2022-03-20
Angeli di Kiev contro fuoco e paura
(Credit: Niccolò Celesti)
Le squadre dei pompieri ormai dormono nell’autobotte, non hanno turno, disponibili 24 ore su 24. «A volte ti senti impotente, al posto della pompa vorresti avere il fucile».Niccolò Celesti da KievAlexander ha un sorriso orgoglioso quando si fa fotografare insieme ad Eugeniy il collega con cui da 12 ore sta cercando di estinguere l’incendio causato da un missile in una area industriale a nord di Kiev. Sono sette in tutto i componenti della squadra guidata da Alexander. Si danno il cambio perché fumo e vampate di calore a volte diventano insopportabili. «È una corsa contro il tempo» ci racconta. «A fare la differenza quando si lavora in guerra è la paura che, mentre stai intervenendo, possa arrivare da un momento all’altro un nuovo missile o una bomba e noi non abbiamo caschi o giubbotti antiproiettile. Dal primo giorno di guerra non abbiamo turni, non torniamo più nelle nostre case, non abbiamo potuto accompagnare le famiglie fuori città nelle province e nelle regioni più sicure, siamo in balia degli eventi». Alexander il «battesimo del fuoco» lo aveva avuto, a 17 anni, nel 2007, mentre era in Crimea con l’esercito. Là aveva dovuto domare diversi incendi. Tornato a Kiev, nel 2009 ha deciso di entrare nel corpo da civile e lì è rimasto sino al primo giorno di guerra. Ora, con la legge marziale, i vigili del fuoco dipendono dall’esercito. «Ho fatta tanta esperienza e poi nel 2018 ho studiato per diventare dirigente, ora sono il responsabile del mio dipartimento, il 44° di Kiev. Ci sono 80 ragazzi che lavorano con me, sono tutti parte della mia famiglia». Suo padre è morto quando aveva 3 anni, mentre la madre, invece, abita in una cittadina a sud ovest di Kiev che si chiama Boyarka. «Non vuole lasciare casa sua e quindi vivo con l’angoscia che le possa succedere qualcosa, ma non posso neanche raggiungerla. Come ho detto siamo in turno 24 su 24, 7 giorni su 7, la mia casa più che il dipartimento sta diventando l’autobotte, ho scelto io di fare questo mestiere, in tempo di pace è bellissimo, salviamo vite, animali, facciamo servizio di protezione civile. Ora è diverso, a volte ti senti impotente, a volte al posto della pompa vorresti avere il fucile, per la rabbia, ma è solo una reazione passeggera. Il fuoco può essere spento solo dall’acqua e noi siamo qui per questo, con la guerra o senza la guerra».Alexander ci parla a pochi metri dalle fiamme, ogni tanto gira la testa verso i suoi uomini, li osserva per controllare il livello di stanchezza, la pressione nelle manichette. I suoi uomini sono tutti giovanissimi e alcuni hanno ancora i visi abbastanza puliti. Lui ha la faccia resa nera dalla fuliggine da cui spiccano i denti bianchi, visto che non smette di sorridere.«Intorno a noi scoppiano bombole e altre attrezzature di questa fabbrica di biciclette che ha avuto la sfortuna di avere un obiettivo militare vicino. Sono 12 ore che stiamo cercando di spegnere questo fuoco e sono già arrivate molte chiamate di altri incidenti. So che ci sono tantissimi volontari, non solo per l’esercito, ma proprio per il nostro corpo. Non tutti, però, sono in grado di uccidere, ma tutti sono in grado di aiutare anche a rischio della morte. Da questo punto di vista ci siamo riscoperti un Paese unito, senza più divisioni interne su politica o cultura, e questa è una cosa bellissima, mi spiace solo che so che quando ci saranno più perdite fra di noi inizieranno ad arrivare volontari sempre più giovani. So che nell’est dell’Ucraina, i vigili del fuoco morti sono già tantissimi, i russi spesso bombardano dove lo hanno già fatto per uccidere altri militari e civili intervenuti in soccorso, per questo converrebbe aspettare un po’ di tempo prima di intervenire quando una bomba è appena caduta, ma spesso quel tempo non c’è, quindi sappiamo che possiamo morire con chi cerchiamo di tirare fuori dalle macerie».Sorride, si asciuga il sudore con la manica della giacca nera che gli disegna una striscia di fuliggine sulla fronte. Nello scrivere il suo nome sul nostro cellulare lascia le tracce di una intera nottata al lavoro e poi cerca anche di ripulire lo schermo con un lembo della maglia che estrae dal polso. Quindi ci congeda, pieno di nostalgia: «Appena ho finito qui vado a prendere una birra e compro un biglietto per lo stadio oppure vado al parco o a mangiare il pesce alla griglia in quei posticini lungo il fiume Dnipro dove si va la domenica d’estate. Le sponde del nostro fiume sono bellissime».