2025-01-27
Antonio Rinaudo: «Basta sceneggiate, si applichino le leggi»
L’ex pm Antonio Rinaudo: «La categoria è in decadimento e la colpa è dell’impreparazione. Sì a carriere e concorsi separati».«Ora diranno che è il solito sproloquio da vecchio magistrato, ma io non mi riconosco in una protesta di questo genere, perché non ritengo che i magistrati debbano esibirsi in pubblico con la Costituzione in mano e la coccarda tricolore appuntata sulla toga, la trovo una sceneggiata segno di un decadimento». Antonio Rinaudo, ex pubblico ministero del processo alla colonna torinese delle Brigate Rosse e delle inchieste nate dalle confessioni del pentito Patrizio Peci, ha indossato la toga per 40 anni. Da quando, nel 1977, dopo aver fatto da assistente alla Cattedra di diritto penale del professore Marcello Gallo, ha messo piede per la prima volta negli uffici della Procura torinese. Prima sostituto procuratore, poi pretore a Chivasso, poi di nuovo tra i faldoni delle inchieste, anche antimafia e antiterrorismo. Inchieste condotte con rigore e in silenzio. Deve aver provato un certo disagio quando ha assistito alla protesta dei giovani colleghi contro la riforma del ministro Carlo Nordio durante le inaugurazioni dell’anno giudiziario nei distretti delle Corti d’Appello italiane. Il suo è un richiamo alla sobrietà?«Non si può andare in piazza in quel modo, con i cartelli. Siamo un ordine dello Stato, siamo chiamati ad applicare le leggi, anche quelle che non piacciono, e se la reazione è questa non sono d’accordo. Inoltre non credo che sia in linea con quello che è l’organo giudiziario disciplinato dalla Costituzione».Mettiamo per un attimo da parte la forma, è una protesta di sostanza?«Registro un decadimento generale che procede di pari passo con comportamenti e atteggiamenti che ultimamente assumono molti magistrati. Detto questo, io ho condiviso con Nordio il percorso in magistratura, siamo entrati insieme e abbiamo fatto l’uditorato a Roma. Ricordo lunghissime riunioni in auditorium tra giovani, durante le quali ci si scambiavano opinioni. E già allora trapelava quel senso di necessità che poi ha portato a questa modifica dell’impostazione della figura del magistrato. All’epoca emergevano già delle sensazioni sulla separazione delle carriere. Bene, mi sento di dire che non è certo una problematica di tipo politico, è una questione estremamente ed essenzialmente tecnica. Io ho sempre condiviso l’idea che il pubblico ministero debba essere separato dalla figura del giudice, sono due funzioni completamente diverse e io sarei addirittura propenso a un concorso ad hoc per il pubblico ministero». Ciò che rende distinti i due ruoli è l’approccio al lavoro.«È vero che bisogna avere la stessa cultura giuridica e quindi la stessa provenienza di studi, mi va benissimo, ma nei ruoli l’impostazione è completamente diversa. Fare il pubblico ministero non è la stessa cosa che fare il giudice. Il pubblico ministero deve avere una capacità di distinguere quelle che sono le cose utili da quelle inutili per preparare il materiale da portare in dibattimento. Ci sono tantissimi magistrati che sono degli ottimi investigatori e che sanno fare le indagini preliminari. Poi però non sanno stare in udienza e sono dei pessimi pubblici ministeri. Il pubblico ministero deve avere questa doppia capacità, deve saper fare l’investigatore e contemporaneamente deve saper stare in udienza. E stare in udienza è un’arte. Non è che ti improvvisi e pensi che fai il pubblico ministero che si alza e chiede la pena. Questa è un’immagine troppo riduttiva. Devi avere la capacità di saper gestire il processo, fare in modo che quello che hai costruito durante le indagini preliminari sia materiale probatorio convincente, genuino, puro e sano. Inoltre il pm deve essere una figura avulsa da certe pastoie che si creano in certi momenti. E non mi pare affatto che la riforma Nordio porti verso l’assoggettamento del pubblico ministero all’esecutivo». Nelle aule in effetti si vede di tutto.«Perché ci è entrato di tutto. Vogliamo parlare delle origini di questo decadimento? Non è certo nella riforma che lo troviamo. Parliamo delle università, dei licei. Ci sono magistrati che oltre ad avere una scarsa capacità di interpretare le norme non conoscono l’italiano, l’etimologia delle parole, l’uso del congiuntivo, dei latinismi. Spesso manca la logica e c’è assenza di ragionamento. La formazione è fondamentale perché ti dà gli strumenti necessari per poter capire il diritto. Il diritto è logica. Solo con questi strumenti si può invertire la rotta. E la riforma non c’entra».