2025-09-20
Altro buonsenso sui vaccini negli Usa. Non serve più farli tutti in una volta
La prima riunione della nuova commissione consultiva ha frenato la raccomandazione per l’uso del siero unico contro morbillo, parotite, rosolia e varicella. La somministrazione avverrà separatamente.Si è chiusa ieri ad Atlanta la prima riunione della nuova Acip (Advisory committee on immunization practices), la commissione consultiva sui vaccini dei Cdc americani (appena rinnovata dal ministro della salute Robert F. Kennedy), chiamata a rivalutare alcune raccomandazioni sulla tetravalente (morbillo, parotite, rosolia e varicella), sulla vaccinazione dei neonati contro l’epatite B e su quelle anticovid. Una riunione che si è risolta con decisioni importanti sulla tetravalente che, secondo le indicazioni dei Cdc, comportano nei bebè di 12-23 mesi un rischio di convulsioni più elevato rispetto alla somministrazione separata del vaccino antivaricella. All’Acip è stato chiesto se la tetravalente non dovesse più essere raccomandata ai bambini di età inferiore ai 4 anni. Il voto è stato di 8-3 a favore del cambiamento: le due vaccinazioni saranno separate e diluite nel tempo. Nel corso della discussione sui vaccini anticovid -che ha messo sulla graticola Pfizer e Moderna- sono state riconosciute parecchie criticità, dalla possibile contaminazione del Dna al «caos immunitario», passando per la diffusione della proteina spike in tutto il corpo, l’ipotesi di aumento dei tumori, inclusi cancri aggressivi al pancreas e al colon su cui dovranno essere avviati più studi. È stato invece rinviato a data da definire il voto che voleva sopprimere l’obbligo di vaccinazione dei neonati contro l’epatite B: il dibattito non ha portato a un consenso unanime. I funzionari del Cdc l’hanno inquadrata come «sicura ed efficace», ma i nuovi membri Acip hanno sollevato diverse obiezioni: la prima è che l’Istituto di Medicina non ha mai dichiarato il vaccino sicuro ma soltanto che »non c’erano prove sufficienti per escludere danni». Quanto all’efficacia, Retsef Levi (professore al Massachusetts institute of technology-Mit, centro d’eccellenza della ricerca americana, scelto da Kennedy per rappresentare posizioni più scientifiche rispetto alla vecchia commissione) ha spiegato che la logica per vaccinare i neonati è molto debole: «Il vaccino contro l’epatite B dovrebbe essere riservato soltanto ai bebè ad alto rischio e non dovrebbe essere somministrato ai neonati di madri che risultano negative all’epatite B». Levi ha osservato carenze anche sulla qualità dei dati sulla sicurezza. «Stiamo dando un farmaco a un bambino perfettamente sano nel suo primo giorno di vita». I membri della commissione hanno inoltre rilevato che la pratica del consenso informato in pratica fa sì che i genitori non siano consultati: «Il problema non è la sicurezza ma la fiducia», ha chiosato Robert Malone, l’inventore dei vaccini a mRna che siede nella commissione. Sebbene l’Acip, così come il nostro Nitag, dissolto dal ministro Orazio Schillaci per la sola presenza di due scienziati scettici, abbia un ruolo soltanto consultivo, la riunione di ieri ha segnato un’inversione di rotta nell’approccio al tema delle vaccinazioni. Kennedy ha voluto dar seguito al suo impegno elettorale di rivedere tutte le autorizzazioni ai vaccini, non soltanto quelli contro il Covid, visto il vertiginoso aumento del tasso di autismo negli Stati Uniti, «una vera e propria epidemia», secondo il ministro, non imputabile al solo affinamento e miglioramento delle diagnosi sui disturbi dello spettro autistico. La riunione, come prevedibile, si è aperta tra mille polemiche: prima, l’audizione in Senato della ex direttrice dei Cdc Susan Monarez, licenziata da Kennedy per essersi opposta alla sua volontà di inserire gli studi su un’ipotetica correlazione tra vaccini e autismo all’ordine del giorno dell’Acip; poi, l’op-ed (editoriale) del New York Times firmato da nove ex direttori dei Cdc, tra i quali la famigerata Rochelle Walenski che li diresse in pandemia, incappata in una clamorosa gaffe per false dichiarazioni al Congresso Usa sulle mascherine ai bambini, che hanno accusato il nuovo Acip di avere «opinioni pericolose e non scientifiche». Quando è iniziata la riunione, dunque, il panel era già sotto pressione. Si è poi aggiunta la defezione dell’American academy of pediatrics: «Non hanno accettato il mio invito a un dibattito pubblico aperto sui vaccini, con tempi di parola uguali per tutti, né un invito a conversazioni private», ha lamentato il presidente Acip Martin Kulldorff, epidemiologo, coautore della Great Barrington declaration insieme con Jay Bhattacharya (successore di Fauci e Collins al Nih, l’Istituto Superiore di Sanità Usa) e docente di biostatistica ad Harvard prima di licenziarsi in polemica con il prestigioso ateneo riguardo gli obblighi vaccinali. L’Academy of pediatrics è stata recentemente accusata da Kennedy di avere enormi conflitti d’interesse, dato che le maggiori aziende farmaceutiche a cominciare da Pfizer la finanziano; i vertici hanno preferito sottrarsi al confronto. «La domanda chiave è: di chi ci si può fidare?», ha commentato Kulldorff, «Quando ci sono diversi punti di vista scientifici, fidatevi solo degli scienziati che sono disposti a impegnarsi e a discutere pubblicamente con altri punti di vista, così da poter soppesare e determinare il ragionamento scientifico di entrambe le parti. Senza questo confronto, è molto probabile che non si possano valutare le loro argomentazioni». Si tratta, in fin dei conti, delle stesse riflessioni fatte in occasione della vicenda Nitag, all’interno del quale Schillaci aveva inserito due soli scienziati (su un totale di ventidue) scettici. Ma il nostro ministro, a differenza di Kennedy, ha perso un’occasione per ripristinare la fiducia nella scienza.
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Arrivò prima dei fratelli Lumière il pioniere del cinema Filoteo Alberini, quando nel 1894 cercò di brevettare il kinetografo ispirato da Edison ed inventò una macchina per le riprese su pellicola. Ma la burocrazia italiana ci mise un anno per rilasciare il brevetto, mentre i fratelli francesi presentavano l’anno successivo il loro cortometraggio «L’uscita dalle officine Lumière». Al di là del mancato primato, il regista e produttore italiano nato ad Orte nel 1865 poté fregiarsi di un altro non meno illustre successo: la prima proiezione della storia in una pubblica piazza di un’opera cinematografica, avvenuta a Roma in occasione dell’anniversario della presa di Roma. Era il 20 settembre 1905, trentacinque anni dopo i fatti che cambiarono la storia italiana, quando nell’area antistante Porta Pia fu allestito un grande schermo per la proiezione di quello che si può considerare il primo docufilm in assoluto. L’evento, pubblicizzato con la diffusione di un gran numero di volantini, fu atteso secondo diverse fonti da circa 100.000 spettatori.
Filoteo Alberini aveva fondato poco prima la casa di produzione «Alberini & Santoni», in uno stabile di via Appia Nuova attrezzato con teatri di posa e sale per il montaggio e lo sviluppo delle pellicole. La «Presa di Roma» era un film della durata di una decina di minuti per una lunghezza totale di 250 metri di pellicola, della quale ne sono stati conservati 75, mentre i rimanenti sono andati perduti. Ciò che oggi è visibile, grazie al restauro degli specialisti del Centro Sperimentale di Cinematografia, sono circa 4 minuti di una storia divisa in «quadri», che sintetizzano la cronaca di quel giorno fatale per la storia dell’Italia postunitaria. La sequenza parte con l’arrivo a Ponte Milvio del generale Carchidio di Malavolta, intenzionato a chiedere al generale Kanzler la resa senza spargimento di sangue. Il secondo quadro è girato in un interno, probabilmente nei teatri di posa della casa di Alberici e mostra in un piano sequenza l’incontro tra il messo italiano e il comandante delle forze pontificie generale Hermann Kanzler, che rifiuta la resa agli italiani. I quadri successivi sono andati perduti e il girato riprende con i Bersaglieri che passano attraverso la breccia nelle mura di Porta Pia, per passare quindi all’inquadratura di una bandiera bianca che sventola sopra le mura vaticane. L’ultimo quadro non è animato ed è colorato artificialmente (anche se negli anni alcuni studiosi hanno affermato che in origine lo fosse). Nominata «Apoteosi», l’ultima sequenza è un concentrato di allegorie, al centro della quale sta l’Italia turrita affiancata dalle figure della mitopoietica risorgimentale: Cavour, Vittorio Emanuele II, Garibaldi e Mazzini. Sopra la figura dell’Italia brilla una stella che irradia la scena. Questo dettaglio è stato interpretato come un simbolo della Massoneria, della quale Alberici faceva parte, ed ha consolidato l’idea della forte impronta anticlericale del film. Le scene sono state girate sia in esterna che in studio e le scenografie realizzate da Augusto Cicognani, che si basò sulle foto dell’epoca scattate da Ludovico Tumminello nel giorno della presa di Roma. Gli attori principali del film sono Ubaldo Maria del Colle e Carlo Rosaspina. La pellicola era conosciuta all’epoca anche con il titolo di «La Breccia di Porta Pia» e «Bandiera Bianca».
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