2022-12-15
Toghe progressiste giù dal piedistallo. Monta la «rivolta»
Andrea Padalino (Imagoeconomica)
La Procura generale di Milano fa piazza pulita degli appelli per i processi flop: da Eni-Amara al caso dell’ex gip Andrea Padalino.Il sismografo della magistratura registra scosse sempre più frequenti. Il Sistema non è più un monolite e molte toghe si stanno ribellando. In forma anche plateale. Soprattutto contro alcune discutibili decisioni delle toghe di sinistra. Nelle ultime ore sono accaduti tre fatti che sembrano confermare tale smottamento.Partiamo dal caso del pm antimafia Paolo Itri la cui candidatura alla Direzione nazionale antimafia è stata bocciata dal Csm a trazione progressista. In modo clamoroso, visto che ha ritenuto più idoneo un concorrente, Cesare Sirignano, che secondo il Consiglio di Stato aveva meno titoli, ma soprattutto che è stato allontanato dalla Dna per una presunta incompatibilità ambientale motivata da alcune conversazioni intercettate con l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara. I magistrati di Area in Consiglio hanno giustificato la loro decisione in un comunicato con cui hanno ribadito che il profilo della toga allontanata restava «prevalente», dovendo giudicare i fatti «ora per allora». Cioè come se si fosse nel 2015, quando la decisione era stata presa.Quasi lapalissiano che il Csm abbia confermato una propria precedente valutazione. Peccato che il Consiglio di Stato, successivamente, abbia espresso un giudizio opposto.Per rafforzare la propria presa di posizione i consiglieri di Area hanno sottolineato che i fatti per cui era stato disposto l’allontanamento di Sirignano si sono verificati successivamente al 2015 e che quindi non potevano essere oggetto della rivalutazione.Ma in un caso non troppo dissimile il Csm ha, invece, ritenuto di poter utilizzare le chat di Palamara per rivedere una propria decisione. Infatti, nel 2021, dopo aver ricevuto dalla Procura di Perugia i messaggi autopromozionali inviati dalla pm Isabella Ginefra allo stesso Palamara in vista dell’assegnazione della poltrona di procuratore di Larino, ha annullato la nomina della donna, decisa nel 2018. La giustificazione? Proprio il contenuto delle chat, all’epoca del voto ignoto ai membri del parlamentino dei giudici: «Si tratta di circostanze che ove conosciute avrebbero certamente potuto influire sul giudizio espresso prima dalla Quinta commissione e poi dal Plenum del Csm e che, dunque, assurgono a elemento nuovo e sopravvenuto idoneo a legittimare l’annullamento di ufficio» si leggeva nella proposta della stessa Quinta commissione. È la prova che quando vuole il Csm, anziché «ora per allora», può decidere «ora per ora», cioè alla luce delle nuove conoscenze.Ma l’excusatio dei magistrati di Area aggiunge un altro punto: Itri aveva ricevuto valutazioni differenti in «momenti ravvicinati», il che «avrebbe determinato una grave e insanabile incoerenza». Noi ribattiamo che per due candidati al posto di aggiunto della Procura di Roma, nella stessa mattinata, il Csm, senza porsi troppi problemi, aveva valutato migliore prima l’uno e poi l’altra, in modo da farli promuovere entrambi come migliori di candidati in due diversi concorsi.E che le valutazioni del Csm siano un terno al lotto lo dimostrano le valutazioni proprio di Itri che nel 2015 ha ottenuto un punteggio di 12,5, di 12 nel 2019 e di 13 dopo la decisione del Consiglio di Stato. Forse il voto dipende da come si sveglino la mattina i consiglieri.Il commento di Itri è amaro: «Delle due l’una: o le valutazioni comparative vanno a corrente alternata a seconda dei concorsi e dei singoli concorrenti, oppure si è voluto “aggiustare” il tiro in vista dei futuri e prevedibili ricorsi al Tar».Il giudice Andrea Reale in una chat di magistrati rincara la dose ricordando come Sirignano, promosso dal Csm, avrebbe messo in discussione le capacità intellettive del consigliere Nino Di Matteo, che presto tornerà alla Dna.Per Reale il Csm «colto da una fulminante amnesia dissociativa ritiene il dottor Sirignano pienamente titolato a rientrare nella Procura Nazionale Antimafia, quell’Ufficio dove presto re-incontrerà - e dovrà lavorare insieme con - un “mezzo scemo”... più che Csm, sembra di essere al D.s.m. (Dipartimento di salute mentale, ndr)!». In risposta, un altro giudice, Andrea Mirenda, ha aggiunto: «Quel che è chiaro è che il correntismo, padrone indisturbato del nostro organo costituzionale, non ce la fa proprio a prestare ossequio alle indicazioni del Giudice amministrativo.[…] Nessuna speranza di cambiamento vi potrà mai essere sino a quando ciascun consigliere voterà il “suo” […] Quelli che verranno saranno, purtroppo, quattro anni all’insegna di un perverso continuismo».Si può dire che da Nord a Sud ormai i giudici facciano a gara nel prendere le distanze oltre che dai consiglieri del Csm anche dai pubblici ministeri. Dopo la rinuncia fatta dal sostituto procuratore generale di Milano Celestina Gravina all’appello proposto dal procuratore aggiunto milanese Fabio De Pasquale e dal sostituto Sergio Spadaro nel procedimento Eni/Nigeria, un altro magistrato della Procura generale di Milano, Gemma Gualdi, ha clamorosamente cestinato un altro appello presentato questa volta da due procuratori aggiunti, Laura Pedio e Eugenio Fusco, nel fumoso procedimento che vedeva imputato per corruzione in atti giudiziari l’ex pm torinese Andrea Padalino, oggi giudice civile a Vercelli e già Gip nella stagione di Mani pulite.Questa ulteriore presa di distanza dalla Procura, che sino all’arrivo del nuovo procuratore Marcello Viola è stata per diversi lustri il baluardo della magistratura progressista, segue un’altra iniziativa sempre di Gemma Gualdi che, a marzo di quest’anno, ha trasmesso alla Procura di Brescia gli atti relativi all’indagine su Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, ex vertici di Mps, che la Procura guidata sino all’anno scorso da Francesco Greco aveva provato ad archiviare trovando la netta opposizione del Gip Guido Salvini. Davanti alla propria porta l’altro ieri Padalino ha lasciato un messaggio commosso: «Voglio dire grazie anche a tutti coloro che, qui a Vercelli, mi hanno dato fiducia e aiutato a resistere in questa tempesta. Ora, con il cuore impavido, guardo al futuro e continuerò, come ho sempre fatto, a lottare per la giustizia».Poche righe scritte sotto il comunicato stampa del suo avvocato Massimo Dinoia, che ha riassunto così la vicenda: «Dopo cinque lunghissimi angosciosi anni è stata irrevocabilmente posta la parola fine all’autentico calvario processuale che ha dovuto subire il dottor Padalino. La Procura generale ha rinunciato all’appello che i pubblici ministeri di primo grado avevano presentato contro la sentenza di assoluzione, prendendo così atto della sua totale infondatezza perché i fatti non sussistono».Lo scollamento tra la Procura di Milano e gli altri uffici appare sempre più evidente e la vicenda del faccendiere Piero Amara, coccolato dai pm e non solo nel capoluogo lombardo, ha certamente contribuito ad acuire i contrasti.È di questi giorni infatti la decisione del Gip di Milano Lidia Castellucci di rigettare l’ennesima richiesta di archiviazione presentata dalla Pedio in un procedimento che vede indagato Amara per calunnia ai danni del capo dell’ufficio legale dell’Eni Stefano Speroni, proposta in un clima incandescente tanto che la Pedio è stata costretta in udienza a difendersi dalle accuse di doppiopesismo lanciate dagli avvocati, i quali, carte alla mano, hanno dimostrato al giudice che «i cinque dati riferiti da Amara su Speroni sono falsi».Stesso copione, con qualche variante, nel procedimento parallelo che riguarda un altro dirigente dell’Eni, il capo della sicurezza Alfio Rapisarda. Anche in questo caso la Pedio ha chiesto l’archiviazione per Amara, trovando, però, lo sbarramento della Procura generale che, con un provvedimento firmato dal Pg in persona, Francesca Nanni, ha avocato il procedimento.
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