2020-04-10
Andare a messa a Pasqua è da fascisti predica don Michele, il pretino laico
Michele Serra, editorialista di «La Repubblica»: «È roba da scemi». Anche a sinistra esistono, concede, ma non invocano «la riapertura delle bocciofile e dei tornei di scopa d'assi». E anche un certo clero è d'accordo. Mentre Giuseppe Conte si destreggia fra le liane della teologia discettando di messa sine populo sull'Osservatore Romano, ecco che dalla spuma di mare emerge un altro teologo fresco di laurea, don Michele Serra. Nei giorni scorsi ha celebrato l'importanza delle faccende domestiche, ma si vede che tra una passata e l'altra di straccio gli avanzava tempo per un passaggio sul pulpito. Il nostro sommo sacerdote parte da una premessa originale e profonda: i fascisti sono scemi. Attenti, però, perché egli annovera tra i fascisti («di diverse parrocchie nere e verdi») tutti coloro che hanno chiesto di riaprire le chiese per Pasqua. Ora, che c'entri il fascismo con il desiderio di santificare la festa non si capisce: mistero della fede che solo don Serra può svelare. Se chi chiede di poter andare in chiesa a Pasqua è fascista e scemo, allora dev'essere scema e fascista anche la signora Giovanna, che timidamente ci ha raccontato qualche giorno fa al telefono di sentirsi persa, senza la visita abituale in cattedrale. Secondo il divino Michele (versione leggermente meno seria del divino Otelma), è da scemi non capire che stare alla larga dalla chiesa è una misura sanitaria. Anche a sinistra esistono gli scemi, concede Serra, ma non invocano «la riapertura delle bocciofile e dei tornei di scopa d'assi». Ecco il punto: per il nostro teologo d'eccezione, la messa è come un giro di carte al bar, un'attività superflua e del tutto trascurabile. Fosse solo Serra, a pensarla così, poco male. Purtroppo sono in tanti - a sinistra e pure a destra - a condividere le sue posizioni. Poiché non hanno fede, pretendono che non l'abbiano neppure gli altri. Pretendono che anche i cattolici considerino l'ostia uno snack da sgranocchiare in compagnia. Il fatto curioso, tornando a Serra, è che il caro pretino laico, non molti giorni fa, aveva sottoscritto la proposta di Matteo Renzi di riaprire le librerie, «considerandole, come edicole e farmacie, un presidio contro angoscia e solitudine. Con le debite distanze di sicurezza, le mascherine e tutto il resto». E allora ci spieghi: perché la messa non dovrebbe essere, persino agli occhi di un non credente, un presidio contro la solitudine e l'angoscia? Altro mistero. Serra, indomito, prosegue con l'invettiva: «Perché mai, dunque, gli scemi di destra pretendono che la fede debba avere necessariamente la forma di un'adunata?». Già, perché? Forse perché la parola stessa, «Chiesa», significa adunata. Ecclesia, esattamente come sinagoga, indica proprio questo: un'assemblea. E non basta il «popolo di Dio», da solo, a fare la Chiesa. «Per i cattolici», spiegava Joseph Ratzinger nel 1985, «la Chiesa è composta sì da uomini che ne organizzano il volto esterno; ma, dietro di questo, le strutture fondamentali sono volute da Dio stesso e quindi sono intangibili». Si è Chiesa, proseguiva il futuro Papa, «non attraverso appartenenze sociologiche, bensì attraverso l'inserzione nel corpo stesso del Signore, per mezzo del battesimo e della eucarestia». Insomma, la Chiesa «non si esaurisce nel “collettivo" dei credenti: essendo il “Corpo di Cristo" ben di più della semplice somma dei suoi membri». Ecco perché «gli scemi» si ostinano a voler andare a messa. Perché sanno di non potersi bastare da soli. Poi, certo, don Michele ha ragione quando nota che le gerarchie ecclesiastiche «neanche si sognano di riaprire le chiese». Il problema più grande sta proprio lì, nel fatto che i vescovi (molto più di Francesco) sono i primi a insistere con la serrata. Sembra che, per certi prelati, la Chiesa come istituzione sia del tutto superflua. Ratzinger lo notava già oltre trent'anni fa: «Anche presso alcuni teologi, la Chiesa appare come una costruzione umana, uno strumento creato da noi e che quindi noi stessi possiamo riorganizzare liberamente a seconda delle esigenze del momento. Si è cioè insinuata in molti modi nel pensiero cattolico, e perfino nella teologia cattolica, una concezione di Chiesa che non si può neppure chiamare protestante». Ieri, con l'approvazione di un ordine del giorno proposto dai leghisti Simone Pillon e Massimiliano Romeo, il governo si è impegnato «ad avviare un'interlocuzione con la Cei affinché vengano chiarite le modalità d'accesso ai luoghi di culto, ferma restando l'esigenza di evitare assembramenti di persone». Tuttavia, la posizione della Cei appare chiara: a Pasqua tutti a casa, non si cambia rotta nemmeno se l'esecutivo apre un piccolo spiraglio. Cardinali come Matteo Zuppi - anche per astio antisalviniano - sono ferocemente contrari all'apertura. C'è stato addirittura chi, come il vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, ha sostenuto che sia «superficiale voler comunque andare in chiesa». Certo, qualche voce fuori dal coro c'è, ad esempio quella di Giovanni D'Ercole, vescovo di Ascoli Piceno, secondo cui «si potevano aprire le chiese, con qualche accorgimento». Per il monsignore, «Salvini ha espresso un concetto condivisibile ed è sconcertante che tanti cattolici lo abbiano attaccato». Ma la linea prevalente è un'altra. A quanto pare, certi vescovi sono i primi a considerare «scemi» i fedeli che vogliono andare a messa.