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2020-11-01
Ancora scontri violenti nelle piazze. La maggioranza si sfrega le mani
Ansa
Una città devastata, danni per centinaia di migliaia di euro e la legittima protesta di molti lavoratori terrorizzati da un nuovo lockdown cancellata per mano di un gruppetto di anarchici antagonisti. È stata una notte lunga e travagliata quella di venerdì sera nel centro di Firenze. La manifestazione annunciata contro le misure del governo Conte si è trasformata, velocemente, in una scusa per picchiare poliziotti e carabinieri senza alcun ritegno. Il volantino della protesta aveva iniziato a girare in rete, in particolar modo sui social network, già dallo scorso lunedì. Immediatamente le forze dell'ordine avevano fatto notare come non vi fosse alcuna traccia degli organizzatori. E che questo dettaglio avrebbe potuto sottintendere la presenza di infiltrati, provenienti da ogni angolo del Paese. Giovani, anzi, giovanissimi, appartenenti prevalentemente all'area di estrema sinistra che poi sarebbero effettivamente giunti nel capoluogo toscano con un unico intento: spaccare tutto e, se possibile, ferire magari qualche uomo in divisa. Per giorni, in città, è andato avanti questo tam tam mediatico. Fino a venerdì pomeriggio, quando i commercianti del centro storico, già martoriati dalle scelte dell'esecutivo guidato dall'avvocato del popolo, hanno provato a difendere almeno le loro vetrine, blindandole con assi di legno. La parte che l'Unesco ha riconosciuto come patrimonio dell'umanità alle 20 sembrava un sobborgo di una città mediorientale. Pronta allo scontro. La cronaca non ha avuto l'ingrato compito di raccontare di scontri mortali solo grazie alla professionalità dei tanti poliziotti e carabinieri presenti in piazza.
Che, nonostante stipendi spesso offensivi, hanno dimostrato ancora una volta buon senso e attaccamento alla giubba. Si è andati avanti per ore, in vari punti del centro storico: piazza Strozzi, via Calzaiuoli, piazza Santa Maria Novella. Al momento sono state arrestate quattro persone. Si tratta di due donne e due uomini, tutti riconducibili all'area anarchica e antagonista. L'accusa è quella di resistenza a pubblico ufficiale. Nello specifico si tratta di una ventottenne fiorentina e una ventiseienne di origine albanese, un ventinovenne fiorentino e un diciannovenne aretino. Quest'ultimo, che si era travestito ispirandosi alla famosa serie di Netflix, La casa di carta, è accusato anche di lancio di ordigni. Non contento di aver portato disordine in città, ha pensato bene di tirare una molotov nei pressi di Borgo Ognissanti. Altri venti giovani sono stati denunciati a piede libero a vario titolo, per i reati di violenza, resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Gli investigatori della Digos sono al lavoro in queste ore per l'identificazione (grazie alle immagini video) di decine e decine di manifestanti che hanno preso parte agli scontri durante il corteo illegale. Tra le forze dell'ordine si registrano dieci poliziotti che hanno riportato ferite lievi. Danneggiata anche una volante. «Ci hanno fatto vivere una notte surreale, terribile e dolorosa - ha sottolineato in un post sulla propria pagina Facebook il sindaco Dario Nardella - Non è così che si manifestano le proprie ragioni, non è così che si dà voce alla sofferenza. È solo violenza fine a se stessa, gratuita. Chi sfregia Firenze deve pagare per quello che ha fatto».
Su posizioni analoghe anche l'ex segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi. «Nessuno giustifichi questi criminali, nessuno». Numerosi i danni alla città, ben visibili dopo la notte di follia. Si parla di decine, se non di centinaia di migliaia di euro. Distrutte le fioriere in via Calzaiuoli e in via Tornabuoni (la strada della moda, una delle vie più eleganti dell'intera città), divelti un numero altissimo di cartelli stradali e danneggiati almeno sette semafori. Uno è stato sradicato a forza di calci. La tensione in città è rimasta palpabile anche ieri pomeriggio, durante un'altra manifestazione organizzata da varie sigle della sinistra e dai centri sociali, e volta a contestare l'azione del governo nel contrasto al coronavirus. Il presunto fermo di un manifestante ha acceso la miccia, e regalato la scusa per poter ingaggiare un confronto con le forze dell'ordine davanti alla prefettura.
Il tutto, per fortuna, si è risolto velocemente e il corteo ha ripreso la propria marcia in direzione della sede di Confindustria, in via Valfonda. «Protestare è legittimo, spaccare una città assolutamente no - ha ricordato il capogruppo in Regione per Fratelli d'Italia, Francesco Torselli - Sono semplicemente vergognose le immagini di guerriglia urbana che abbiamo visto. Chi ama Firenze non può tollerare episodi di violenza, vandalismo e aggressione»
La giornata di ieri ha registrato altri tafferugli anche a Roma nati da alcuni militanti dell'estrema destra, presenti alla manifestazione a Campo dei Fiori, decisi a spostarsi dalla piazza in corteo verso Montecitorio. Sono stati esplosi alcuni petardi e lanciati dei fumogeni verso le forze di polizia. Alcuni manifestanti si sono spostati nell'adiacente piazza Farnese, dove c'è la sede dell'ambasciata di Francia. La tensione è stata sedata sul nascere.
E mentre in Piazza Trilussa a Trastevere i manifestanti delle «Mascherine tricolori», vicine a Casapound, venivano monitorati dalla polizia, in piazza Indipendenza sono scesi i movimenti «Tu ci chiudi, tu ci paghi» di studenti, precari, disoccupati, sindacati. La zona, non distante dalla stazione Termini, è stata blindata e un elicottero la sorvolava dall'alto.
Ed è oscurato chi protesta con civiltà
Mentre le cronache degli ultimi giorni sono state scandite da violente tensioni nelle più grandi città italiane - Roma, Milano, Napoli, Firenze, Bologna - a opera di facinorosi, arrivati anche allo scontro con le forze dell'ordine e a danneggiamenti di piazze e vetrine, c'è chi ha voluto far sentire la propria protesta e il disagio arrecato dalle ultime disposizioni del governo senza coprirsi il volto e lanciare molotov.
È il caso, per esempio, della manifestazione di venerdì sera scorso a Prato, partita dall'idea dei tre consiglieri comunali, Claudio Belgiorno di Fratelli d'Italia, Claudiu Stanasel e Leonardo Soldi della Lega. Piazza delle Carceri è stata illuminata dalla luce di 2.500 lumini riportanti i nomi di imprenditori e aziende per dire al governo che «Prato non si spegne», come scritto nel grande striscione steso per terra, nonostante la decisione di far chiudere alle 18 tutti i locali della ristorazione e la serrata di palestre, teatri, cinema e circoli.
Nessun assembramento né disordini, solo una dimostrazione di perseveranza, come racconta alla Verità il consigliere Stanasel: «Nella notte dell'assalto a Firenze, Prato si è erta a simbolo di civiltà, educazione e partecipazione in sicurezza e nel rispetto della salute di tutti i cittadini. La manifestazione ha rispettato tutte le norme anti Covid e ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato virtualmente lasciandoci il proprio nominativo che abbiamo scritto sulla rispettiva candela o portandoci direttamente quest'ultima per poi seguire la diretta da casa».
Manifestazione nel pieno rispetto della sicurezza anche quella svoltasi ieri a Milano, davanti il cimitero Monumentale. Durante la mattinata si sono riunite un centinaio di persone per un flash mob contro la chiusura di palestre e piscine al quale hanno preso parte l'Associazione regionale imprese dello sport e delle arti del benessere fisico (Arisa) e la Federazione italiana nuoto (Fin).
Con sullo sfondo i cartelli «In piscina si rispettano le regole, «Il cloro uccide il virus», «In piscina i nostri figli sono al sicuro», in piazza sono state adagiate per terra i cordoli che delimitano le corsie delle vasche e simulate delle mini gare di nuoto, pallanuoto e nuoto sincronizzato.
«Questo è il funerale dello sport», dice Marco Contardi, presidente regionale Arisa, «in Lombardia ci sono circa 17.000 impianti sportivi, 6.000 tra Milano e provincia. Non ci si rende conto delle ricadute sociali di una decisione del genere. Già a ottobre abbiamo riscontrato un calo pari a circa il 50% in meno di ricavi rispetto a un anno fa. Purtroppo gli utenti sono spaventati».
«Non è mai stata evidenziata alcuna anomalia nei nostri impianti, nonostante ci siano stati 200 controlli in una settimana. Chiudendo tutto si toglie l'ossigeno alle società del nuoto, quindi è in forte dubbio la riapertura» avverte Danilo Vucenovich, presidente del comitato regionale Fin.
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Riduci
Tensione a Firenze: anarchici e centri sociali devastano il centro. Quattro arresti e 20 denunce. Feriti dieci agenti. A Roma tafferugli tra estrema destra e polizia. Così gli sfascia-piazze fanno da stampella a Giuseppi.Nel rispetto delle norme anti assembramento Prato si è illuminata con 2.500 lumini simbolo degli esercenti colpiti dalle serrate. A Milano flash mob del mondo dello sport.Lo speciale contiene due articoli.Una città devastata, danni per centinaia di migliaia di euro e la legittima protesta di molti lavoratori terrorizzati da un nuovo lockdown cancellata per mano di un gruppetto di anarchici antagonisti. È stata una notte lunga e travagliata quella di venerdì sera nel centro di Firenze. La manifestazione annunciata contro le misure del governo Conte si è trasformata, velocemente, in una scusa per picchiare poliziotti e carabinieri senza alcun ritegno. Il volantino della protesta aveva iniziato a girare in rete, in particolar modo sui social network, già dallo scorso lunedì. Immediatamente le forze dell'ordine avevano fatto notare come non vi fosse alcuna traccia degli organizzatori. E che questo dettaglio avrebbe potuto sottintendere la presenza di infiltrati, provenienti da ogni angolo del Paese. Giovani, anzi, giovanissimi, appartenenti prevalentemente all'area di estrema sinistra che poi sarebbero effettivamente giunti nel capoluogo toscano con un unico intento: spaccare tutto e, se possibile, ferire magari qualche uomo in divisa. Per giorni, in città, è andato avanti questo tam tam mediatico. Fino a venerdì pomeriggio, quando i commercianti del centro storico, già martoriati dalle scelte dell'esecutivo guidato dall'avvocato del popolo, hanno provato a difendere almeno le loro vetrine, blindandole con assi di legno. La parte che l'Unesco ha riconosciuto come patrimonio dell'umanità alle 20 sembrava un sobborgo di una città mediorientale. Pronta allo scontro. La cronaca non ha avuto l'ingrato compito di raccontare di scontri mortali solo grazie alla professionalità dei tanti poliziotti e carabinieri presenti in piazza. Che, nonostante stipendi spesso offensivi, hanno dimostrato ancora una volta buon senso e attaccamento alla giubba. Si è andati avanti per ore, in vari punti del centro storico: piazza Strozzi, via Calzaiuoli, piazza Santa Maria Novella. Al momento sono state arrestate quattro persone. Si tratta di due donne e due uomini, tutti riconducibili all'area anarchica e antagonista. L'accusa è quella di resistenza a pubblico ufficiale. Nello specifico si tratta di una ventottenne fiorentina e una ventiseienne di origine albanese, un ventinovenne fiorentino e un diciannovenne aretino. Quest'ultimo, che si era travestito ispirandosi alla famosa serie di Netflix, La casa di carta, è accusato anche di lancio di ordigni. Non contento di aver portato disordine in città, ha pensato bene di tirare una molotov nei pressi di Borgo Ognissanti. Altri venti giovani sono stati denunciati a piede libero a vario titolo, per i reati di violenza, resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Gli investigatori della Digos sono al lavoro in queste ore per l'identificazione (grazie alle immagini video) di decine e decine di manifestanti che hanno preso parte agli scontri durante il corteo illegale. Tra le forze dell'ordine si registrano dieci poliziotti che hanno riportato ferite lievi. Danneggiata anche una volante. «Ci hanno fatto vivere una notte surreale, terribile e dolorosa - ha sottolineato in un post sulla propria pagina Facebook il sindaco Dario Nardella - Non è così che si manifestano le proprie ragioni, non è così che si dà voce alla sofferenza. È solo violenza fine a se stessa, gratuita. Chi sfregia Firenze deve pagare per quello che ha fatto». Su posizioni analoghe anche l'ex segretario del Partito Democratico, Matteo Renzi. «Nessuno giustifichi questi criminali, nessuno». Numerosi i danni alla città, ben visibili dopo la notte di follia. Si parla di decine, se non di centinaia di migliaia di euro. Distrutte le fioriere in via Calzaiuoli e in via Tornabuoni (la strada della moda, una delle vie più eleganti dell'intera città), divelti un numero altissimo di cartelli stradali e danneggiati almeno sette semafori. Uno è stato sradicato a forza di calci. La tensione in città è rimasta palpabile anche ieri pomeriggio, durante un'altra manifestazione organizzata da varie sigle della sinistra e dai centri sociali, e volta a contestare l'azione del governo nel contrasto al coronavirus. Il presunto fermo di un manifestante ha acceso la miccia, e regalato la scusa per poter ingaggiare un confronto con le forze dell'ordine davanti alla prefettura. Il tutto, per fortuna, si è risolto velocemente e il corteo ha ripreso la propria marcia in direzione della sede di Confindustria, in via Valfonda. «Protestare è legittimo, spaccare una città assolutamente no - ha ricordato il capogruppo in Regione per Fratelli d'Italia, Francesco Torselli - Sono semplicemente vergognose le immagini di guerriglia urbana che abbiamo visto. Chi ama Firenze non può tollerare episodi di violenza, vandalismo e aggressione»La giornata di ieri ha registrato altri tafferugli anche a Roma nati da alcuni militanti dell'estrema destra, presenti alla manifestazione a Campo dei Fiori, decisi a spostarsi dalla piazza in corteo verso Montecitorio. Sono stati esplosi alcuni petardi e lanciati dei fumogeni verso le forze di polizia. Alcuni manifestanti si sono spostati nell'adiacente piazza Farnese, dove c'è la sede dell'ambasciata di Francia. La tensione è stata sedata sul nascere.E mentre in Piazza Trilussa a Trastevere i manifestanti delle «Mascherine tricolori», vicine a Casapound, venivano monitorati dalla polizia, in piazza Indipendenza sono scesi i movimenti «Tu ci chiudi, tu ci paghi» di studenti, precari, disoccupati, sindacati. La zona, non distante dalla stazione Termini, è stata blindata e un elicottero la sorvolava dall'alto. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/ancora-scontri-violenti-nelle-piazze-la-maggioranza-si-sfrega-le-mani-2648574460.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ed-e-oscurato-chi-protesta-con-civilta" data-post-id="2648574460" data-published-at="1604200693" data-use-pagination="False"> Ed è oscurato chi protesta con civiltà Mentre le cronache degli ultimi giorni sono state scandite da violente tensioni nelle più grandi città italiane - Roma, Milano, Napoli, Firenze, Bologna - a opera di facinorosi, arrivati anche allo scontro con le forze dell'ordine e a danneggiamenti di piazze e vetrine, c'è chi ha voluto far sentire la propria protesta e il disagio arrecato dalle ultime disposizioni del governo senza coprirsi il volto e lanciare molotov. È il caso, per esempio, della manifestazione di venerdì sera scorso a Prato, partita dall'idea dei tre consiglieri comunali, Claudio Belgiorno di Fratelli d'Italia, Claudiu Stanasel e Leonardo Soldi della Lega. Piazza delle Carceri è stata illuminata dalla luce di 2.500 lumini riportanti i nomi di imprenditori e aziende per dire al governo che «Prato non si spegne», come scritto nel grande striscione steso per terra, nonostante la decisione di far chiudere alle 18 tutti i locali della ristorazione e la serrata di palestre, teatri, cinema e circoli. Nessun assembramento né disordini, solo una dimostrazione di perseveranza, come racconta alla Verità il consigliere Stanasel: «Nella notte dell'assalto a Firenze, Prato si è erta a simbolo di civiltà, educazione e partecipazione in sicurezza e nel rispetto della salute di tutti i cittadini. La manifestazione ha rispettato tutte le norme anti Covid e ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato virtualmente lasciandoci il proprio nominativo che abbiamo scritto sulla rispettiva candela o portandoci direttamente quest'ultima per poi seguire la diretta da casa». Manifestazione nel pieno rispetto della sicurezza anche quella svoltasi ieri a Milano, davanti il cimitero Monumentale. Durante la mattinata si sono riunite un centinaio di persone per un flash mob contro la chiusura di palestre e piscine al quale hanno preso parte l'Associazione regionale imprese dello sport e delle arti del benessere fisico (Arisa) e la Federazione italiana nuoto (Fin). Con sullo sfondo i cartelli «In piscina si rispettano le regole, «Il cloro uccide il virus», «In piscina i nostri figli sono al sicuro», in piazza sono state adagiate per terra i cordoli che delimitano le corsie delle vasche e simulate delle mini gare di nuoto, pallanuoto e nuoto sincronizzato. «Questo è il funerale dello sport», dice Marco Contardi, presidente regionale Arisa, «in Lombardia ci sono circa 17.000 impianti sportivi, 6.000 tra Milano e provincia. Non ci si rende conto delle ricadute sociali di una decisione del genere. Già a ottobre abbiamo riscontrato un calo pari a circa il 50% in meno di ricavi rispetto a un anno fa. Purtroppo gli utenti sono spaventati». «Non è mai stata evidenziata alcuna anomalia nei nostri impianti, nonostante ci siano stati 200 controlli in una settimana. Chiudendo tutto si toglie l'ossigeno alle società del nuoto, quindi è in forte dubbio la riapertura» avverte Danilo Vucenovich, presidente del comitato regionale Fin.
Kaja Kallas (Ansa)
Kallas è il falco della Commissione, quando si tratta di Russia, e tiene a rimarcarlo. A proposito dei fondi russi depositati presso Euroclear, l’estone dice nell’intervista che il Belgio non deve temere una eventuale azione di responsabilità da parte della Russia, perché «se davvero la Russia ricorresse in tribunale per ottenere il rilascio di questi asset o per affermare che la decisione non è conforme al diritto internazionale, allora dovrebbe rivolgersi all’Ue, quindi tutti condivideremmo l’onere».
In pratica, cioè, l’interpretazione piuttosto avventurosa di Kallas è che tutti gli Stati membri sarebbero responsabili in solido con il Belgio se Mosca dovesse ottenere ragione da qualche tribunale sul sequestro e l’utilizzo dei suoi fondi.
Tribunale sui cui l’intervistata è scettica: «A quale tribunale si rivolgerebbe (Putin, ndr)? E quale tribunale deciderebbe, dopo le distruzioni causate in Ucraina, che i soldi debbano essere restituiti alla Russia senza che abbia pagato le riparazioni?». Qui l’alto rappresentante prefigura uno scenario, quello del pagamento delle riparazioni di guerra, che non ha molte chance di vedere realizzato.
All’intervistatore che chiede perché per finanziare la guerra non si usino gli eurobond, cioè un debito comune europeo, Kallas risponde: «Io ho sostenuto gli eurobond, ma c’è stato un chiaro blocco da parte dei Paesi Frugali, che hanno detto che non possono farlo approvare dai loro Parlamenti». È ovvio. La Germania e i suoi satelliti del Nord Europa non vogliano cedere su una questione sulla quale non hanno mai ceduto e per la quale, peraltro, occorre una modifica dei trattati su cui serve l’unanimità e la ratifica poi di tutti i parlamenti. Con il vento politico di destra che soffia in tutta Europa, con Afd oltre il 25% in Germania, è una opzione politicamente impraticabile. Dire eurobond significa gettare la palla in tribuna.
In merito all’adesione dell’Ucraina all’Unione europea già nel 2027, come vorrebbe il piano di pace americano, Kallas se la cava con lunghe perifrasi evitando di prendere posizione. Secondo l’estone, l’adesione all’Ue è una questione di merito e devono decidere gli Stati membri. Ma nel piano questo punto è importante e sembra difficile che venga accantonato.
Kallas poi reclama a gran voce un posto per l’Unione al tavolo della pace: «Il piano deve essere tra Russia e Ucraina. E quando si tratta dell’architettura di sicurezza europea, noi dobbiamo avere voce in capitolo. I confini non possono essere cambiati con la forza. Non ci dovrebbero essere concessioni territoriali né riconoscimento dell’occupazione». Ma lo stesso Zelensky sembra ormai convinto che almeno un referendum sulla questione del Donbass sia possibile. Insomma, Kallas resta oltranzista ma i fatti l’hanno già superata.
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Riduci
Carlo Messina all'inaugurazione dell'Anno Accademico della Luiss (Ansa)
La domanda è retorica, provocatoria e risuona in aula magna come un monito ad alzare lo sguardo, a non limitarsi a contare i droni e limare i mirini, perché la risposta è un’altra. «In Europa abbiamo più poveri e disuguaglianza di quelli che sono i rischi potenziali che derivano da una minaccia reale, e non percepita o teorica, di una guerra». Un discorso ecumenico, realistico, che evoca l’immagine dell’esercito più dolente e sfinito, quello di chi lotta per uscire dalla povertà. «Perché è vero che riguardo a welfare e democrazia non c’è al mondo luogo comparabile all’Europa, ma siamo deboli se investiamo sulla difesa e non contro la povertà e le disuguaglianze».
Le parole non scivolano via ma si fermano a suggerire riflessioni. Perché è importante che un finanziere - anzi colui che per il 2024 è stato premiato come banchiere europeo dell’anno - abbia un approccio sociale più solido e lungimirante delle istituzioni sovranazionali deputate. E lo dimostri proprio nelle settimane in cui sentiamo avvicinarsi i tamburi di Bruxelles con uscite guerrafondaie come «resisteremo più di Putin», «per la guerra non abbiamo fatto abbastanza» (Kaja Kallas, Alto rappresentante per la politica estera) o «se vogliamo evitare la guerra dobbiamo preparaci alla guerra», «dobbiamo produrre più armi, come abbiamo fatto con i vaccini» (Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea).
Una divergenza formidabile. La conferma plastica che l’Europa dei diritti, nella quale ogni minoranza possibile viene tutelata, si sta dimenticando di salvaguardare quelli dei cittadini comuni che alzandosi al mattino non hanno come priorità la misura dell’elmetto rispetto alla circonferenza cranica, ma il lavoro, la famiglia, il destino dei figli e la difesa dei valori primari. Il ceo di Banca Intesa ricorda che il suo gruppo ha destinato 1,5 miliardi per combattere la povertà, sottolinea che la grande forza del nostro Paese sta «nel formidabile mondo delle imprese e nel risparmio delle famiglie, senza eguali in Europa». E sprona le altre grandi aziende: «In Italia non possiamo aspettarci che faccia tutto il governo, se ci sono aziende che fanno utili potrebbero destinarne una parte per intervenire sulle disuguaglianze. Ogni azienda dovrebbe anche lavorare perché i salari vengano aumentati. Sono uno dei punti di debolezza del nostro Paese e aumentarli è una priorità strategica».
Con l’Europa Carlo Messina non ha finito. Parlando di imprenditoria e di catene di comando, coglie l’occasione per toccare in altro nervo scoperto, perfino più strutturale dell’innamoramento bellicista. «Se un’azienda fosse condotta con meccanismi di governance come quelli dell’Unione Europea fallirebbe». Un autentico missile Tomahawk diretto alla burocrazia continentale, a quei «nani di Zurigo» (copyright Woodrow Wilson) trasferitisi a Bruxelles. La spiegazione è evidente. «Per competere in un contesto globale serve un cambio di passo. Quella europea è una governance che non si vede in nessun Paese del mondo e in nessuna azienda. Perché è incapace di prendere decisioni rapide e quando le prende c’è lentezza nella realizzazione. Oppure non incidono realmente sulle cose che servono all’Europa».
Il banchiere è favorevole a un ministero dell’Economia unico e ritiene che il vincolo dell’unanimità debba essere tolto. «Abbiamo creato una banca centrale che gestisce la moneta di Paesi che devono decidere all’unanimità. Questo è uno degli aspetti drammatici». Ma per uno Stato sovrano che aderisce al club dei 27 è anche l’unica garanzia di non dover sottostare all’arroganza (già ampiamente sperimentata) di Francia e Germania, che trarrebbero vantaggi ancora più consistenti senza quel freno procedurale.
Il richiamo a efficienza e rapidità riguarda anche l’inadeguatezza del burosauro e riecheggia la famosa battuta di Franz Joseph Strauss: «I 10 comandamenti contengono 279 parole, la dichiarazione americana d’indipendenza 300, la disposizione Ue sull’importazione di caramelle esattamente 25.911». Un esempio di questa settimana. A causa della superfetazione di tavoli e di passaggi, l’accordo del Consiglio Affari interni Ue sui rimpatri dei migranti irregolari e sulla liceità degli hub in Paesi terzi (recepito anche dal Consiglio d’Europa) entrerà in vigore non fra 60 giorni o 6 mesi, ma se va bene fra un anno e mezzo. Campa cavallo.
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Riduci
Luca Casarini. Nel riquadro, il manifesto abusivo comparso a Milano (Ansa)
Quando non è tra le onde, Casarini è nel mare di Internet, dove twitta. E pure parecchio. Dice la sua su qualsiasi cosa. Condivide i post dell’Osservatore romano e quelli di Ilaria Salis (del resto, tra i due, è difficile trovare delle differenze, a volte). Ma, soprattutto, attacca le norme del governo e dell’Unione europea in materia di immigrazione. Si sente Davide contro Golia. E lotta, invitando anche ad andare contro la legge. Quando, qualche giorno fa, è stata fermata la nave Humanity 1 (poi rimessa subito in mare dal tribunale di Agrigento) Casarini ha scritto: «Abbatteremo i vostri muri, taglieremo i fili spinati dei vostri campi di concentramento. Faremo fuggire gli innocenti che tenete prigionieri. È già successo nella Storia, succederà ancora. In mare come in terra. La disumanità non vincerà. Fatevene una ragione». Questa volta si sentiva Oskar Schindler, anche se poi va nei cortei pro Pal che inneggiano alla distruzione dello Stato di Israele.
Chi volesse approfondire il suo pensiero, poi, potrebbe andare a leggersi L’Unità del 10 dicembre scorso, il cui titolo è già un programma: Per salvare i migranti dobbiamo forzare le leggi. Nel testo, che risparmiamo al lettore, spiega come l’Ue si sia piegata a Giorgia Meloni e a Donald Trump in materia di immigrazione. I sovranisti (da quanto tempo non sentivamo più questo termine) stanno vincendo. Bisogna fare qualcosa. Bisogna reagire. Ribellarsi. Anche alle leggi. Il nostro, sempre attento ad essere politicamente corretto, se la prende pure con gli albanesi che vivono in un Paese «a metà tra un narcostato e un hub di riciclaggio delle mafie di mezzo mondo, retto da un “dandy” come Rama, più simile al Dandy della banda della Magliana che a quel G.B. Brummel che diede origine al termine». Casarini parla poi di «squadracce» che fanno sparire i migranti e di presunte «soluzioni finali» per questi ultimi. E auspica un modello alternativo, che crei «reti di protezione di migranti e rifugiati, per sottrarli alle future retate che peraltro avverranno in primis nei luoghi di “non accoglienza”, così scientificamente creati nelle nostre città da un programma di smantellamento dei servizi sociali, educativi e sanitari, che mostra oggi i suoi risultati nelle sacche di marginalità in aumento».
Detto, fatto. Qualcuno, in piazzale Cuoco a Milano, ha infatti pensato bene di affiggere dei manifesti anonimi con le indicazioni, per i migranti irregolari, su cosa fare per evitare di finire nei centri di permanenza per i rimpatri, i cosiddetti di Cpr. Nessuna sigla. Nessun contatto. Solo diverse lingue per diffondere il vademecum: l’italiano, certo, ma anche l’arabo e il bengalese in modo che chiunque passi di lì posa capire il messaggio e sfuggire alla legge. Ti bloccano per strada? Non far vedere il passaporto. Devi andare in questura? Presentati con un avvocato. Ti danno un documento di espulsione? Ci sono avvocati gratis (che in realtà pagano gli italiani con le loro tasse). E poi informazioni nel caso in cui qualcuno dovesse finire in un cpr: avrai un telefono, a volte senza videocamera. E ancora: «Se non hai il passaporto del tuo Paese prima di deportarti l’ambasciata ti deve riconoscere. Quindi se non capisci la lingua in cui ti parla non ti deportano. Se ti deportano la polizia italiana ti deve lasciare un foglio che spiega perché ti hanno deportato e quanto tempo deve passare prima di poter ritornare in Europa. È importante informarci e organizzarci insieme per resistere!».
Per Sara Kelany (Fdi), «dire che i Cpr sono “campi di deportazione” e “prigioni per persone senza documenti” è una mistificazione che non serve a tutelare i diritti ma a sostenere e incentivare l’immigrazione irregolare con tutti i rischi che ne conseguono. Nei Cpr vengono trattenuti migranti irregolari socialmente pericolosi, che hanno all’attivo condanne per reati anche molto gravi. Potrà dispiacere a qualche esponente della sinistra o a qualche attivista delle Ong - ogni riferimento a Casarini non è casuale - ma in Italia si rispettano le nostre leggi e non consentiamo a nessuno di aggirarle». Per Francesco Rocca (Fdi), si tratta di «un’affissione abusiva dallo sgradevole odore eversivo».
Casarini, da convertito, diffonde il verbo. Che non è quello che si è incarnato, ma quello che tutela l’immigrato.
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