2023-08-21
Antonio Suetta: «La Chiesa non offra un palcoscenico all’ideologia queer»
Il vescovo: «In un funerale non si devono promuovere teorie contrarie alla dottrina. Scontiamo una crisi di fede e di ragione». Se una parte del mondo cattolico segue con trasporto la canonizzazione che la cultura laica sta facendo a Michela Murgia, la scrittrice sarda da poco scomparsa - e che, pur professandosi cattolica, da tempo sposava istanze lontane dalle posizioni della Chiesa -, ci sono ancora pastori che non solo non ci stanno, ma mettono in guardia i fedeli da insidiose tendenze ideologiche. Fra costoro, c’è monsignor Antonio Suetta, 60 anni, vescovo di Ventimiglia-Sanremo, il quale sul sito della sua diocesi nei giorni scorsi ha condiviso un videomessaggio proprio per smarcarsi da quanto sta avvenendo a seguito della morte della Murgia e da quanto è avvenuto alle sue esequie. La Verità l’ha contattato per capire meglio il suo punto di vista di pastore. Eccellenza, che cosa ne pensa della beatificazione laica che la cultura mainstream sta facendo di Michela Murgia? «Credo che questo sia coerente con l’andazzo del nostro tempo e con questa mentalità, come dire, scristianizzata, pervasiva e dilagante. È normale che un determinato modo di vedere e di interpretare l’esistenza umana approvi e diffonda quelli che ritiene essere i suoi modelli». Forse anche i funerali religiosi della scrittrice avrebbero potuti essere più sobri? «Certo. Come ho già detto nel mio intervento al riguardo, il funerale deve essere sempre sobrio perché, se noi non vogliamo cedere ad una mentalità mondana, dobbiamo ricordare che il rito delle esequie non è un atto commemorativo del defunto, ma è un momento di preghiera in suo suffragio. Dunque anche l’intervento omiletico deve riguardare i contenuti della fede circa quelle che sono le realtà definitive, quelle che il Catechismo chiama i “Novissimi”. Capisco poi, quando le circostanze lo consentono, che si possa dire anche una parola sul defunto». In che modo? «Raccogliendo una qualche testimonianza di vita che sia o esemplare o che offra lo spunto per una riflessione. Ma trasformare la celebrazione liturgica in un atto commemorativo del defunto, dal punto di vista liturgico è semplicemente fuori luogo. Peggio ancora, dal mio punto di vista – ma non soltanto il mio punto di vista, bensì secondo quelle che sono le norme liturgiche della Chiesa Cattolica – peggio ancora, dicevo, è permettere, nel contesto di una celebrazione liturgica, o comunque in un contesto di prossimità, perché nello stesso luogo sacro, commemorazioni a persone che non hanno la dovuta preparazione, tale da consentire una parola che sia una espressione della fede stessa. E quindi a me è parso che gli interventi che si sono succeduti non soltanto fossero inadeguati da questo punto di vista, ma fossero anche espressamente promotori di visioni della vita inconciliabili con la Parola di Dio, che in chiesa viene proclamata, e con la dottrina della Chiesa cattolica». A proposito di visioni della vita care alla scrittrice sarda, come rispondere, da cattolici, alla tesi pro famiglie queer? «Per dare una risposta autenticamente cattolica, è sufficiente guardare al Catechismo della Chiesa cattolica – e quindi alla formulazione della famiglia della dottrina cristiana. Poi, in altri contesti, si può anche accettare di dialogare su determinati temi, perché da una parte il dialogo consente di comprendere meglio l’evoluzione del pensiero nelle sue origini e anche nei suoi effetti che ricadono sulla società, e, dall’altra, consente di illuminare l’interlocutore. Quindi ritengo che lo strumento del dialogo, vissuto correttamente, sia sempre un valido strumento sia per avvicinare meglio ai contenuti della verità, sia anche per creare un clima di confidenza reciproca, di fiducia e di condivisione. Ma certamente non è la liturgia il luogo dove fare questo dialogo o, peggio ancora, dei comizi. La liturgia è il contesto in cui si celebra il dialogo con Dio. È il luogo dove si riceve la grazia di Dio, che trasforma la vita; ed è da questi due aspetti, chiamiamoli verticali, che deriva la comunione spirituale tra i credenti, che poi anche nella vita quotidiana può manifestarsi in molti modi, come appunto il dialogo». Restando al tema della famiglia, così come definita anche dal Catechismo che lei citava poc’anzi, è indubbio come oggi essa sia in difficoltà. Ma tale difficoltà, secondo lei, è figlia più di un’eclissi della ragione - che dovrebbe bastare a coglierne le verità naturali -, oppure deriva da una vera e propria crisi di fede? «Da ambedue le cose. Perché la crisi di fede espone la ragione anche ad attacchi di dottrine filosofiche sbagliate; nello stesso tempo, la ragione debole rimane uno strumento inadeguato per affrontare anche il discorso della fede. Per quanto riguarda il tema della famiglia, che certamente è uno degli argomenti basilari della società - e anche della vita individuale -, io credo che, a seguito di premesse filosofiche sbagliate, che vengono da lontano nel tempo, oggi sia in corso un’opera di destrutturazione di quelli che sono i punti di riferimento dei valori che costituiscono l’ossatura di una società, nel nostro caso quella occidentale e cristiana. Quest’opera di destrutturazione inesorabilmente e inevitabilmente viene a colpire quelli che sono i punti nodali dell’esperienza umana; tra questi certamente vi è la famiglia. Ma prima ancora, direi, vi è il discorso che genericamente riguarda tutta la sfera dell’affettività e della sessualità umana, e che riguarda naturalmente la relazione con Dio. Da questi aspetti, sia dal punto di vista personale sia dal punto di vista sociale, derivano poi tante situazioni molto complesse con cui dobbiamo fare i conti».