2021-06-01
Lo Stato si è ripreso l’azienda in tribunale. I suoi errori però sono in conto al Paese
Il pugno duro dei giudici stende privati e produzione. Il settore è ai minimi anche se abbiamo eccellenze all'avanguardia.Lo Stato dà. Lo Stato toglie. La somma però è sempre negativa. E alla fine il Paese è più povero. Così, dopo aver affidato nel 1995 gli impianti siderurgici dell'Ilva alla famiglia Riva, nel 2012 se li è ripresi manu giudiziaria con l'accusa di disastro ambientale. Si è ripresa le stesse strutture che nei decenni prima lo Stato aveva gestito nel migliore dei casi con pari cura. E ieri a distanza di nove anni dall'avvio del processo, dalla confisca dell'area produttiva a caldo e dopo 329 udienze, sempre lo Stato ha punito gran parte dei 47 imputati. Il primo grado si è chiuso con condanne per 306 anni (i pm ne avevano chiesti 350) che hanno coinvolto in prima persona i figli di Emilio Riva, ma anche l'avvocato della famiglia e una lunga fila di esponenti della filiera fino all'attuale direttore generale dello stabilimento di Taranto.L'area a caldo è stata definitivamente confiscata e, nonostante la possibilità di utilizzarla, se entro il terzo grado non si dovesse ottemperare alle richieste di bonifica, il sito produttivo verrà confiscato in senso letterale. Peccato che adesso la controparte sia di nuovo lo Stato. Da un lato la magistratura e dall'altro Acciaierie d'Italia che non è altro che la newco frutto della partnership tra l'Invitalia, guidata da Domenico Arcuri, e Arcelor Mittal Italia che è (quasi) riuscita a liberarsi del fardello di Taranto grazie alla mossa dei 5 stelle. I quali decisero di rimuovere lo scudo penale e quindi nei fatti invalidarono il contratto di acquisto trattato all'epoca di Carlo Calenda e chiuso con qualche modifica da Luigi Di Maio. Inutile dire che i francoindiani non aspettavano altro per poter ridurre le perdite e soprattutto prolungare l'agonia del sistema Italia. Cagionando così un forte beneficio agli altri impianti Arcelor sparsi in giro per l'Europa e il resto del mondo. La sentenza di ieri riporta Taranto al 2012 ma il settore dell'acciaio agli anni Sessanta, quando gli impianti dell'Ilva producevano meno di 4 milioni di tonnellate. L'intervento della magistratura e il successivo accanimento politico non hanno risolto nessuno dei problemi del Meridione e non hanno contribuito al rilancio della produzione. Certo, il governo Conte ha delle colpe enormi. È riuscito grazie alle assurdità promosse dai 5 stelle a rompere quel leggero fil di ferro che teneva in equilibrio la baracca. Ma in fondo visto il contesto in cui si opera alla fine ha solo accelerato il degrado dell'industria. La newco su cui peseranno i futuri investimenti non ha ancora certificato il nuovo cda. Franco Bernabè è stato individuato come presidente ma non nominato. Già si litiga sulla certificazione del bilancio. Non è una buona premessa. Tanto più che l'ex Ilva non è un'anomalia. Piombino è messa altrettanto male. E da ormai due anni si cerca di rinviare i problemi. Lo stabilimento in mano a Jindal, tramite Jsw Italia, era all'avanguardia per la produzione di rotaie. Oggi domina la cassa integrazione condita dai sussidi.Lo scorso febbraio la proprietà ha inviato al governo un progetto di rilancio, ma è l'ennesimo. Il nuovo ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, ne è consapevole e più volte ha parlato di un piano nazionale per salvaguardare l'acciaio. Ma dal dire al fare ci sono di mezzo le Procure e l'attuale guerra sulle materie prime. Prezzi alle stelle e l'Europa che ragiona ancora secondo il modello dei dazi, colpendo le nazioni trasformatrici. Ovviamente, l'Italia è tra queste. Ma come si fa a spiegare che le aziende non si rilanciano con le manette? Con le pendenze che durano anni e soprattutto con l'incertezza alimentata da gran parte della sinistra. Nichi Vendola si accorge adesso che il sistema non funziona come dovrebbe. Non stiamo scrivendo che i pm non debbano fare il proprio lavoro. Ma che bisognerebbe evitare che si formino vuoti o lacune che poi inevitabilmente vanno colmate. Perché in Italia le eccellenze e le capacità ci sono. Ma attenzione perché tendono a migrare. Un esempio perfetto è quanto hanno fatto la scorsa settimana in Svezia Exor e il gruppo Marcegaglia. Sono tra gli investitori (round da 105 milioni) impegnati a dare il via alla prima acciaieria tutta a idrogeno. Un tema che è nel nostro Pnrr e che l'Europa vorrebbe implementato entro il 2030. Ecco l'impianto di Boden a cui partecipano Marcegaglia ed Exor sarà pronto nel 2024. Ben sei anni prima. Segno che le cose si possono fare. Il gruppo di Gazoldo degli Ippoliti sembra adesso concentrato sulle acciaierie speciali di Terni. I tedeschi vogliono vendere e il governo sembra impegnato a garantire a Thyssen Krupp una uscita veloce dal Paese (in cambio di partnership con altre aziende pubbliche in Germania?). Al tempo stesso non vuole che siano gruppi cinesi a intervenire. Viste le tensioni sulle materie prime una ottima scelta. Sarebbe un piccolo passo. Che solo in minima parte riuscirebbe a risolvere il grande interrogativo. Riuscirà il governo ad affidare Taranto a Danieli-Leonardo-Saipem? O ad altri con le spalle grosse per affrontare i pericoli penali che incombono su chi produce.