Le risorse per la salute, che nel 2021 erano salite al 7% del Pil, dal 2023 torneranno a scendere. Rischiamo di costruire ospedali col Pnrr e poi di non avere i soldi per gli stipendi dei medici. Il Patto di stabilità in teoria è stato sospeso, però lo stiamo rispettando.
Le risorse per la salute, che nel 2021 erano salite al 7% del Pil, dal 2023 torneranno a scendere. Rischiamo di costruire ospedali col Pnrr e poi di non avere i soldi per gli stipendi dei medici. Il Patto di stabilità in teoria è stato sospeso, però lo stiamo rispettando.Si sta stringendo il cerchio intorno all’Italia. Mentre Mario Draghi cercava a Parigi complicate sponde per un Recovery fund bis, giovedì il presidente della Bce Christine Lagarde ha pensato bene di tracciare la strada per un aumento dei tassi, mostrandosi pronta a contrastare la «frammentazione» dei mercati dei titoli di Stato. I mercati le hanno creduto così tanto che hanno continuato a vendere euro contro dollaro e il rendimento del Btp decennale è volato in pochi minuti verso 3,7%. Livello che non si vedeva dal 2013.La cruda realtà è che il Paese sta per entrare in un periodo particolarmente turbolento per la nostra economia con scarsa o nulla manovrabilità di entrambi gli strumenti di politica economica. Da un lato, nella politica monetaria Francoforte si accinge a compiere gli stessi errori del presidente Jean-Claude Trichet con il rialzo dei tassi nel 2008 e 2011, proprio alla vigilia di due recessioni. Nel frangente attuale, si aggiunge pure una impennata dei prezzi da shock di offerta che ha tutte le caratteristiche per essere permanente, anche oltre l’auspicata fine della guerra tra Russia e Ucraina. Dall’altro, la politica di bilancio risulta condizionata in modo ferreo dal percorso di rientro promesso alla Ue con il Documento di economia e finanza nello scorso aprile, e confermato dalle raccomandazioni Paese della Commissione solo qualche mese fa.Se qualsiasi misura per mitigare l’impatto dello shock inflazionistico deve avvenire a saldi di bilancio invariati - all’insegna della solita guerra tra poveri - tutte le discussioni in corso circa eventuali riduzioni del cuneo fiscale sono sogni del politico di turno destinati a infrangersi contro la realtà.Ma vi è di più. Tali scelte di politica economica recano un enorme danno reputazionale all’Italia. Infatti, se la nostra capacità di manovra deve essere limitata solo al nuovo debito acceso con la Ue, grazie aa un potenziamento del Recovery fund, che messaggio si trasmette ai mercati? Quello di un Paese che non è in grado di finanziarsi autonomamente, nemmeno per qualche punto di Pil? Le esitanti parole della Lagarde sull’attivazione di uno strumento per contrastare il rischio di frammentazione dell’Eurozona hanno sortito l’effetto della classica profezia autoavverante. Da giovedì pomeriggio tutti guardano a Roma, chiedendosi se e come resisteremo alla tempesta, essendo legati all’albero maestro. Un disastro comunicativo che ovviamente non è casuale ma è il risultato di ben precise scelte. E, si badi bene, i sogni sono tali perché non lo diciamo noi ma basta leggere gli impegni già presi con l’Ue e scolpiti nel Def di aprile.Sono due gli strumenti che tolgono ogni margine di manovra alla politica di bilancio, entrambi annidati nel Patto di stabilità e crescita, «sospeso» solo a parole, ma di fatto rispettato dal governo Draghi. Si tratta della convergenza del saldo strutturale di bilancio verso l’obiettivo di medio termine e della regola della spesa, due lame che non risparmieranno nulla, nemmeno la spesa sanitaria.Il primo strumento ci impone di far convergere verso il «lunare» obiettivo del 0,5% (0,3% dal 2023) un saldo strutturale di bilancio che è previsto al -5,9% nel 2022 e -4,5% nel 2023. In quest’ultimo anno ci attende quindi un rilevante aggiustamento di 1,4 punti percentuali, in grado di portare la media nel triennio a 0,6 punti percentuali, «un valore che rappresenta la piena compliance con la regola europea», recita trionfalmente il Def.Ma - come una lama che solleva il pelo e poi l’altra lo taglia - è la regola della spesa che pone una pesante ipoteca sui nostri conti. Dal 2023 ci sarà il pieno adeguamento del tasso di crescita della spesa pubblica che sarà sempre inferiore al tasso di crescita medio del Pil potenziale (benchmark di riferimento, il cui calcolo peraltro è un’astrusa congettura). Ciò significa, Def alla mano, che fino al 2025 la crescita della spesa pubblica sarà sempre mediamente inferiore al 1%. Se questo è lo striminzito perimetro di riferimento, anche la spesa sanitaria è incredibilmente chiamata a pagare dazio e, anche in questo caso, più dei proclami contano i numeri scolpiti nei documenti ufficiali. In tabella ci sono i dati sulla spesa sanitaria e sul finanziamento del Servizio sanitario nazionale che viene poi ripartito tra le Regioni.Entrambe le voci si sono mosse dal 2010 al 2019 con un tasso di crescita medio di poco inferiore all’1%. Una crescita che, tenuto conto dell’inflazione e dell’impatto dell’innovazione scientifica e tecnologica, ha significato una netta riduzione in termini reali della spesa sanitaria. E nel 2020, con l’arrivo del Covid, abbiamo purtroppo misurato le conseguenze di tali improvvide scelte.Nel 2020 e 2021 siamo ritornati a livelli di crescita più rilevanti e a una incidenza rispetto al Pil finalmente superiore al 7%. Da notare che parte di quella crescita è attribuibile alla corresponsione di arretrati per contratti e convenzioni bloccati dal 2016.Ma è ciò che accadrà nei prossimi anni a preoccupare. Nel 2023 e 2024 la spesa tornerà a decrescere per attestarsi nuovamente, in rapporto al Pil, poco sopra al 6%. Poco rileva il fatto che il finanziamento del Ssn crescerà ancora, perché conta la spesa complessiva, non il centro di spesa regionale o statale.Tutto ciò è ancora più grave considerando l’elevata inflazione che ci attende, almeno fino al 2023 e che falcidierà il livello reale di spesa sanitaria.Tuttavia è pur vero che il Pnrr mette a disposizione - è sempre un debito, non dimentichiamolo - 15,6 miliardi per investimenti in strutture sanitarie di varia natura. Nelle quali poi qualcuno ci dovrà pure lavorare. E come si farà a garantire i loro stipendi e a farli aumentare per recuperare almeno parte dell’inflazione, se c’è un obiettivo così stringente di contenimento della spesa?Viene in mente la vicenda del galeone svedese Vasa, carico di cannoni e dalla struttura così sbilanciata, che nel 1628 affondò il giorno stesso del varo dopo aver navigato solo per poche miglia.È bene che i sogni di grandezza facciano i conti con le regole europee, altrimenti si passerà direttamente dal sogno al naufragio.
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