
Per le tradizioni popolari, è un amuleto contro gli spiriti maligni. Bram Stocker ne fece un'arma anti Dracula. In realtà è prodigioso per il cuore e il sistema immunitario.Si può ipotizzare che per l'immaginario horror allontanasse i vampiri in virtù del suo odore non proprio piacevole (una fragranza molto pungente e acre, determinata dai numerosi composti organici di zolfo che contiene, come l'alliina e suoi derivati, ad esempio l'allicina e il disolfuro di diallile). Invece, veniva brandito contro i succhiasangue - se ci pensiamo, al pari del crocifisso - per il suo riconosciuto potere antielmintico. Gli elminti sono vermi che possono invadere l'intestino: come quelli assimilavano la nostra alimentazione, così il vampiro ci sottraeva il sangue e se qualcosa sconfiggeva i parassiti invertebrati, allora poteva annientare anche quelli di foggia umana. Un'efficacia di fantasia contro i parassiti di fantasia, basata su una reale efficienza contro i parassiti veri, codificata da Bram Stoker nel romanzo Dracula del 1897, nel quale Van Helsing scaccia Dracula grazie a esso. Parliamo dell'aglio, alimento, spezia e medicinale, una delle prime attestazioni storiche del quale risale al 1750 avanti Cristo, datazione di una ricetta di pasticcio di carne all'aglio scritta su una tavoletta babilonese.Che l'aglio abbia facoltà medicinali è da sempre noto: atleti olimpici e soldati greci e romani ne consumavano molto e anche i patrizi romani lo ingerivano a scopo curativo. Nel Medioevo, i medici sfruttavano l'effetto antisettico del bulbo imbibendo mascherine per il viso con il suo trito allo scopo di proteggere le vie aeree da inalazioni infettanti, ma probabilmente è anche per il suo puzzo e per la sua forma, piccola e compatta, perfetta perché esso sia appeso al collo o messo in tasca come fosse un amuleto, che la credenza popolare gli ha attribuito doti simbolicamente difensive anche nei confronti di figure malvagie diverse dai vampiri. Una tradizione napoletana, comprensiva di motto recitato anche da Peppino De Filippo nei panni di Pappagone, lo considera un ottimo anti malocchio: «Aglio, fravaglio, fattura ca nu' quaglia, corna, bicorna, capa r'alice e capa r'aglio»: grazie all'aglio, la «fattura» (la maledizione) lanciata contro di noi dallo iettatore non «quaglia», cioè non si concretizza. Un'altra tradizione partenopea prevede di tenerlo addosso la notte tra 23 e 24 giugno, insieme con altre erbe, per contrastare le streghe che il 24 giugno, San Giovanni Battista (nonché solstizio d'estate), celebrerebbero il sabba annuale. Le credenze popolari espandevano le proprietà protettive dell'aglio al piano della superstizione. Era un endorsement più entusiastico del solo riconoscimento a naso tappato da parte borghese; era l'attribuzione di un potere magico a una spezia che altrimenti era identificata solo con il suo odore e la sua valenza medicinale. Nel IV atto del Sogno di una notte di mezza estate, William Shakespeare trasporta il galateo tout court nello specifico della recitazione e fa dire a Bottom, prima dello spettacolo: «E soprattutto, attori, anime mie, badate a non mangiar aglio o cipolla, ché dobbiamo esalare tutti un alito che deve riuscir dolce e gradevole». Quasi un'ovvietà nel mare magnum di mirabile e originale saggezza che invece, abitualmente, sono i testi shakespeariani. Ovvietà che però rispecchia la realtà (Vivien Leigh lamentava che recitare con Clark Gable in Via col vento fosse stato un incubo, perché lui masticava sempre aglio contro l'ipertensione). È un pensiero marmoreo e trasversalmente condiviso a ragione: l'aglio intossica l'alito.Una cultura lontana dalla nostra come quella islamica, seppure la cucina araba utilizzi assai aglio (in primo luogo nell'hummus), ne prevede il divieto di consumo prima della preghiera comunitaria di mezzogiorno (ṣalāt al-ẓuhr) in moschea. Pare che Maometto non gradisse l'odore dell'aglio, né quello della cipolla. Esattamente come i nostri avi medioevali. Scrive Massimo Montanari che una presunzione di volgarità ha circondato spesso aglio e cipolla: «Puzzare d'aglio o di cipolla è nella letteratura medievale un segno dell'identità contadina, rafforzata dalla semplicità e facilità del loro reperimento; “teriaca dei villani" era detto l'aglio nei testi dietetici, ossia farmaco per ogni sorta di malanni - ma, appunto, per i contadini, non per chi poteva permettersi il complicato miscuglio di estratti vegetali e animali da cui si ricava la preziosa teriaca». Lo stereotipo dell'aglio come alimento «punitivo» perché maleodorante è davvero trasversale: prima dell'avvento del benessere post boom economico, i bimbi che erano stati discoli, nelle calze per l'Epifania, avrebbero trovato aglio (oltre a cipolla, peperoncino, patate e carbone vero). Lo rievoca perfino il libricino per bambini edito da Giunti, La Befana, nel quale l'anziana in sella alla scopa racconta la sua quotidianità e il trattamento riservato ai piccoli birboni: «In un lungo calzettone / metterò aglio, cipolla e carbone». In qualche maniera, la considerazione popolare che non aveva timore di mangiare tanto aglio, che lo usava come bulbo medicinale, sì, ma anche a mo' di croce dell'orto, rettifica un giudizio trasversale e però classista, e la stessa cosa vale oggi.Per «accogliere» l'aglio ci è voluta un'azione congiunta e diluita nel tempo. Cibo. La storia illustrata di tutto ciò che mangiamo, la racconta: «Nei circoli eleganti francesi del XIX secolo, divennero una presenza fissa piatti a base di aglio rosolato, come il coq au vin, e il boeuf bourguignon diventò una pietanza di alta cucina quando Auguste Escoffier ne pubblicò la ricetta nel 1903. In seguito, la scrittrice di libri di cucina Julia Child fece conoscere a un nuovo pubblico americano i piatti mediterranei, ricchi di aroma d'aglio. Negli anni Novanta del 1900, dopo una campagna promozionale dei suoi benefici per la salute, la cosiddetta “rosa puzzolente" andò di gran moda. Gli chef servivano interi bulbi arrostiti, aprirono ristoranti tematici e comparvero ricette per cucinarne gli scapi fiorali. Nel giro di qualche decennio, il consumo di aglio nel mondo è triplicato, scacciando per sempre la nomea di cibo per contadini». L'unica differenza tra noi e il contadino d'un tempo è che non ipotizziamo un generico e intuitivo giovamento del mangiare aglio, ma sappiamo benissimo perché fa bene.I cibi della salute. Mangiare sano per stare bene, Lswr editore, ci spiega che i principali componenti benefici dell'Allium sativum L. sono l'allicina e i diallil sulfidi, composti dello zolfo antibatterici e antimicotici. L'aglio è un anticoagulante naturale utile per aiutare il sistema cardiocircolatorio e digestivo, potenziare il sistema immunitario, abbassare la pressione sanguigna, combattere le malattie cardiache ed eliminare le tossine. Per quanto concerne il cuore, la pressione arteriosa e la circolazione, infatti, lo zolfo stimola la produzione di ossido nitrico nei vasi sanguigni, rilassandoli e migliorandone l'elasticità, favorendo lievemente l'abbassamento della pressione sanguigna e così riducendo il rischio di ictus. Per il sistema immunitario, l'aglio funziona come un complice. I suoi oli volatili hanno un effetto antibiotico naturale e contrastano raffreddore e tosse. Ma anche un'afta o una gengivite possono giovarsi della masticazione dell'aglio. L'aglio contiene anche sulfudrile, che sembrerebbe aiutare a eliminare dall'organismo sostanze tossiche come i metalli pesanti. Potrebbe rivelarsi utile nella cura del tumore alla prostata e alla vescica, e il suo uso regolare parrebbe contrastare l'insorgenza di alcune forme tumorali come quella all'intestino, al seno e ai polmoni. Importante è anche il suo effetto glucoequilibrante: una sua assunzione regolare riduce l'amminoacido omocisteina, che è un fattore di rischio per diabete e malattie cardiache. Per sfruttarne al meglio le proprietà, è preferibile usarlo fresco, perché nell'aglio conservato in acqua e olio il contenuto di allicina si riduce drasticamente. Anche subendo il processo di cottura, l'aglio non riesce a mantenere i livelli di allicina che presenta da crudo. Da cotto conserva altri composti, ma non li conserva se cotto al massimo voltaggio al microonde. Meglio, quindi, per tagliare la testa al toro, usarlo il più possibile crudo e lasciarlo riposare dieci minuti prima di mangiarlo dopo averlo schiacciato o affettato, perché liberi l'allicina. Ci si può giovare dei principi attivi dell'aglio crudo anche semplicemente distribuendolo crudo su pietanze cotte, come già fa la tradizione popolare con i peperoni cotti, spellati e conditi con olio evo, sale, pepe e aglio. Altro classico è la bruschetta all'aglio, detta fettunta in Toscana, ossia la fetta di pane appena abbrustolito sul quale si strofina l'aglio crudo prima di condire con olio evo e sale. Nessuno ci vieta poi di «crudizzare» ricette che prevedono l'aglio cotto, come la semplicissima ma superba aglio, olio e peperoncino preparata in questo modo: unire a freddo aglio e peperoncino a olio evo e mescolare con la pasta appena scolata. Il calore della pasta intiepidirà il condimento, senza però intaccare i benefici curativi.Dell'aglio noi italiani siamo grandi mangiatori, ma non produttori di rilievo internazionale. Con questi chiari di luna globalisti, possiamo già accontentarci, tuttavia, di consumare aglio italiano. Occhio, quindi, quando facciamo la spesa, a comprare aglio del nostro territorio. Abbiamo l'aglio di Caraglio, presidio slow food e caratteristicamente delicato per via del clima e i terreni calcarei della Valle Grana dove nasce. C'è poi l'aglio bianco polesano dop, l'aglio di Vessalico (presidio slow food), l'aglio di Voghiera dop, l'aglione della Chiana detto così perché raggiunge anche dimensioni maxi (c'è il super gigante con bulbi di diametro superiore a 90 millimetri, il gigante tra 80 e 90, l'extra tra 70 e 80, il grande tra 60 e 70, il piccolo da 60 in giù). E poi, un po' come i vini, dopo i bianchi abbiamo i rossi: l'aglio rosso di Sulmona, l'aglio rosso di Nubia, l'aglio di Resia, con bulbi piccoli e rossastri e sapore molto forte, l'aglio rosso di Proceno. Le nostre eccellenze sono tante, ma anche se acquistiamo un semplice aglio italiano, ricordiamoci che non solo ci nutriremo di un cibo medicinale, ma staremo combattendo non i vampiri, che non esistono, bensì contro i vampiri globalisti, che esistono.
Il tocco è il copricapo che viene indossato insieme alla toga (Imagoeconomica)
La nuova legge sulla violenza sessuale poggia su presupposti inquietanti: anziché dimostrare gli abusi, sarà l’imputato in aula a dover certificare di aver ricevuto il consenso al rapporto. Muove tutto da un pregiudizio grave: ogni uomo è un molestatore.
Una legge non è mai tanto cattiva da non poter essere peggiorata in via interpretativa. Questo sembra essere il destino al quale, stando a taluni, autorevoli commenti comparsi sulla stampa, appare destinata la legge attualmente in discussione alla Camera dei deputati, recante quella che dovrebbe diventare la nuova formulazione del reato di violenza sessuale, previsto dall’articolo 609 bis del codice penale. Come già illustrato nel precedente articolo comparso sulla Verità del 18 novembre scorso, essa si differenzia dalla precedente formulazione essenzialmente per il fatto che viene ad essere definita e punita come violenza sessuale non più soltanto quella di chi, a fini sessuali, adoperi violenza, minaccia, inganno, o abusi della sua autorità o delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa (come stabilito dall’articolo 609 bis nel testo attualmente vigente), ma anche, ed in primo luogo, quella che consista soltanto nel compimento di atti sessuali «senza il consenso libero e attuale» del partner.
Tampone Covid (iStock)
Stefano Merler in commissione confessa di aver ricevuto dati sul Covid a dicembre del 2019: forse, ammette, serrando prima la Bergamasca avremmo evitato il lockdown nazionale. E incalzato da Claudio Borghi sulle previsioni errate dice: «Le mie erano stime, colpa della stampa».
Zero tituli. Forse proprio zero no, visto il «curriculum ragguardevole» evocato (per carità di patria) dall’onorevole Alberto Bagnai della Lega; ma uno dei piccoli-grandi dettagli usciti dall’audizione di Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler in commissione Covid è che questo custode dei big data, colui che in pandemia ha fornito ai governi di Giuseppe Conte e Mario Draghi le cosiddette «pezze d’appoggio» per poter chiudere il Paese e imporre le misure più draconiane di tutto l’emisfero occidentale, non era un clinico né un epidemiologo, né un accademico di ruolo.
La Marina colombiana ha cominciato il recupero del contenuto della stiva del galeone spagnolo «San José», affondato dagli inglesi nel 1708. Il tesoro sul fondo del mare è stimato in svariati miliardi di dollari, che il governo di Bogotà rivendica. Il video delle operazioni subacquee e la storia della nave.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
Continua a leggereRiduci
Manifestazione ex Ilva (Ansa)
Ok del cdm al decreto che autorizza la società siderurgica a usare i fondi del prestito: 108 milioni per la continuità degli impianti. Altri 20 a sostegno dei 1.550 che evitano la Cig. Lavoratori in protesta: blocchi e occupazioni. Il 28 novembre Adolfo Urso vede i sindacati.
Proteste, manifestazioni, occupazioni di fabbriche, blocchi stradali, annunci di scioperi. La questione ex Ilva surriscalda il primo freddo invernale. Da Genova a Taranto i sindacati dei metalmeccanici hanno organizzato sit-in per chiedere che il governo faccia qualcosa per evitare la chiusura della società. E il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al nuovo decreto sull’acciaieria più martoriata d’Italia, che autorizza l’utilizzo dei 108 milioni di euro residui dall’ultimo prestito ponte e stanzia 20 milioni per il 2025 e il 2026.






