2025-07-07
«Gli allarmi generici sul clima non fanno presa sugli italiani»
Antonio Noto (Imagoeconomica)
Il sondaggista Antonio Noto: «La gente è pragmatica, vuole la cura del territorio. I consensi per il governo crescono, coi precedenti non accadeva».Antonio Noto, in qualità di storico sondaggista, ascolta con attenzione il polso dei partiti e degli italiani. In questa estate infuocata da diversi punti di vista, sia climatici che internazionali, quali sono le priorità dei cittadini?«Sempre quelle. Prima di tutto, l’economia. I soldi in tasca. Il costo della vita, il lavoro precario, su questo gli italiani vogliono risposte. E poi attenzione allo stato della sanità pubblica: agli occhi della gente sta diventando un’emergenza che bisogna affrontare subito, e con serietà».I grandi temi internazionali? Russia, Gaza, Iran?«Le tensioni geopolitiche generano anzitutto paura. Gli italiani sono sempre stati e restano pacifisti, ma non in senso ideologico o per un vago principio di giustizia, ma semplicemente per interesse. Temono che un impegno italiano in un conflitto possa diventare un problema per la vita quotidiana dei cittadini e per la nazione stessa. Per questo la maggioranza degli italiani è contraria all’invio di armi in Ucraina. Non perché siano filo putiniani, ma semplicemente sono convinti che se l’Italia si espone può essere oggetto di ritorsioni o attentati».E il green, l’ambiente, il riscaldamento globale, il caldo killer?«Gli italiani non sono negazionisti sull’ambiente, non sminuiscono affatto l’allarme ambientale. Ma sono anche molto concreti, preoccupati soprattutto della minaccia del dissesto idrogeologico che incombe sul nostro territorio, più che sugli allarmi generici. Il caldo inusuale di questi giorni viene vissuto con realismo: i cittadini sanno che si tratta di un problema importante, che va gestito sul piano internazionale, e che certamente non si risolve con decisioni di respiro locale, o affidandosi a questo o a quel partito».Scendiamo sul quadro politico: Giorgia Meloni ancora sulla breccia per mancanza di avversari?«Sì, stiamo vivendo una “luna di miele prolungata” tra governo ed elettori. Eppure sono passati diversi mesi dall’insediamento, e sono successe molte cose: i redditi sono fermi, il potere d’acquisto delle persone diminuisce, tutto questo avrebbe dovuto erodere il consenso governativo, che invece resta invariato».Con quali numeri?«L’anno scorso Fratelli d'Italia era intorno al 30%, oggi siamo sempre lì. Stesso dicasi per Forza Italia e Lega, entrambi al 9%. E la stessa inerzia si registra anche nell’opposizione, dove i pesi non sono cambiati: Pd sempre intorno al 22%, e 5 stelle al 12-13. Calenda e Renzi, nonostante l’alta visibilità mediatica, ancora arrancano intorno al 2%».È singolare che il governo conservi il consenso?«Generalmente i governi, nel corso di 4-5 anni di sopravvivenza, hanno un trend negativo a vantaggio dell’opposizione. Oggi invece il consenso è addirittura aumentato rispetto al 2022».Come si spiega?«La fiducia nel leader è trainante, e lo vediamo nello scarto presente nelle competizioni nazionali rispetto alle amministrative. A Giorgia Meloni si crede di più, e direi si “perdona” di più».In che senso?«Gli italiani sanno benissimo che la loro situazione economica non è cambiata granché, ma ritengono anche che il premier sta facendo del suo meglio per trovare soluzioni, nei limiti del possibile in questa fase storica. È passato questo tipo di messaggio: Meloni potrebbe anche fallire, ma per ora ce la sta mettendo tutta. Politicamente questa condotta viene apprezzata: non contano solo gli obiettivi, ma anche la percezione che il leader si sta sporcando le mani, e sta sperimentando tutte le strade possibili».La legislatura arriverà dunque fino alla fine?«Tranne piccole schermaglie, non vedo grandi sommovimenti nella maggioranza, tali da giustificare una rottura della coalizione di governo. Ogni tanto sembra che Forza Italia stia con un piede dentro e uno fuori, ma restano ipotesi che non si concretizzano mai. Il centrodestra non ha interesse ad interrompere la sua avventura, e l’opposizione non ha la forza di buttare giù il governo».Le divisioni storiche pesano sul giudizio popolare riguardo il centrosinistra?«Sicuramente sì, e su tutte le fratture aleggia il sogno irrealizzabile del campo largo. Anche nella scelta dei temi, il centrosinistra ha delle difficoltà: le battaglie sui diritti civili sono importantissime, ma non condizionano le scelte elettorali. 30 anni fa il consenso si basava anche sugli stili di vita, oggi non è più così. Oggi chi si sente vicino alle comunità Lgbt non è più ascrivibile alla sinistra, un po’ come gli operai, che una volta votavano Pci e oggi votano a destra».Sta dicendo che il popolo arcobaleno vota a destra?«Oggi le categorie a compartimenti stagni non esistono più, è tutto trasversale. Noi pensiamo che quando un elettore decide di votare un partito, allora ne condivide al cento per cento il programma? Questo era vero una volta, oggi non più. Adesso c’è una soglia di tolleranza, si vota in qualche modo il meno peggio. In tutti i partiti c’è sempre una parte di elettorato “critico”. Gli omosessuali votano Fratelli d’Italia e Lega, pur sapendo che su certi temi, come appunto i diritti civili, non c’è totale coincidenza di vedute. Ma se li fanno andare bene lo stesso. Fdi si dichiara apertamente di destra, ma gli elettori di destra rappresentano solo il 9% del bacino di consenso del partito. Gli altri semplicemente credono nel progetto del leader».Elly Schlein non si presenta al debutto dell’ambasciatore americano a Roma. Un Partito democratico sempre più spostato a sinistra?«Il Pd in realtà è tanti Pd. È una galassia di correnti personali, non più ideologiche ma basate su interessi singoli, dove ognuno vuole fare le scarpe all’altro. Schlein fatica a tenere insieme tutte queste anime: la sua scommessa è mantenere integro il partito con una guida a sinistra. E non è facile, perché in quel partito il leader è sempre stato mediatore tra le diverse anime. Schlein non vuole essere mediatore, ed è quella la sfida. Più porta il Pd a sinistra, più aumentano i malumori interni. E questo naturalmente indebolisce il ruolo dell’opposizione: se anziché contrapporsi al governo, il Pd deve prima badare alle spaccature interne, è chiaro che tutto diventa più fiacco, un partito col freno a mano tirato».In queste difficoltà si inserisce Giuseppe Conte, sinistro ma con un occhio al sovranismo.«In un certo senso, il Movimento 5 stelle ha lo stesso Dna del movimento di Grillo. In termini di posizionamento, sui temi dell’immigrazione è sempre stato più vicino al centrodestra. Nell’ultimo referendum sulla cittadinanza il movimento ha lasciato libertà di voto. Sulla sicurezza e sui grandi temi etici è sostanzialmente assente. Quindi Conte guida un partito “ibrido”, anche se il racconto è quello di un partito di sinistra. Può spingere fino a un certo punto in quella direzione, per non scontentare una parte del proprio elettorato».Renzi promette una nuova formazione di centro, raccogliendo chi ci sta tra i cattolici e i riformisti. Sarà la volta buona?«Matteo Renzi è sempre alla ricerca di novità, da quando è uscito dal Pd. Essendo un uomo scaltro, comprende bene che con il suo 2% non può avere grande futuro politico senza alleanze. Però poi è anche il primo a distruggere le alleanze che ha creato. Questo comportamento mina la fiducia degli elettori nei suoi confronti».Il problema di Renzi è la fiducia, non il progetto?«Spesso i cittadini condividono le sue battaglie e le sue proposte, e indubbiamente Renzi ha una grande capacità di intuire gli argomenti che interessano gli italiani: ma manca la fiducia nella persona, visti i trascorsi del personaggio. Quando un politico delude l’elettorato, questa rottura resta nella memoria. Sarà difficile per lui riconquistare quel capitale di fiducia».L’astensionismo è reversibile?«Molto spesso i partiti quasi rimproverano i cittadini che non vanno a votare. Una parte di astensionismo è effettivamente quella di un elettorato totalmente disinteressato, come avviene in tanti Paesi. Ma l’aumento dell’astensione deriva fondamentalmente dalla critica ai partiti stessi. I partiti non si pongono assolutamente il problema di come attrarre l’elettorato. Nello scenario elettorale i cittadini non trovano più da tempo il prodotto politico desiderato: e questa è una responsabilità dei partiti, e non dei cittadini. Se espongo una mozzarella al mercato e non viene acquistata, il problema è che agli italiani non piace più la mozzarella, oppure magari ne vogliono una di migliore qualità»?
Sergio Spadaro e Fabio De Pasquale (Imagoeconomica)