2023-07-06
Ancelotti eroe dei due mondi. Sarà il primo straniero sulla panchina del Brasile
Farà l’ultima stagione al Real, poi lo aspetta la Seleçao. Hanno scelto lui perché sa tenere in riga i campioni senza mortificarli. L’obiettivo è il Mondiale del 2026. «Dia libre mañanaaa!». Boato con ammucchiata di giocatori in ciabatte. Nello spogliatoio del Real dopo la semifinale di Coppa del Re (vinta 4-0 contro il Barcellona), il diktat di zucchero di Carlo Ancelotti - domani giorno libero - è scontato ma diventa virale per un motivo lampante: è la cifra di una gestione da papà buono, sta dentro la narrazione di uno degli allenatori più bonariamente filosofi di sempre. Ed è perfetto per annunciare al globo che il mister italiano vincitore di quattro Champions (record) tra un anno siederà sulla panchina della Nazionale più cool, più talentuosa, più anarchica e più dormigliona del mondo. Il Brasile.La notizia era, come si suol dire, nell’aria ma non sapendo se fosse un charter o una scia chimica era meglio attendere l’ufficialità. È arrivata ieri dalla federazione verdeoro per bocca del presidente Ednaldo Rodrigues, che ha specificato: «Ancelotti entrerà in carica con l’inizio della Coppa America che si giocherà tra giugno e luglio 2024 negli Stati Uniti». Una tempistica bizzarra, determinata dalla volontà di Carletto di allenare il Real Madrid fino al giugno prossimo. Con una conseguenza da paura: fischio finale del calcio in Europa, primo aereo per Rio de Janeiro, stretta di mano ai giocatori, consegne ricevute dal traghettatore Fernando Diniz (anche lui a mezzo servizio perché nel frattempo guida il Fluminense) e via con la capoeira, la torcida, i tunnel di Neymar e la saudade a New York. Cose che ai brasiliani vengono benissimo.Ancelotti sulla panchina del Brasile è un’immagine suggestiva, di sicuro prestigio, la consacrazione eterna di un tecnico sublime nello scegliere i giocatori, nel conquistare lo spogliatoio e nel preparare le partite. Un po’ meno nel cambiarle in corso d’opera. Inoltre la presunzione atavica dei brasiliani d’essere toccati da Dio con un pallone fra i piedi fa sì che l’anti-guru emiliano di 64 anni ottenga un altro dei suoi primati: è il primo ct straniero in 109 anni, fatti salvi tre affiancamenti. E in ogni caso il primo europeo. Dai campi arati di Reggiolo al Maracanà, non tutto è scontato come sembra. E se a giugno del prossimo anno la staffetta sarà schizofrenica è anche perché Ancelotti non sapeva se Florentino Perez lo avrebbe confermato alla guida dei blancos. Il presidente ha battezzato la stagione come negativa (scudetto al Barcellona, fuori in semifinale di Champions) e ha flirtato per qualche settimana con Xabi Alonso, che in ogni caso lo sostituirà fra un anno. Paradosso in corso d’opera: il ct del Brasile ha rischiato il siluro Real.Una certezza corre sul filo, re Carlo ha un feeling particolare con i giocatori brasiliani. Li capisce, li interpreta, li agevola: fu così con Kakà, Serginho, Dida al Milan, con Marcelo nella sua prima avventura a Madrid, con Vinicius e Rodrygo nella seconda. È singolare come l’unico top player che non lo ama sia quello che gli somiglia di più in campo, Casemiro. Quando avrà fra le mani una ventina di geni brasiliani li farà correre, li lascerà divertire ma a tenere le redini sarà sempre lui; è l’unico modo per ottenere il massimo da loro. Chi li sfianca li intristisce, chi li coccola li rammollisce. E 10 dollari di multa a chi tenta un tunnel. Serve equilibrio, la maggiore dote del leader sferico. «Tranquilli, quel ragazzo non va mai contromano», diceva di lui 40 anni fa Nils Liedholm quando a tutti i costi volle portarlo alla Roma dal Parma. Nel senso che è sempre stato serio, tatticamente disciplinato, affidabile. E il presidente Dino Viola che doveva comprarlo si domandava a voce alta: «È un contadino che costa più di una flotta. Cos’ha, i piedi d’oro?».Ha avuto due maestri, appunto il Barone e Arrigo Sacchi. Non serve altro. Il suo curriculum parla per lui: è l’unico allenatore nella storia ad avere vinto il titolo nei cinque principali campionati europei. È quello che ha vinto più partite in Champions league (103 fin qui). È quello che ha perso una finale che stava dominando 3-0. L’assoluto per lui non ha segreti. Re Carlo è pronto per la sfida più fantascientifica, atteso dai marziani che da troppo tempo finiscono per schiantarsi contro gli umani; il Brasile non vince un mondiale dal 2002 in Corea e Ancelotti ha il contratto fino a quello che si disputa negli Stati Uniti, in Messico e in Canada nel 2026. Non è un santone come Pep Guardiola, non è uno scienziato pazzo come Jurgen Klopp, non è un algoritmo con le gambe come Julian Nagelsmann, non è una milf da panchina come Josè Mourinho. È l’Ancelotti che non alza la voce, che non stressa le situazioni, che non ama le sceneggiate nell’area tecnica. È il Carletto che nei momenti di relax passeggiava a Milano sui Navigli e rideva agli sfottò (pochi) degli interisti. È il mister che ha vinto tutto quasi ovunque. Ha fallito solo a Monaco, a Napoli e a Torino, non soltanto per colpa sua. Non ha mai perdonato gli ultrà della Juventus che srotolarono lo striscione: «Un maiale non può allenare». Era il loro.Poiché ha un punto debole, i record, sta preparando il trasloco più elefantiaco di sempre. Con lui decolleranno per il Sudamerica anche il figlio Davide (suo viceallenatore al Bayern, al Napoli, all’Everton, al Real) e il genero Mino Fulco, nutrizionista di fiducia. Più preparatori, statistici, ingegneri della Nasa. C’è da rianimare il Brasile e farlo tornare «a inventare calcio in funzione dei millennials annoiati secondo i canoni dello show multimediale globale», disse il numero uno Fifa Gianni Infantino. Traduzione dell’aristotelico Carletto: palla a Vinicius, 30 metri pancia a terra e siluro nell’angolino.
(Ansa)
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Carlo Nordio, Matteo Piantedosi, Alfredo Mantovano (Ansa)