la radiofrequenza, ovvero un’onda radio, che però in quanto a limitazioni si discosta di poco dall’altro: presenta l’indubbio vantaggio di poter colpire più bersagli contemporaneamente, ma non può distinguere tra i bersagli che ingaggia quali sono amici e quali nemici. Tradotto: nessun mezzo amico può volare quando viene usato tale sistema. Non si risolve il problema neppure con effettori come piccoli missili, che costerebbero più di altri droni: esistono, sia chiaro, ma se per neutralizzare un oggetto del valore di qualche migliaio di dollari se ne impiega uno che costa qualche milione, come è avvenuto nel Mar Rosso durante i primi attacchi dei ribelli Houthi alle navi commerciali, le contromisure si rivelano insostenibili.
Un nuovo problema, costruirli in fretta
A parte l’Ucraina, l’Iran e la Cina, nessuna altra nazione è in grado di produrre droni in modo sufficientemente rapido e puntuale per usarli in modo massiccio. Inoltre, l’evoluzione dei droni stessi è tanto rapida che nessuna forza armata può permettersi di tenere in magazzino un arsenale di unità che invecchierebbero in pochi mesi. Ciò ha creato una vulnerabilità critica nelle catene di approvvigionamento delle componenti dei droni, in particolare la dipendenza dell'Occidente da parti e materiali di origine cinese che presentano ovvi rischi per continuità di fornitura, possibili intrusioni software e quindi pericolo per conflitti futuri.
Un rebus tra materiali, costi e normative green
Per risolvere la situazione occorre una nuova corsa alla produzione protetta basandola sulla cooperazione internazionale, costruendo solide alleanze per la produzione di droni tra i membri della Nato concentrandosi sulla produzione coordinata e sempre sull'innovazione. Il tutto per realizzare catene di approvvigionamento sovrane: investire nella produzione nazionale di componenti critici, inclusi semiconduttori e sensori, per ridurre la dipendenza da materiali di origine asiatica. Ciò perché oltre Pechino, si è anche persa la certezza della continuità di produzione proveniente da Taiwan. Un altro metodo è standardizzare la produzione di droni concentrandosi sulla produzione scalabile. La chiamano resilienza ma si tratta di sicurezza della catena di approvvigionamento, partendo dal disporre di una riserva di terre rare e di materiali definiti critici. Questa strategia è però resa ancor più difficile dall’applicazione di severe direttive ecologiche da parte dell’Unione europea e degli Usa, dove già talune produzioni non possono essere più fatte con taluni materiali, con il risultato che un numero significativo di componenti risulta oggi non rispondente alle caratteristiche di quelli precedenti. Lo sa bene chi progetta, sempre più in lotta con dichiarazioni per le normative Reach, che comprende migliaia di sostanze chimiche in vari prodotti inclusi abbigliamento, mobili, ed elettronica), e RoHs, la specifica per i dispositivi elettrici ed elettronici che limita le sostanze pericolose come piombo, mercurio, cadmio e altre per proteggere l’ambiente. E si sa che la guerra non è certo ecologica.
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Il ministro degli Esteri del Regno di Giordania Ayman Safadi
Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi spiega la partecipazione di Amman all’operazione Usa in Siria contro l’Isis, il ruolo della comunità drusa nella stabilità interna e l’impegno della Giordania per la pace e la sicurezza nella Striscia di Gaza. «Questi terroristi vogliono ricostituire lo Stato Islamico», avverte.
Nell’attacco alle posizioni dello Stato Islamico in Siria Washington ha colpito 70 obiettivi, neutralizzando la cellula che agiva nella provincia orientale siriana di Deir Ezzor. Questi miliziani dell’Isis erano i responsabili dell’attacco di Palmira dove avevano perso la vita tre americani, due militari e un interprete civile ed erano noti per le continue offensive con droni in questa area. L’operazione, denominata Occhio di falco, si è estesa a diverse località della Siria centrale utilizzando caccia, elicotteri d'attacco e artiglieria e agendo insieme all’aviazione della Giordania. Amman ha confermato la sua partecipazione a questa azione militare ribadendo la propria volontà di sradicare lo Stato Islamico dal Medio Oriente. Ayman Safadi è vice primo ministro e ministro degli Esteri del Regno di Giordania da quasi 9 anni ed è un diplomatico di grande esperienza.
Ministro Safadi, la partecipazione delle vostre forze aeree all’operazione degli Usa dimostra il vostro interesse ad essere protagonisti in Medio Oriente.
«Abbiamo deciso di affiancare gli statunitensi del Centcom perché riteniamo l’Isis un pericolo per tutta la nostra area e soprattutto per la Giordania. Questi terroristi hanno già cercato di infiltrare la nostra nazione, ma la loro propaganda non ha mai attecchito. La Giordania è uno dei 90 paesi che compongono la coalizione globale contro l'Isis, a cui la Siria ha recentemente aderito e questa operazione è l’attuazione pratica dei nostri principi. La nostra aviazione ha agito per impedire ai gruppi estremisti come questo di sfruttare questa regione come una rampa di lancio allo scopo di minacciare la sicurezza dei paesi vicini alla Siria e del Medio Oriente in generale, soprattutto dopo che l'Isis si è riorganizzato e ha ricostruito le sue capacità nella Siria meridionale. In troppi hanno sottovalutato la rinascita di questo network del terrorismo che è proliferato in Africa, dove gestisce traffici di armi, droga e migranti. Con i guadagni di queste attività criminali vogliono ricostituire lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, quella creatura nefasta che aveva conquistato il nord dell’Iraq e tutta la Siria orientale».
Il Medio Oriente è una regione complessa per le diversità culturali e religiose. In Giordania la convivenza sembra funzionare: come vive la sua comunità drusa questo equilibrio?
«Noi drusi siamo un gruppo etno-religioso con una lunga storia e abbiamo sempre lottato per le nazioni dove viviamo. In Giordania la comunità è piccola, ma siamo fieri di essere giordani. In Siria la situazione è complicata per i drusi che sono stati attaccati dai beduini e probabilmente anche da elementi dello Stato Islamico, il nuovo governo di Damasco deve fare di più per difendere le minoranze. Il presidente siriano Ahmed al Shara ha pubblicamente dichiarato di combattere lo Stato Islamico, ma ci sono intere province del sud e dell’est che sono fuori controllo e ci sono ancora troppe armi in Siria».
Il governo israeliano ha dichiarato di non fidarsi del nuovo regime di Damasco, qual è la posizione di Amman?
«Il presidente statunitense Donald Trump ha voluto togliere tutte le sanzioni alla Siria, aprendo un grande credito al nuovo corso. Adesso al Shara deve dimostrare di meritare questa fiducia e lo deve fare pacificando la sua nazione, la Siria è un paese con tante anime: sunniti, sciiti, cristiani e drusi. Washington sta dedicando una grande attenzione al Medio Oriente e questo è positivo. Soltanto il presidente Trump può ottenere una pace duratura e un futuro per la Striscia, la Giordania segue con estrema attenzione ciò che accade a Gaza perché circa il 50% della nostra popolazione è di origine palestinese. Noi siamo totalmente contrari a una divisione della Striscia, il territorio dei palestinese non deve essere toccato ed i confini devono restare gli stessi. La cosa più importante è garantire la sicurezza di tutti, dei palestinesi, degli israeliani ed anche delle nazioni vicine. La Giordania ha sempre represso la presenza di Hamas sul suo territorio, chiudendone gli uffici ed esiliandone i funzionari nel 1999. Negli ultimi anni abbiamo aumentato la sicurezza alle frontiere per ostacolare il contrabbando di armi, collegato ad Hamas che nel passato ha tentato di destabilizzare la Giordania».
Quale futuro per la Striscia di Gaza?
«Dobbiamo difendere la pace e ricostruire un posto dove gli abitanti di Gaza possano vivere. Il nostro sovrano ed il nostro governo hanno più volte dichiarato di essere favorevoli ad un maggior impegno degli europei nella Striscia. La Giordania ha relazioni eccellenti con l’Italia. Sua Maestà il Re Abdullah II di Giordania a marzo ha incontrato Giorgia Meloni e ha espresso apprezzamento per la solida cooperazione tra le due nazioni nell’assistenza umanitaria a Gaza. Il presidente del Consiglio italiano ha voluto sottolineare ancora una volta il ruolo svolto dalla Giordania, come una forza di pace e di dialogo determinante per il futuro di tutta l’area».
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Nuove accuse tra Cambogia e Thailandia lungo il confine conteso. Phnom Penh denuncia bombardamenti con caccia F-16, Bangkok parla di attacchi notturni cambogiani. Oltre mezzo milione di sfollati mentre proseguono i negoziati.
La crisi tra Cambogia e Thailandia torna ad aggravarsi lungo il confine conteso. Phnom Penh accusa Bangkok di aver intensificato i bombardamenti con caccia F-16, mentre le autorità thailandesi parlano di attacchi cambogiani durante la notte. Le accuse incrociate arrivano mentre sono in corso negoziati per un cessate il fuoco e il numero degli sfollati supera il mezzo milione.
Secondo il ministero della Difesa cambogiano, l’aeronautica thailandese avrebbe impiegato caccia F-16, sganciando almeno quaranta bombe nell’area del villaggio di Chok Chey. L’episodio viene descritto come un’ulteriore escalation militare in una zona già colpita da ripetuti raid. La versione di Bangkok è opposta. I media thailandesi riferiscono che, durante la notte, le forze cambogiane avrebbero condotto attacchi massicci lungo il confine nella provincia sud-orientale di Sa Kaeo, provocando danni a diverse abitazioni civili.
Nel frattempo, le due parti hanno avviato un nuovo ciclo di colloqui, iniziato mercoledì e destinato a durare quattro giorni, con l’obiettivo dichiarato di porre fine ai combattimenti. L’incontro si svolge in territorio thailandese, presso un valico di frontiera nella provincia di Chanthaburi, secondo quanto riferito da funzionari di Phnom Penh. Sul piano diplomatico si registra anche un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti. Il primo ministro cambogiano Hun Manet ha reso noto di aver avuto un colloquio telefonico con il segretario di Stato americano Marco Rubio, durante il quale si è discusso di «come garantire un cessate il fuoco lungo il confine tra Cambogia e Thailandia».
Alla base delle tensioni c’è una disputa storica sulla delimitazione di circa 800 chilometri di confine, che affonda le radici nell’epoca coloniale. Il confronto armato si è riacceso con forza nel corso dell’anno. A luglio, cinque giorni di scontri avevano provocato circa 40 morti e costretto 300.000 persone ad abbandonare le proprie abitazioni, prima di una tregua che successivamente è fallita.
L’impatto umanitario resta pesante. Secondo le autorità cambogiane, oltre mezzo milione di persone è stato costretto a lasciare case e scuole nelle ultime due settimane di combattimenti. In una nota, il ministero dell’Interno di Phnom Penh ha parlato di 518.611 sfollati, denunciando che «oltre mezzo milione di cambogiani, tra cui donne e bambini, stanno soffrendo gravi difficoltà a causa dello sfollamento forzato dalle loro case e scuole per sfuggire al fuoco di artiglieria, ai razzi e agli attacchi aerei dei caccia F-16 thailandesi». In precedenza, Bangkok aveva indicato in circa 400.000 il numero degli sfollati sul proprio territorio. Il portavoce del ministero della Difesa thailandese, Surasant Kongsiri, ha affermato che il numero di persone accolte nei rifugi è in diminuzione, pur restando superiore alle 200.000 unità. Kongsiri ha inoltre invitato gli abitanti dei villaggi a rientrare con cautela, avvertendo che «potrebbero esserci ancora mine o bombe pericolose». Dal punto di vista militare, Phnom Penh ha sottolineato come le forze thailandesi abbiano continuato le operazioni dall’alba del 21 dicembre, segnalando combattimenti anche nei pressi del tempio khmer di Preah Vihear, risalente a 900 anni fa. La Cambogia ha inoltre ricordato il divario di risorse tra i due eserciti, a vantaggio di Bangkok. Secondo i dati ufficiali, il bilancio complessivo degli scontri è salito ad almeno 41 morti, di cui 22 thailandesi e 19 cambogiani. Le ostilità più recenti sono riprese il 12 dicembre, mentre una precedente ondata di violenze, a luglio, aveva causato 43 vittime in pochi giorni.
La crisi è ora all’attenzione dell’Associazione delle nazioni del sud-est asiatico. I ministri degli Esteri dell’Asean, compresi quelli di Thailandia e Cambogia, si riuniscono il 22 dicembre a Kuala Lumpur per discutere del conflitto. Entrambi i governi hanno espresso l’auspicio che l’incontro contribuisca a ridurre le tensioni. La portavoce del ministero degli Esteri thailandese, Maratee Nalita Andamo, ha definito il vertice «un’importante opportunità per entrambe le parti». Bangkok ha tuttavia ribadito alcune condizioni preliminari, chiedendo a Phnom Penh di annunciare per prima un cessate il fuoco e di cooperare nelle operazioni di sminamento lungo il confine. In un comunicato, il governo thailandese ha precisato che un accordo potrà essere raggiunto «solo se basato principalmente su una valutazione della situazione sul campo da parte dell’esercito thailandese».
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