2022-06-15
Altro che salario minimo: si punta a sfruttare il telelavoro all’estero
Società assumono e gestiscono personale facendolo operare da remoto con retribuzioni rapportate a costo della vita e fiscalità di dove si vive. Ad esempio nelle Filippine: là si viene pagati un quarto rispetto a noi.Mentre il dibattito politico sembra essere assorbito dal salario minimo, in tutto il mondo si sta facendo avanti una nuova forma di assunzione e gestione del personale per le aziende, in grado di aggirare qualsiasi tipo di norma sul lavoro esistente. Naturalmente si tratta di un servizio perfettamente legale, ma che rischia di aumentare ancora di più la disoccupazione e abbassare il costo del lavoro già ai minimi storici. Lo potremmo definire il lato oscuro dello smart working, ma in realtà si tratta di telelavoro e funziona così: l’impresa che cerca una risorsa da assumere può rivolgersi a queste aziende che si occupano di recruiting e non solo. Infatti oltre a reperire la risorsa si preoccupano di gestire direttamente loro il personale assunto da tutto il mondo, sfruttando le leggi presenti sul mercato del lavoro del Paese in cui assumono. Ad esempio, uno studio medico che volesse assumere una segretaria per fissare gli appuntamenti e gestire l’accettazione, potrebbe farlo facendosi letteralmente prestare il lavoratore dalla società. L’azienda oltre a fornire la risorsa gestirebbe anche il suo contratto e tutto ciò che ne deriva. A questo punto la persona da assumere potrebbe anche essere un indiano che vive in India e che potrebbe quindi svolgere la mansione direttamente dal suo Paese, con una paga che sia quindi decisamente più bassa rispetto a quella che dovrebbe ricevere una persona che vive in Italia per sostenere il nostro costo della vita. Con tutte le ricadute anche fiscali che questo comporta.Una delle aziende che se ne occupa è Globalization partners. La società opera in più Paesi, fra questi anche l’Italia. Per fare richiesta basta compilare un form online descrivendo il tipo di lavoratore che si cerca e la paga che si è disposti a offrire, a quel punto la società offre un ventaglio di offerte di lavoratori che arrivano da tutto il mondo. Negli Stati Uniti il fenomeno è già molto più diffuso. Alcuni siti, come supportshepherd.com non hanno paura di usare slogan come questo: «Ti troviamo dipendenti straordinari che costano l’80% in meno rispetto agli equivalenti statunitensi». Sembra un orribile scenario distopico, ma la verità è che con la digitalizzazione del lavoro, questo fenomeno sta diventando sempre più concreto e diffuso. Insomma in Italia si discute di soluzioni che potevano andar bene nel ventesimo secolo, ma il mondo sta già un bel pezzo avanti e sarà difficile se non impossibile competere con il mercato del lavoro dei Paesi in via di sviluppo che con un costo della vita decisamente più basso potranno permettersi di pagare i lavoratori 2 o 3 euro l’ora (lordi magari). Allo stesso modo, un imprenditore o un libero professionista che lavora in Italia, strozzato da un cuneo fiscale fra i più alti del mondo, non ha motivo di rinunciare ad usufruire di un servizio come questo, a meno che non glielo si impedisca per legge. Abbiamo fin qui glorificato lo smart working che ci ha consentito di lavorare direttamente dalla casa al mare in montagna o in campagna. E si, per molti è stato bello così. Qualcuno ha realizzato di poterlo fare per sempre e ha così deciso di abbandonare la costosa vita cittadina in favore di un borgo medioevale o di una vita rurale e meno dispendiosa. Ma cosa succede se il mondo del lavoro si rende conto di non aver più bisogno di noi, e che il nostro lavoro può esser sostituito da qualcuno che vive nelle Filippine e che può esser pagato un quarto di quello che danno a noi? Ma pure l’Italia offre i suoi lavoratori all’estero. Lo fa anche Edgemony, un nuovo hub tecnologico che - tra le varie cose - punta a reperire team di lavoratori da remoto in Sicilia per le aziende italiane e straniere. Le più gettonate sono le aziende della Silicon Valley. D’altronde Facebook ha già annunciato che entro cinque o dieci anni la metà dei dipendenti potrà lavorare da remoto con retribuzioni parametrate al costo della vita e alla fiscalità del luogo in cui vivono. Questo tema si ricollega al concetto di nomade digitale, raccontato come una cosa favolosa. Chi non vorrebbe andare a vivere in un’isoletta siciliana con il costo della vita che si ha lì, pur mantenendo uno stipendio californiano o milanese? Be’ la triste storia è che le aziende si sono accorte che questo meccanismo funziona anche al contrario. «Questo è un frutto avvelenato che deriva dal doppio effetto che hanno creato lo smartworking e la globalizzazione estrema.» Commenta Paolo Capone, segretario generale dell’Ugl che aggiunge: «Con la globalizzazione siamo riusciti a muovere capitali, beni e servizi. L’unica cosa che non siamo riusciti a esportare sono i diritti dei lavoratori». E a proposito di lavoro, due settimane fa il premier Mario Draghi ha annunciato di voler incontrare i sindacati in un tavolo a Palazzo Chigi, per porre le basi di un patto sui salari. Di questo incontro però, ancora non c’è traccia.