
Indulgente richiesta del pm nel processo per la donna uccisa a Finale Emilia da due marocchini, nel 2017. La motivazione? Servono pene lievi per puntare alla «rieducazione» e al «reinserimento in società» dei rei.Mirella aveva 78 anni. È stata uccisa nella sua casa di Finale Emilia, nella bassa Modenese, il 18 settembre 2017. Ad assassinarla due ragazzi marocchini diciannovenni. Lei, anziana dal cuore buono, quando poteva li aiutava. Pare la chiamassero «nonna». Ma quel giorno hanno deciso che non era più la nonna. Hanno deciso di rapinarla. Le sono entrati in casa, con un pretesto. Le hanno chiesto un bicchiere d'acqua. Quando s'è girata uno dei due le ha fracassato la testa con la bottiglia. Le hanno preso tutto quello che aveva nel portafoglio, cioè 30 euro, e quello che aveva nel comò. Due catenine d'oro, ricordo di chissà quale passato felice. Sono andati a venderle, hanno incassato qualche decina di euro. E quella sera stessa sono andati a spendersi tutto in alcol e bagordi.Lei morta per terra, in una pozza di sangue, nel suo tinello. Loro a festeggiare, a cadavere ancora caldo. Vi sembra abbastanza doloroso? Eppure non è ancora tutto. Oggi Mirella, infatti, subisce un secondo affronto. Non più dai suoi assassini, ma questa volta dalla nostra giustizia, se ancora si può chiamare giustizia, quello che è successo nel tribunale di Modena l'altro giorno: il pm, infatti, ha chiesto per i due assassini una condanna con pene così lievi da far sgomento. Dodici anni per l'autore materiale del delitto. Otto per il suo complice. Avete letto bene: 12 anni e 8 anni, ve lo metto anche in numero, così forse fa ancor più impressione. Ma vi pare? Uno uccide un'anziana per rubarle 30 euro e subito dopo va a ubriacarsi, e lo Stato italiano considera che tutto ciò deve essere punito con otto anni di reclusione. Cioè, considerati sconti e permessi, praticamente nulla. Uccidere un'anziana nel suo tinello, evidentemente, non dev'essere più reato in questo Paese. Bisogna pur dare qualche soddisfazione ai delinquenti di tanto in tanto, non vi pare? Quella del pm, ovviamente, è soltanto una richiesta. La sentenza arriverà tra una decina di giorni. Ma peggio mi sento: la pubblica accusa, infatti, dovrebbe tendere alla severità. E invece qui abbiamo un Procuratore della Repubblica, cioè colui che rappresenta lo Stato, colui che rappresenta tutti noi, che sta dicendo in via formale, in un'aula di tribunale, che per lo Stato, cioè per tutti noi, un delitto come quello che abbiamo appena descritto non merita più di dodici (per l'esecutore materiale) o otto (per il complice) anni di carcere. Staremo a vedere cosa deciderà il giudice, ma per intanto questa richiesta è già di per sé abbastanza sconvolgente. Non possiamo fare a meno di sottoscrivere quanto dichiarato dal figlio dell'anziana uccisa: «Oggi mi vergogno di essere italiano». Pure noi, se consente. Ovviamente viene da chiedersi come sia possibile arrivare a queste assurdità logico-giuridiche. Ed è bene sapere che c'è innanzitutto un fatto tecnico: i due assassini, infatti, come tanti nella loro situazione di palese colpevolezza, hanno chiesto il rito abbreviato che consente in automatico la riduzione della pena (di un terzo). È un'evidente stortura del nostro sistema, cui per fortuna, proprio in queste ore è stato messo un freno grazie alla legge voluta dal sottosegretario all'Interno Nicola Molteni e approvata in via definitiva dal Senato: gli sconti di pena, infatti, d'ora in avanti non saranno più possibili per i reati gravi, quelli per cui è previsto l'ergastolo, come per l'appunto l'omicidio di un'anziana. È chiaro che la norma ormai non è applicabile a questo caso, ma lo sarà in futuro. Sarà sufficiente a impedire che gli assassini passino dall'omicidio alla libertà, senza vedere la cella se non da lontano e per brevissimo tempo? Temiamo di no. Eliminare il meccanismo automatico di riduzione della pena, infatti, è cosa buona e giusta, ma non sufficiente se la pena viene poi ridotta egualmente dal magistrato, magari adducendo motivazioni surreali come quelle ascoltate negli ultimi temi (l'assassino era in preda a tempesta emotiva, l'assassino era stato illuso, etc). Oppure, come in questo caso, facendo appello al più trito armamentario della sociologia buonista. Dice infatti il pm di Modena che ai due marocchini che hanno ammazzato Mirella vanno applicate pene lievi perché esse non sono una punizione ma una forma di «rieducazione» che serve al «reinserimento in società». Praticamente una summa del lassismo giuridico applicato all'omicidio della povera Mirella. Che poi, a dirla tutta, bisognerebbe anche finirla di demonizzare la punizione. Bisognerebbe finirla di ripetere a ogni piè sospinto che le condanne devono essere solo rieducative e non punitive. Bisognerebbe finirla, in base a questo principio, di abbondare in permessi premio, licenze, semilibertà, sconti, etc (altro elemento che mina alla base la certezza della pena). E forse bisognerebbe cominciare a chiedersi: come si fa a rieducare senza punire? Pensateci: da che mondo è mondo i buoni genitori danno ai figli le punizioni non perché sono cattivi ma perché attraverso esse insegnano che cosa è bene e che cosa è male, che cosa si può fare e che cosa no, quali sono i comportamenti proibiti e quali sono le conseguenze per chi viola le regole. Perché, invece, lo Stato ha dimenticato tutto questo? Perché si parla solo di perdono e di rieducazione? Perché si dimentica l'importanza della punizione? Perché si dimentica che essa ha, dentro di sé, il massimo del valore rieducativo? Davvero qualcuno può pensare che un ragazzo marocchino di 19 anni, che chiede un bicchiere d'acqua a un'anziana, la uccide senza pietà e poi va a gozzovigliare con gli amici, possa essere rieducato a suon di pacche sulle spalle e sorrisi? Invitandolo a prendere un gelato al pistacchio? O a fare una partita a calcetto? Non bisognerà fargli prima capire la gravità di ciò che ha commesso? E come fa a capire la gravità di ciò che ha commesso se viene condannato a 8 anni (dico: otto) ed esce subito di cella?
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