2024-02-07
Antonio Gozzi: «Ideologia verde e troppa finanza. Questa Europa uccide l’industria»
Antonio Gozzi (Imagoeconomica)
Mister Duferco: «L’estremismo ambientalista sta distruggendo la filiera dell’auto e la speculazione dei fondi sui certificati per emettere CO2 penalizza le imprese. Ex Ilva? Pronto a investire, una cordata entro il 2024».La premessa è d’obbligo: Antonio Gozzi, numero uno di Federacciai e mister Duferco (gruppo che spazia dalla siderurgia all’energia fino al trasporto merci), della corsa a Confindustria non parla. C’è una sorta di gentlemen’s agreement (in corsa ci sono anche il corregionale presidente della Erg Edoardo Garrone e i vicepresidenti di viale dell’Astronomia Emanuele Orsini e Alberto Marenghi) che non intende per nessuna ragione al mondo contravvenire. Inutile insistere. Ma l’accordo non gli impedisce di dire la sua sullo stato dell’arte dell’industria e della manifattura nel Paese e di spiegare i perché di una certa visione critica nei confronti dell’Europa che è emersa con forza nelle sue ultime uscite pubbliche. Professor (ha insegnato per anni all’università di Genova) Gozzi, la sua è un azienda con una forte vocazione internazionale e al mercato, ma lei ha spiegato che l’Europa in questo momento vi penalizza. In che modo?«Proprio perché sono per il mercato e proprio perché sono un europeista convinto, mai come in questo momento mi sento di criticare le politiche e le strategie che Bruxelles sta portando avanti. Perché se l’Europa non cambia c’è il rischio che muoia». Lei ha parlato di singole norme da rivedere, ma i problemi non partono da una visione strategica sbagliata?«C’è un problema di strategia di sicuro e ci sono singoli provvedimenti da modificare, ma il problema dell’Europa è innanzitutto culturale». In che senso?«Pensiamo di essere i primi della classe, ma non è così. Non lo siamo per risultati - anche l’India dopo la Cina e gli Stati Uniti ci sta superando - e non lo siamo perché negli ultimi 15 anni abbiamo perso l’enorme opportunità di approfittare dei tassi bassi e dei prezzi dell’energia abbordabili per fare riforme e crescere. Oggi la situazione si è capovolta e probabilmente quelle condizioni non torneranno mai più».E la sindrome da primi della classe cosa comporta?«Comporta che pensiamo di risolvere i problemi dell’ambiente con un estremismo ideologico privo di razionalità che sta distruggendo intere filiere a partire da quelle dell’automotive. Comporta di aver sposato acriticamente un estremismo globalista-mercatista per cui può succedere di parlare con i dirigenti dell’Antitrust Ue che ti spiegano che se si perdono posti di lavoro per le politiche sulla siderurgia non c’è problema, tanto poi quei posti si creeranno altrove. E ha portato alla prevalenza della finanza sull’industria». Per esempio?«Beh l’esempio più eclatante è quello degli Ets».Cosa succede con il mercato dei certificati (parte gratuiti e parte a pagamento) che consentono alle imprese di emettere CO2?«Succede che se i primi 10 trader al mondo su questo mercato, che dovrebbe essere prettamente industriale, sono dei fondi di investimento, beh evidentemente c’è un problema di speculazione. E se questa speculazione mi porta a pagare più del doppio i crediti di carbonio, allora bisogna fermarla. Cosa aspettiamo?». Cosa proponete al governo italiano sugli Ets?«Le cifre raccolte dalle aste della CO2 dovrebbero essere restituite al sistema manifatturiero per aiutarlo nel processo di decarbonizzazione». Lei è stato molto critico anche nei confronti del Cbam, il meccanismo che applica una tassa sul carbonio alle importazioni di determinati prodotti nei paesi Ue. Perché?«Perché tra le altre cose prevede anche che noi dobbiamo fare la tracciatura dei fornitori dei nostri fornitori per verificare il contenuto di carbonio rispetto ai beni che compriamo. Capirà bene che si tratta di un provvedimento inattuabile. E stabilisce anche una riduzione delle agevolazioni per gli altoforni europei. Dal punto di vista industriale vuol dire spingere il mercato europeo verso la siderurgia secondaria, quella ad arco elettrico, che non riesce a produrre l’acciaio usato per la stampa profonda, quello che è richiesto nell’automotive». Un altro favore alla Cina. «Esattamente. Stiamo creando l’ennesima dipendenza strategica per il futuro dell’industria Ue. E facciamo tutto con le nostre mani».Sta dipingendo il quadro di un Europa masochista e autoreferenziale. Con il voto di giugno cambierà qualcosa?«Me lo auguro. Perché questa è l’Europa della Vestager e di Timmermans che rappresentano l’emblema degli errori di cui le parlavo prima: il mercatismo-globaista da una parte e l’ideologia irrazionale green dall’altra». Settimane caldissime per l’Ilva. Il più grande impianto siderurgico d’Europa si può ancora salvare? Lei è disponibile a investirci?«Sì certo che si può ancora salvare, ma abbiamo bisogno di procedere per tappe. Il primo traguardo è quello di trovare una soluzione per fare uscire Arcelor-Mittal che evidentemente sta remando contro. E qui è stato commesso un errore a monte, quando nella gara che li contrapponeva alla cordata Arvedi-Cdp è stato privilegiato il prezzo a discapito del piano industriale e ambientale. Allo stesso tempo bisogna mettere al sicuro le aziende dell’indotto. Poi si può parlare del resto». Ma lei è disposto a fare la sua parte. «Certo. Quando un po’ di passi avanti saranno stati fatti, io sono disponibile a investire nell’ex Ilva perché penso che possa essere redditizia». Lei aveva parlato anche di Arvedi. «Beh, perché per dimensioni e precedente interesse è un riferimento naturale».Quindi immagina una cordata più che un singolo cavaliere bianco?«Sì penso più a una cordata che a un singolo soggetto». I tempi sono però stretti.«Credo che per poter aver effetti positivi - lo Stato deve accompagnare questo processo dal punto di vista della governance e della bonifica, ma poi gli investimenti di manutenzione degli impianti toccano ai privati - non si debba superare il 2024, altrimenti si rischia di arrivare tardi».
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