2022-05-25
«Amara era utile solo per attaccare l’Eni»
Piero Amara e Paolo Storari (Ansa)
Il pm Paolo Storari a ruota libera a Brescia: Greco e la Pedio volevano portare nel processo all’azienda «due righe» dell’avvocato siciliano per tirare in ballo l’ex ministro Severino e il presidente del collegio di Milano. Sulla massoneria la Procura era un «muro di gomma».Il colpo forse definitivo alla credibilità delle indagini condotte dalla Procura di Milano quando a guidarla era Francesco Greco l’ha dato un pm dello stesso ufficio giudiziario, quel Paolo Storari accusato di rivelazione di segreto d’ufficio per la diffusione dei verbali del faccendiere Piero Amara. Per tale reato Storari è stato assolto in primo grado ed è in attesa del giudizio di appello.Ieri ha però testimoniato nel processo contro il suo vecchio amico Piercamillo Davigo e nella veste di teste assistito da un legale (essendo alla sbarra in un procedimento connesso) ha ripetuto per la prima volta in un pubblico dibattimento, trasmesso in diretta su Radio Radicale, le sue denunce bomba, sino a oggi conosciute solo attraverso la lettura dei suoi numerosi verbali depositati nel processo penale e in quello disciplinare. In aula il sostituto procuratore, che si è commosso più volte, non è arretrato di un passo e ha confermato le accuse rivolte nei mesi scorsi contro alcuni dei suoi colleghi, aggiungendo anche particolari inediti. Adesso bisognerà capire come reagiranno i magistrati chiamati in causa, i quali sino a oggi non hanno replicato in modo ufficiale.Al centro della testimonianza l’utilizzo da parte della Procura di Amara, la cui «credibilità» era, a giudizio di Storari, «a geometria variabile»: infatti, se le sue dichiarazioni sulla loggia Ungheria dovevano rimanere, per espressa richiesta dell’aggiunto Fabio De Pasquale, «chiuse nel cassetto per due anni», le «due righe» utili a disarticolare il collegio giudicante e quello difensivo del processo Eni-Nigeria, potevano essere estrapolate per essere utilizzate.Storari, nel rispondere alle domande del pm Francesco Milanesi e del presidente del collegio Roberto Spanò, ha evidenziato che a Milano, tra il 2019 e il 2020, su quelle dichiarazioni «o non si faceva nulla o quando servivano si usavano». Il pm della Dda milanese ha ricordato, stigmatizzandola, l’iniziativa di Greco e dell’aggiunto Laura Pedio di portare a Brescia «due righe» estrapolate dai verbali di Amara in cui quest’ultimo affermava di aver saputo da un avvocato che l’ex ministro Paola Severino e Nerio Diodà, legali dell’Eni e del suo amministratore delegato, avrebbero «avvicinato il presidente del collegio» del processo Eni-Nigeria, Marco Tremolada, e avrebbero «avuto assicurazione che sarebbe andato bene». Un telefono senza fili mal funzionante che Storari ha definito «un de relato di secondo grado», trasformato in un fascicolo giudiziario, seppur a modello 45 (quindi esplorativo, privo di indagati e reati) «senza nemmeno uno straccio di riscontro». Il testimone ha sottolineato: «Io mi sono dissociato da questa iniziativa perché prima di immettere un ex ministro e un presidente di un collegio nel circuito giudiziario bisogna pensarci due volte». Invece venne aperto un fascicolo conoscitivo e gli atti furono trasmessi ai colleghi bresciani. «L’ho saputo a cose fatte» ha continuato Storari. «In questa circostanza Pedio e Greco hanno dato importanza alle dichiarazioni di Amara, ma non è stato fatto alcun atto investigativo, né è stato avvisato il Csm», sul caso della presunta loggia. «Per questo parlo di credibilità a geometria variabile», ha rimarcato il pm.Storari ha ricordato al collegio giudicante come anche il teste chiave del processo Eni-Nigeria, l’ex manager del gruppo petrolifero Vincenzo Armanna, sia risultato non affidabile e in un’occasione abbia persino «pagato un testimone»: «Nell’ottobre 2020 comunico che questi due (Amara e Armanna, ndr) sono due calunniatori, non vengo ascoltato col rischio di fondare una condanna su calunnie. Oggi i fatti mi danno ragione» ha sospirato il magistrato.Eppure la Procura non sarebbe stata disponibile a sconfessare le dichiarazioni di Amara ed Armanna, per non rischiare di minare l’intero impianto accusatorio.«Se tutto il procedimento Eni-Nigeria è basato sulle calunnie, vuoi dirlo alle difese? Vuoi dirlo a Brescia […]? Vuoi dirlo ai giudici d’appello davanti ai quali si stava celebrando un processo (Eni-Nigeria, ndr) in abbreviato? Nulla di tutto questo è stato fatto», ha denunciato Storari. «Il processo Eni Nigeria era il più importante che c’era in quel momento. Il terzo dipartimento era il fiore all’occhiello della Procura e faceva i processi di serie A. Perdere in questo procedimento significava mettere in discussione tutto l’assetto organizzativo della Procura». Alla fine, nonostante la cura maniacale riservata a quel fascicolo, in primo grado il processo Eni-Nigeria è terminato con un’assoluzione per tutti gli imputati.Durante le tre ore di audizione Storari si è soffermato anche sulle difficoltà che avrebbe avuto nell’avviare le indagini sulla loggia Ungheria. «Per aver predisposto la scheda in vista delle iscrizioni nel registro degli indagati sono stato minacciato di procedimento disciplinare» da parte degli allora vertici dell’ufficio, ha spiegato. In aula ha riferito, come aveva già fatto in fase istruttoria, l’invito che gli avrebbe rivolto l’aggiunto Fabio De Pasquale, il quale avrebbe pronunciato queste parole: «Secondo me queste dichiarazioni devono rimanere nel cassetto due anni». Probabilmente per non intralciare, come detto, il procedimento contro i vertici di Eni.Il procuratore Greco gli avrebbe riferito di «non volere fare niente» per non inimicarsi «in quel momento» i vertici della Guardia di finanza, coinvolti a loro volta nelle dichiarazioni di Amara, che a Potenza, lo ricordiamo ha chiesto di patteggiare una pena per calunnia ed è indagato in altre Procure per dichiarazioni ritenute altrettanto calunniose. Greco avrebbe riferito a Storari di non voler mettere in imbarazzo le Fiamme gialle essendo interessato al trasferimento a Roma di alto un ufficiale da lui molto stimato.«Sono rimasto basito» è stato il commento del pm.Il magistrato milanese ha elencato le mail e i colloqui con Greco e con la Pedio sulle iniziative da prendere nel fascicolo sulla loggia Ungheria e, nel riportare le difficoltà a svolgere attività investigative, non ha trattenuto le lacrime: «Ricordare quello che ho passato mi dà fastidio, è pesante» ha detto con la voce rotta dall’emozione. «In questa vicenda mi sono sempre trovato di fronte a un muro di gomma: io parlavo e non mi davano risposte».Storari ha messo in risalto come non avrebbe potuto fare da solo le iscrizioni senza il beneplacito dei suoi superiori: «Entrare in un rapporto conflittuale con Greco significava essere estromessi dal procedimento, io questo non lo volevo. Perché dovevo rinunciare? Nella mia vita professionale di fronte a una situazione ingiusta io non me ne vado» ha specificato. «Il 12 maggio (2020, ndr) da un’iniziativa di Greco iscriviamo tre nomi: sono rimasto favorevolmente stupito, le iscrizioni saltano fuori in maniera improvvisa, estemporanea… di iscrivere Greco non me ne aveva mai parlato. Ora so quel giorno il pg della Cassazione (Giovanni Salvi, ndr) aveva chiamato Greco, io non avevo il minimo sospetto. A settembre si decide che la competenza non è più di Milano ma di Perugia. Ho aderito pensando “mandiamo a Perugia e almeno qualcosa si fa”, io a Milano non riuscivo a far niente», ha aggiunto Storari.Per questo, a un certo punto, ha ritenuto che l’unica via di uscita fosse informare il Csm, attraverso Davigo, di quanto stesse accadendo a Milano e per questo gli avrebbe consegnato i verbali.«Ora so la procedura, io non la conoscevo, confesso che non conoscevo le circolari. La cosa che mi è sembrata più naturale» era consegnarli a Davigo in qualità di componente del Consiglio e «persona specchiatissima». L’ex magistrato avrebbe sostenuto che a lui il segreto non era «opponibile» e Storari non ritenne quella di Piercavillo «una risposta eccentrica». Quindi il pm ha ammesso un errore, ma in buona fede e senza l’obiettivo di infrangere il segreto investigativo, reato di cui è accusato: «Ho saltato la Procura generale, ho saltato un passaggio, ma non con una finalità divulgativa» e per questo «trovo lunare quello che sta succedendo».
Matteo Salvini (Imagoeconomica)
La stazione di San Zenone al Lambro, dove il 30 agosto scorso un maliano ha stuprato una 18enne (Ansa)