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2023-02-24
A un anno dallo scoppio della guerra il fronte tra Usa e Cina è la trattativa
Non accenna a diminuire la tensione tra Washington e Pechino. Secondo il Wall Street Journal, l’amministrazione Biden starebbe pensando di rendere pubbliche informazioni di intelligence, che proverebbero l’intenzione del Dragone di fornire armamenti alla Russia. Una circostanza che ha scatenato l’ira di Pechino. «Possiamo immaginare che l’“intelligence” a cui si riferivano gli Usa stia inseguendo ombre e diffamando la Cina», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin.
Già mercoledì il Pentagono aveva intimato a Pechino di non inviare armi a Mosca. «Ci saranno conseguenze per la Cina se dovessero approfondire le relazioni con la Russia», aveva detto l’addetta stampa del Dipartimento della Difesa americano, Sabrina Singh. «Non li abbiamo visti dare aiuti letali alla Russia per la guerra, ma non hanno nemmeno tolto dal tavolo questa eventualità», aveva aggiunto. A rincarare la dose è stato ieri il segretario del Tesoro americano, Janet Yellen, che ha minacciato «gravi conseguenze», qualora la Cina fornisse assistenza alla Russia, eludendo le sanzioni. Dal canto suo, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha affermato di avere «alcuni indizi» del fatto che il Dragone sarebbe intenzionato a sostenere militarmente il Cremlino.
Nel fine settimana, il segretario di Stato americano, Tony Blinken, aveva dichiarato che Pechino starebbe considerando di fornire «supporto letale» a Mosca: un’accusa che, nei giorni scorsi, era stata respinta sia dalla Cina sia dal Cremlino. Nonostante tali smentite, va rilevato che - come notato dal sito Axios - la cooperazione militare tra Pechino e Mosca si è rafforzata a partire dal 2022. Sono inoltre attualmente in corso delle esercitazioni militari congiunte tra Russia, Cina e Sudafrica, a cui sta partecipando anche una fregata russa carica di missili ipersonici Zircon. Tra l’altro, sia Pechino sia Mosca hanno consolidato i propri rapporti con Teheran, che sta fornendo alla Russia droni militari contro Kiev. Infine, ma non meno importante, a gennaio gli Usa avevano comminato sanzioni a Spacety China: una società cinese sospettata di supportare con immagini satellitari le operazioni del Wagner Group in territorio ucraino. Ieri, Blinken si è comunque detto fiducioso di riuscire a dissuadere il Dragone dall’inviare armi a Mosca, mentre il responsabile Esteri del Pcc, Wang Yi, ha auspicato che l’Europa «svolga un ruolo più attivo» nei colloqui di pace. Un rapido cessate il fuoco è stato invece invocato dall’ambasciatore di Pechino all’Onu, Dai Bing.
Eppure il nodo non è soltanto di natura militare. Questo (nuovo) scontro tra Washington e Pechino investe anche due problemi di carattere politico. In primis, oggi, a un anno esatto dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, la Cina dovrebbe rendere nota una propria proposta di pace che viene vista con estremo scetticismo dagli Usa. Washington teme che i cinesi vogliano utilizzare il loro piano per spalleggiare de facto i russi e inserire clausole che possano magari essere invocate in futuro a proprio vantaggio sulla disputa taiwanese. È quindi chiaro che pubblicare adesso materiale di intelligence in grado di provare il sostegno militare cinese alla Russia sarebbe funzionale a screditare Pechino nel suo presunto ruolo di attore imparziale nella crisi ucraina. Dall’altra parte, bisognerà capire se quello cinese sarà un piano concreto o uno specchietto per le allodole (un piano, cioè, dai contenuti inaccettabili, messo sul tavolo soltanto per scaricare sugli Usa un suo inevitabile fallimento). Per ora, l’unica cosa certa è che Volodymyr Zelensky si è detto cautamente possibilista. «Vorremmo incontrare la Cina», ha affermato ieri. Intervenendo sul piano cinese, la Casa Bianca si è detta comunque scettica sulla volontà da parte della Russia di negoziare la pace.
In secondo luogo, va notato che le suddette dichiarazioni della Yellen sono state pronunciate dal G20 in corso in India. Ebbene, l’altro ieri Reuters - citando funzionari di Nuova Delhi - ha riferito che, durante il summit, il governo indiano non avrebbe intenzione di discutere di nuove sanzioni a Mosca. Non è quindi escludibile che sia in corso un braccio di ferro tra Washington e l’asse sino-russo per garantirsi il sostegno indiano nel quadro della crisi ucraina (ricordiamo che, su questo dossier, Nuova Delhi si è finora barcamenata tra complicati equilibrismi).
La tensione nel frattempo resta alta. Vladimir Putin ha annunciato che la Russia schiererà entro quest’anno il missile balistico intercontinentale RS-28 Sarmat (che ha una gittata di 18.000 chilometri e può trasportare testate nucleari). Crescono inoltre i timori che il Cremlino stia mettendo nel mirino anche la Moldavia, la cui presidente, Maia Sandu, ha elogiato ieri l’«eroismo degli ucraini». «Non ci siamo abbattuti, abbiamo superato molte prove e prevarremo», ha dichiarato, dal canto suo, Zelensky, mentre il ministro della Difesa di Mosca, Sergei Shoigu, ha accusato l’Occidente di voler «smembrare la Russia». È in questo quadro che il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha definito l’invasione russa dell’Ucraina «un affronto alla nostra coscienza collettiva», mentre l’Assemblea generale si accingeva a votare una risoluzione per chiedere il ritiro immediato delle truppe di Mosca. È stato frattanto annunciato che le trattative per l’ingresso della Svezia nella Nato riprenderanno a marzo. Dall’altra parte, i Paesi Ue non sono riusciti ieri a trovare un accordo su una nuova tornata di sanzioni alla Russia. Oggi riprenderanno i negoziati. E sempre oggi Joe Biden parteciperà a un meeting virtuale con Zelensky e i leader del G7.
Nel frattempo, sul campo di battaglia, quattro persone sono rimaste uccise in un bombardamento ucraino su Donetsk. E il comandante del reggimento Azov Oleg Mudrak - che aveva difeso Mariupol - è morto per un arresto cardiaco.
E Fdi media con gli alleati: «Solo aiuti difensivi»
Il centrodestra continua a discutere sul prossimo pacchetto di armi da inviare in Ucraina. Lega e Forza Italia hanno fissato alcuni paletti concreti, dicendo «no» all’invio in Ucraina di armi offensive, come aerei da combattimento e missili a lungo raggio. A proposito di Forza Italia: ieri il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, ha attaccato l’incaricato d’affari dell’ambasciata americana a Roma, Shawn Crowley:
«Molto sgradevole», ha scritto Gasparri su Twitter, «l’incaricato di affari Usa a Roma Crowley che dice su Repubblica che per Pratica di Mare 2002 Berlusconi “crede di aver aiutato a mettere fine alla guerra fredda”. Come se Berlusconi non avesse dato un importante contributo in quella fase di dialogo e di pace. Crowley precisi. E sia più rispettoso della verità della storia». Ieri una delegazione di Fratelli d’Italia formata dal capogruppo alla Camera, Tommaso Foti, dal presidente della commissione Esteri della Camera, Giulio Tremonti, e dal capogruppo di Fdi nella stessa commissione, Giangiacomo Calovini, ha fatto visita all’ambasciatore ucraino a Roma, Yaroslav Melny, per testimoniare la vicinanza a Kiev.
Al termine dell’incontro, Foti ha risposto alle domande sul prossimo pacchetto da inviare in Ucraina, e le sue parole sembrano voler andare incontro agli alleati: «Vediamo prima le armi», ha detto Foti, «tutti parliamo e facciamo processi senza sapere qual è il capo di accusa. Ci sono delle armi che sono difensive. Abbiamo sempre detto che le armi difensive servono all’Ucraina per impedire la sua distruzione o per impedire un risultato della guerra che nessuno auspica, e quindi le armi difensive dovranno essere valutate nell’invio e approvate quando sottoposte all’invio medesimo».
«La nostra collocazione geopolitica è chiarissima» ha sottolineato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, a Oggi è un altro giorno su Rai 1, rispondendo a una domanda sulle diverse posizioni nel centrodestra, «ha rappresentato la scelta di portare anche fisicamente la nostra solidarietà a un popolo aggredito. La nostra collocazione geopolitica è chiarissima», ha aggiunto Ciriani, precisando poi che «all’interno di una maggioranza possono esserci sensibilità diverse, ma siamo lì non per un’escalation ma per difendere un Paese aggredito. L’obiettivo è la difesa, non aggredire».
A ribadire la posizione di Forza Italia ieri è stato il capogruppo alla Camera, Alessandro Cattaneo: «Sull’invio delle armi», ha detto Cattaneo ad Agorà, su Rai 3, «abbiamo sempre scelto in maniera assolutamente convinta di rimanere nell’alveo delle decisioni prese dalla Nato. Così abbiamo fatto e così faremo sempre. Non dobbiamo fare propaganda o banalizzazioni. Quando Zelensky ha chiesto di avere jet, missili a lungo raggio o carri armati», ha aggiunto Cattaneo, «non è che la comunità internazionale gli ha risposto: pronti, eccoli, te li mettiamo a disposizione. Anche la comunità internazionale, anche la Nato stessa ha fatto delle valutazioni di carattere geopolitico, che mirano a evitare l’allargamento del conflitto o un’escalation che può portare anche a una guerra nucleare. Ma questo non significa certo non essere al fianco dell’Ucraina. Forza Italia pone oggi un tema forte: cercare un’iniziativa diplomatica che porti alla pace. Lasciare questa iniziativa alla sola Cina», ha concluso Cattaneo, «è un altro errore strategico. Vogliamo consegnare la Russia alla Cina per il futuro?».
Mantiene ferma la sua posizione anche la Lega: «Un anno dopo l’inizio dell’invasione russa», ha argomentato il vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio, «il popolo ucraino non riesce ancora a guardare con speranza alla fine del conflitto. I Paesi democratici, con l’Italia in prima fila, hanno il dovere di aiutare con un sostegno militare ed economico la resistenza di Kyiv. Contemporaneamente, però, si rende sempre più necessario promuovere una convinta azione diplomatica in ambito europeo. Non ci possiamo più accontentare di prendere atto della mancata volontà del presidente Putin di sedersi attorno a un tavolo. Va bene agire d’intesa con gli Stati Uniti», ha sottolineato ancora il vicepresidente del Senato, «ma oggi emergono anche altri protagonisti sullo scenario internazionale, come la Cina e la Turchia. Mentre questi Stati si propongono come mediatori nel conflitto e conquistano sempre più spazi nel Mediterraneo, l’Unione europea non può accontentarsi di sostenere la causa Ucraina solo con le armi, ma deve dimostrare di saper essere protagonista anche nella ricerca di una soluzione di pace, che necessariamente passerà dalla diplomazia e non dai cannoni. E l’Italia ha certamente la tradizione e le competenze necessarie a favorire questo percorso». Intanto ieri il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha partecipato a New York all’assemblea dell’Onu sulla risoluzione per l’Ucraina.
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Secondo il «Wall Street Journal», Washington potrebbe documentare il supporto bellico di Pechino allo zar. Il Dragone, che oggi presenterà una proposta di pace, replica: «Ci diffamano». Volodymyr Zelensky: «Incontriamoci».Lega e Fi mettono il veto sui razzi e il meloniano Tommaso Foti li rassicura. Azzurri contro l’America: «Rispetti il Cav».Lo speciale contiene due articoli.Non accenna a diminuire la tensione tra Washington e Pechino. Secondo il Wall Street Journal, l’amministrazione Biden starebbe pensando di rendere pubbliche informazioni di intelligence, che proverebbero l’intenzione del Dragone di fornire armamenti alla Russia. Una circostanza che ha scatenato l’ira di Pechino. «Possiamo immaginare che l’“intelligence” a cui si riferivano gli Usa stia inseguendo ombre e diffamando la Cina», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Wang Wenbin. Già mercoledì il Pentagono aveva intimato a Pechino di non inviare armi a Mosca. «Ci saranno conseguenze per la Cina se dovessero approfondire le relazioni con la Russia», aveva detto l’addetta stampa del Dipartimento della Difesa americano, Sabrina Singh. «Non li abbiamo visti dare aiuti letali alla Russia per la guerra, ma non hanno nemmeno tolto dal tavolo questa eventualità», aveva aggiunto. A rincarare la dose è stato ieri il segretario del Tesoro americano, Janet Yellen, che ha minacciato «gravi conseguenze», qualora la Cina fornisse assistenza alla Russia, eludendo le sanzioni. Dal canto suo, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha affermato di avere «alcuni indizi» del fatto che il Dragone sarebbe intenzionato a sostenere militarmente il Cremlino. Nel fine settimana, il segretario di Stato americano, Tony Blinken, aveva dichiarato che Pechino starebbe considerando di fornire «supporto letale» a Mosca: un’accusa che, nei giorni scorsi, era stata respinta sia dalla Cina sia dal Cremlino. Nonostante tali smentite, va rilevato che - come notato dal sito Axios - la cooperazione militare tra Pechino e Mosca si è rafforzata a partire dal 2022. Sono inoltre attualmente in corso delle esercitazioni militari congiunte tra Russia, Cina e Sudafrica, a cui sta partecipando anche una fregata russa carica di missili ipersonici Zircon. Tra l’altro, sia Pechino sia Mosca hanno consolidato i propri rapporti con Teheran, che sta fornendo alla Russia droni militari contro Kiev. Infine, ma non meno importante, a gennaio gli Usa avevano comminato sanzioni a Spacety China: una società cinese sospettata di supportare con immagini satellitari le operazioni del Wagner Group in territorio ucraino. Ieri, Blinken si è comunque detto fiducioso di riuscire a dissuadere il Dragone dall’inviare armi a Mosca, mentre il responsabile Esteri del Pcc, Wang Yi, ha auspicato che l’Europa «svolga un ruolo più attivo» nei colloqui di pace. Un rapido cessate il fuoco è stato invece invocato dall’ambasciatore di Pechino all’Onu, Dai Bing. Eppure il nodo non è soltanto di natura militare. Questo (nuovo) scontro tra Washington e Pechino investe anche due problemi di carattere politico. In primis, oggi, a un anno esatto dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, la Cina dovrebbe rendere nota una propria proposta di pace che viene vista con estremo scetticismo dagli Usa. Washington teme che i cinesi vogliano utilizzare il loro piano per spalleggiare de facto i russi e inserire clausole che possano magari essere invocate in futuro a proprio vantaggio sulla disputa taiwanese. È quindi chiaro che pubblicare adesso materiale di intelligence in grado di provare il sostegno militare cinese alla Russia sarebbe funzionale a screditare Pechino nel suo presunto ruolo di attore imparziale nella crisi ucraina. Dall’altra parte, bisognerà capire se quello cinese sarà un piano concreto o uno specchietto per le allodole (un piano, cioè, dai contenuti inaccettabili, messo sul tavolo soltanto per scaricare sugli Usa un suo inevitabile fallimento). Per ora, l’unica cosa certa è che Volodymyr Zelensky si è detto cautamente possibilista. «Vorremmo incontrare la Cina», ha affermato ieri. Intervenendo sul piano cinese, la Casa Bianca si è detta comunque scettica sulla volontà da parte della Russia di negoziare la pace. In secondo luogo, va notato che le suddette dichiarazioni della Yellen sono state pronunciate dal G20 in corso in India. Ebbene, l’altro ieri Reuters - citando funzionari di Nuova Delhi - ha riferito che, durante il summit, il governo indiano non avrebbe intenzione di discutere di nuove sanzioni a Mosca. Non è quindi escludibile che sia in corso un braccio di ferro tra Washington e l’asse sino-russo per garantirsi il sostegno indiano nel quadro della crisi ucraina (ricordiamo che, su questo dossier, Nuova Delhi si è finora barcamenata tra complicati equilibrismi). La tensione nel frattempo resta alta. Vladimir Putin ha annunciato che la Russia schiererà entro quest’anno il missile balistico intercontinentale RS-28 Sarmat (che ha una gittata di 18.000 chilometri e può trasportare testate nucleari). Crescono inoltre i timori che il Cremlino stia mettendo nel mirino anche la Moldavia, la cui presidente, Maia Sandu, ha elogiato ieri l’«eroismo degli ucraini». «Non ci siamo abbattuti, abbiamo superato molte prove e prevarremo», ha dichiarato, dal canto suo, Zelensky, mentre il ministro della Difesa di Mosca, Sergei Shoigu, ha accusato l’Occidente di voler «smembrare la Russia». È in questo quadro che il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha definito l’invasione russa dell’Ucraina «un affronto alla nostra coscienza collettiva», mentre l’Assemblea generale si accingeva a votare una risoluzione per chiedere il ritiro immediato delle truppe di Mosca. È stato frattanto annunciato che le trattative per l’ingresso della Svezia nella Nato riprenderanno a marzo. Dall’altra parte, i Paesi Ue non sono riusciti ieri a trovare un accordo su una nuova tornata di sanzioni alla Russia. Oggi riprenderanno i negoziati. E sempre oggi Joe Biden parteciperà a un meeting virtuale con Zelensky e i leader del G7. Nel frattempo, sul campo di battaglia, quattro persone sono rimaste uccise in un bombardamento ucraino su Donetsk. E il comandante del reggimento Azov Oleg Mudrak - che aveva difeso Mariupol - è morto per un arresto cardiaco.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/anno-guerra-usa-cina-trattativa-2659461625.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="e-fdi-media-con-gli-alleati-solo-aiuti-difensivi" data-post-id="2659461625" data-published-at="1677202562" data-use-pagination="False"> E Fdi media con gli alleati: «Solo aiuti difensivi» Il centrodestra continua a discutere sul prossimo pacchetto di armi da inviare in Ucraina. Lega e Forza Italia hanno fissato alcuni paletti concreti, dicendo «no» all’invio in Ucraina di armi offensive, come aerei da combattimento e missili a lungo raggio. A proposito di Forza Italia: ieri il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, ha attaccato l’incaricato d’affari dell’ambasciata americana a Roma, Shawn Crowley: «Molto sgradevole», ha scritto Gasparri su Twitter, «l’incaricato di affari Usa a Roma Crowley che dice su Repubblica che per Pratica di Mare 2002 Berlusconi “crede di aver aiutato a mettere fine alla guerra fredda”. Come se Berlusconi non avesse dato un importante contributo in quella fase di dialogo e di pace. Crowley precisi. E sia più rispettoso della verità della storia». Ieri una delegazione di Fratelli d’Italia formata dal capogruppo alla Camera, Tommaso Foti, dal presidente della commissione Esteri della Camera, Giulio Tremonti, e dal capogruppo di Fdi nella stessa commissione, Giangiacomo Calovini, ha fatto visita all’ambasciatore ucraino a Roma, Yaroslav Melny, per testimoniare la vicinanza a Kiev. Al termine dell’incontro, Foti ha risposto alle domande sul prossimo pacchetto da inviare in Ucraina, e le sue parole sembrano voler andare incontro agli alleati: «Vediamo prima le armi», ha detto Foti, «tutti parliamo e facciamo processi senza sapere qual è il capo di accusa. Ci sono delle armi che sono difensive. Abbiamo sempre detto che le armi difensive servono all’Ucraina per impedire la sua distruzione o per impedire un risultato della guerra che nessuno auspica, e quindi le armi difensive dovranno essere valutate nell’invio e approvate quando sottoposte all’invio medesimo». «La nostra collocazione geopolitica è chiarissima» ha sottolineato il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, a Oggi è un altro giorno su Rai 1, rispondendo a una domanda sulle diverse posizioni nel centrodestra, «ha rappresentato la scelta di portare anche fisicamente la nostra solidarietà a un popolo aggredito. La nostra collocazione geopolitica è chiarissima», ha aggiunto Ciriani, precisando poi che «all’interno di una maggioranza possono esserci sensibilità diverse, ma siamo lì non per un’escalation ma per difendere un Paese aggredito. L’obiettivo è la difesa, non aggredire». A ribadire la posizione di Forza Italia ieri è stato il capogruppo alla Camera, Alessandro Cattaneo: «Sull’invio delle armi», ha detto Cattaneo ad Agorà, su Rai 3, «abbiamo sempre scelto in maniera assolutamente convinta di rimanere nell’alveo delle decisioni prese dalla Nato. Così abbiamo fatto e così faremo sempre. Non dobbiamo fare propaganda o banalizzazioni. Quando Zelensky ha chiesto di avere jet, missili a lungo raggio o carri armati», ha aggiunto Cattaneo, «non è che la comunità internazionale gli ha risposto: pronti, eccoli, te li mettiamo a disposizione. Anche la comunità internazionale, anche la Nato stessa ha fatto delle valutazioni di carattere geopolitico, che mirano a evitare l’allargamento del conflitto o un’escalation che può portare anche a una guerra nucleare. Ma questo non significa certo non essere al fianco dell’Ucraina. Forza Italia pone oggi un tema forte: cercare un’iniziativa diplomatica che porti alla pace. Lasciare questa iniziativa alla sola Cina», ha concluso Cattaneo, «è un altro errore strategico. Vogliamo consegnare la Russia alla Cina per il futuro?». Mantiene ferma la sua posizione anche la Lega: «Un anno dopo l’inizio dell’invasione russa», ha argomentato il vicepresidente del Senato, Gian Marco Centinaio, «il popolo ucraino non riesce ancora a guardare con speranza alla fine del conflitto. I Paesi democratici, con l’Italia in prima fila, hanno il dovere di aiutare con un sostegno militare ed economico la resistenza di Kyiv. Contemporaneamente, però, si rende sempre più necessario promuovere una convinta azione diplomatica in ambito europeo. Non ci possiamo più accontentare di prendere atto della mancata volontà del presidente Putin di sedersi attorno a un tavolo. Va bene agire d’intesa con gli Stati Uniti», ha sottolineato ancora il vicepresidente del Senato, «ma oggi emergono anche altri protagonisti sullo scenario internazionale, come la Cina e la Turchia. Mentre questi Stati si propongono come mediatori nel conflitto e conquistano sempre più spazi nel Mediterraneo, l’Unione europea non può accontentarsi di sostenere la causa Ucraina solo con le armi, ma deve dimostrare di saper essere protagonista anche nella ricerca di una soluzione di pace, che necessariamente passerà dalla diplomazia e non dai cannoni. E l’Italia ha certamente la tradizione e le competenze necessarie a favorire questo percorso». Intanto ieri il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha partecipato a New York all’assemblea dell’Onu sulla risoluzione per l’Ucraina.
Friedrich Merz (Ansa)
Il dissenso della gioventù aveva provocato forti tensioni all’interno della maggioranza tanto da far rischiare la prima crisi di governo seria per Merz. Il via libera del parlamento tedesco, dunque, segna di fatto una crisi politica enorme e pure lo scollamento della democrazia tra maggioranza effettiva e maggioranza dopata. Come già era accaduto in Francia, la materia pensionistica è l’iceberg contro cui si schiantano i… Titanic: Macron prima, Merz adesso. Il presidente francese sulle pensioni ha visto la rottura dei suoi governi per l’incalzare di rivolte popolari e questo in carica guidato da Lecornu ha dovuto congelare la materia per non lasciarci le penne. Del resto in Europa non è il solo che naviga a vista, non curante della sfiducia nel Paese: in Spagna il governo Sánchez è in piena crisi di consensi per i casi di corruzione scoppiati nel partito e in casa, e pure l’accordo coi i catalani e coi baschi rischia di far deragliare l’esecutivo sulla finanziaria. In Olanda non c’è ancora un governo. In Belgio il primo ministro De Wever ha chiesto altro tempo al re Filippo per superare lo stallo sulla legge di bilancio che si annuncia lacrime e sangue. In Germania - dicevamo - il governo si è salvato per l’appoggio determinante della sinistra radicale, aprendo quindi un tema politico che lascerà strascichi dei quali beneficerà Afd, partito assai attrattivo proprio tra i giovani.
I tre voti con i quali Merz si è salvato peseranno tantissimo e manterranno acceso il dibattito proprio su una questione ancestrale: l’aumento del debito pubblico. «Questo disegno di legge va contro le mie convinzioni fondamentali, contro tutto ciò per cui sono entrato in politica», ha dichiarato a nome della Junge Union Gruppe Pascal Reddig durante il dibattito. Lui è uno dei diciotto che avrebbe voluto affossare la stabilizzazione previdenziale anche a costo di mandare sotto il governo: il gruppo dei giovani non aveva mai preso in considerazione l’idea di caricare sulle spalle delle future generazioni 115 miliardi di costi aggiuntivi a partire dal 2031.
E senza quei 18 sì, il governo sarebbe finito al tappeto. Quindi ecco la solita minestrina riscaldata della sopravvivenza politica a qualsiasi costo: l’astensione dai banchi dell’opposizione del partito di estrema sinistra Die Linke, per effetto della quale si è ridotto il numero di voti necessari per l'approvazione. E i giovani? E le loro idee?
Merz ha affermato che le preoccupazioni della Junge Union saranno prese in considerazione in una revisione più ampia del sistema pensionistico prevista per il 2026, che affronterà anche la spinosa questione dell'innalzamento dell'età pensionabile. Un bel modo per cercare di salvare il salvabile. Anche se ora arriva pure la tegola della riforma della leva: il parlamento tedesco ha infatti approvato la modernizzazione del servizio militare nel Paese, introducendo una visita medica obbligatoria per i giovani diciottenni e la possibilità di ripristinare la leva obbligatoria in caso di carenza di volontari. Un altro passo verso la piena militarizzazione, materia su cui l’opinione pubblica tedesca è in profondo disaccordo e che Afd sta cavalcando. Sempre che la democrazia non deciderà di fermare Afd…
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«The Rainmaker» (Sky)
The Rainmaker, versione serie televisiva, sarà disponibile su Sky Exclusive a partire dalla prima serata di venerdì 5 dicembre. E allora l'abisso immenso della legalità, i suoi chiaroscuri, le zone d'ombra soggette a manovre e interpretazioni personali torneranno protagonisti. Non a Memphis, dov'era ambientato il romanzo originale, bensì a Charleston, nella Carolina del Sud.
Il rainmaker di Grisham, il ragazzo che - fresco di laurea - aveva fantasticato sulla possibilità di essere l'uomo della pioggia in uno degli studi legali più prestigiosi di Memphis, è lontano dal suo corrispettivo moderno. E non solo per via di una città diversa. Rudy Baylor, stesso nome, stesso percorso dell'originale, ha l'anima candida del giovane di belle speranze, certo che sia tutto possibile, che le idee valgano più dei fatti. Ma quando, appena dopo la laurea in Giurisprudenza, si trova tirocinante all'interno di uno studio fra i più blasonati, capisce bene di aver peccato: troppo romanticismo, troppo incanto. In una parola, troppa ingenuità.
Rudy Baylor avrebbe voluto essere colui che poteva portare più clienti al suddetto studio. Invece, finisce per scontrarsi con un collega più anziano nel giorno dell'esordio, i suoi sogni impacchettati come fossero cosa di poco conto. Rudy deve trovare altro: un altro impiego, un'altra strada. E finisce per trovarla accanto a Bruiser Stone, qui donna, ben lontana dall'essere una professionista integerrima. Qui, i percorsi divergono.
The Rainmaker, versione serie televisiva, si discosta da The Rainmaker versione carta o versione film. Cambia la trama, non, però, la sostanza. Quel che lo show, in dieci episodi, vuole cercare di raccontare quanto complessa possa essere l'applicazione nel mondo reale di categorie di pensiero apprese in astratto. I confini sono labili, ciascuno disposto ad estenderli così da inglobarvi il proprio interesse personale. Quel che dovrebbe essere scontato e oggettivo, la definizione di giusto o sbagliato, sfuma. E non vi è più certezza. Nemmeno quella basilare del singolo, che credeva di aver capito quanto meno se stesso. Rudy Baylor, all'interno di questa serie, a mezza via tra giallo e legal drama, deve, dunque, fare quel che ha fatto il suo predecessore: smettere ogni sua certezza e camminare al di fuori della propria zona di comfort, alla ricerca perpetua di un compromesso che non gli tolga il sonno.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Mentre l’Europa è strangolata da una crisi industriale senza precedenti, la Commissione europea offre alla casa automobilistica tedesca una tregua dalle misure anti-sovvenzioni. Questo armistizio, richiesto da VW Anhui, che produce il modello Cupra in Cina, rappresenta la chiusura del cerchio della de-industrializzazione europea. Attualmente, la VW paga un dazio anti-sovvenzione del 20,7 per cento sui modelli Cupra fabbricati in Cina, che si aggiunge alla tariffa base del 10 per cento. L’offerta di VW, avanzata attraverso la sua sussidiaria Seat/Cupra, propone, in alternativa al dazio, una quota di importazione annuale e un prezzo minimo di importazione, meccanismi che, se accettati da Bruxelles, esenterebbero il colosso tedesco dal pagare i dazi. Non si tratta di una congiuntura, ma di un disegno premeditato. Pochi giorni fa, la stessa Volkswagen ha annunciato come un trionfo di essere in grado di produrre veicoli elettrici interamente sviluppati e realizzati in Cina per la metà del costo rispetto alla produzione in Europa, grazie alle efficienze della catena di approvvigionamento, all’acquisto di batterie e ai costi del lavoro notevolmente inferiori. Per dare un’idea della voragine competitiva, secondo una analisi Reuters del 2024 un operaio VW tedesco costa in media 59 euro l’ora, contro i soli 3 dollari l’ora in Cina. L’intera base produttiva europea è già in ginocchio. La pressione dei sindacati e dei politici tedeschi per produrre veicoli elettrici in patria, nel tentativo di tutelare i posti di lavoro, si è trasformata in un calice avvelenato, secondo una azzeccata espressione dell’analista Justin Cox.
I dati sono impietosi: l’utilizzo medio della capacità produttiva nelle fabbriche di veicoli leggeri in Europa è sceso al 60% nel 2023, ma nei paesi ad alto costo (Germania, Francia, Italia e Regno Unito) è crollato al 54%. Una capacità di utilizzo inferiore al 70% è considerata il minimo per la redditività.
Il risultato? Centinaia di migliaia di posti di lavoro che rischiano di scomparire in breve tempo. Volkswagen, che ha investito miliardi in Cina nel tentativo di rimanere competitiva su quel mercato, sta tagliando drasticamente l’occupazione in patria. L’accordo con i sindacati prevede la soppressione di 35.000 posti di lavoro entro il 2030 in Germania. Il marchio VW sta già riducendo la capacità produttiva in Germania del 40%, chiudendo linee per 734.000 veicoli. Persino stabilimenti storici come quello di Osnabrück rischiano la chiusura entro il 2027.
Anziché imporre una protezione doganale forte contro la concorrenza cinese, l’Ue si siede al tavolo per negoziare esenzioni personalizzate per le sue stesse aziende che delocalizzano in Oriente.
Questa politica di suicidio economico ha molto padri, tra cui le case automobilistiche tedesche. Mercedes e Bmw, insieme a VW, fecero pressioni a suo tempo contro l’imposizione di dazi Ue più elevati, temendo che una guerra commerciale potesse danneggiare le loro vendite in Cina, il mercato più grande del mondo e cruciale per i loro profitti. L’Associazione dell’industria automobilistica tedesca (Vda) ha definito i dazi «un errore» e ha sostenuto una soluzione negoziata con Pechino.
La disastrosa svolta all’elettrico imposta da Bruxelles si avvia a essere attenuata con l’apertura (forse) alle immatricolazioni di motori a combustione e ibridi anche dopo il 2035, ma ha creato l’instabilità perfetta per l’ingresso trionfale della Cina nel settore. I produttori europei, combattendo con veicoli elettrici ad alto costo che non vendono come previsto (l’Ev più economico di VW, l’ID.3, costa oltre 36.000 euro), hanno perso quote di mercato e hanno dovuto ridimensionare obiettivi, profitti e occupazione in Europa. A tal riguardo, ieri il premier Giorgia Meloni, insieme ai leader di Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria e Ungheria, in una lettera ai vertici Ue, ha esortato l’Unione ad abbandonare, una volta per tutte, il dogmatismo ideologico che ha messo in ginocchio interi settori produttivi, senza peraltro apportare benefici tangibili in termini di emissioni globali». Nel testo, si chiede di mantenere anche dopo il 2035 le ibride e di riconoscere i biocarburanti come carburanti a emissioni zero.
L’Ue, che sempre pretende un primato morale, ha in realtà creato le condizioni perfette per svuotare il continente di produzione industriale. Accettare esenzioni dai dazi sull’import dalle aziende che hanno traslocato in Cina è la beatificazione della delocalizzazione. L’Europa si avvia a diventare uno showroom per prodotti asiatici, con le sue fabbriche ridotte a ruderi. Paradossalmente, diverse case automobilistiche cinesi stanno delocalizzando in Europa, dove progettano di assemblare i veicoli e venderli localmente, aggirando così i dazi europei. La Great Wall Motors progetta di aprire stabilimenti in Spagna e Ungheria per assemblare i veicoli. Anche considerando i più alti costi del lavoro europei (16 euro in Ungheria, dato Reuters), i cinesi pensano di riuscire ad essere più competitivi dei concorrenti locali. Per convenienza, i marchi europei vanno in Cina e quelli cinesi vengono in Europa, insomma. A perderci sono i lavoratori europei.
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