
La tassa sugli extraprofitti delle compagnie energetiche, voluta nel 2022 dal governo di Mario Draghi, è incostituzionale nella parte in cui non esclude le accise dal calcolo del contributo straordinario. Così ha sancito ieri la Corte Costituzionale con la sentenza numero 111/2024, che demolisce un altro pezzo della tormentata tassa straordinaria escogitata ai tempi del governo Draghi in occasione del rialzo dei prezzi dell’energia a partire dall’autunno del 2021.
La Corte doveva giudicare sulla base di una serie di questioni di legittimità costituzionale sollevate da due corti tributarie (Roma e Milano), innanzi alle quali diverse società energetiche si erano appellate chiedendo un rimborso fiscale. Secondo le compagnie, l’imposta una tantum non avrebbe dovuto comprendere nella base imponibile le accise versate allo Stato.
La tassa straordinaria era stata escogitata per intercettare una parte dei profitti «straordinari» delle aziende energetiche, derivati dall’inusitato rialzo dei prezzi di gas ed energia elettrica a seguito della crisi del gas in Europa. Una norma frettolosa, scritta male, che infatti è stata corretta più volte successivamente e che alla fine non ha portato nelle casse dello Stato quegli 11 miliardi di euro di cui si favoleggiava quando fu pubblicata.
Nella sentenza la Corte bacchetta il governo, laddove afferma di essere «chiamata comunque ad assicurare, nella valutazione del bilanciamento operato dal legislatore, quanto meno il rispetto di una soglia essenziale di non manifesta irragionevolezza, oltre la quale lo stesso dovere tributario finirebbe per smarrire la propria giustificazione in termini di solidarietà, risolvendosi invece nella prospettiva della mera soggezione al potere statale». Un richiamo alla minima ragionevolezza della norma che sa di scappellotto al governo che scrisse il decreto.
L’articolo 37 del decreto-legge numero 21 del 2022, poi modificato più volte sino alla legge di Stabilità per il 2023, che istituiva un contributo straordinario di solidarietà per l’anno 2022 è stato dichiarato illegittimo nella parte in cui non esclude dalla base imponibile le accise versate allo Stato e indicate nelle fatture attive.
In sé, comunque, la Corte non boccia la tassa, perché giudica non arbitrario da parte del governo considerare l’aumento straordinario dei prezzi come un indice rivelatore di ricchezza.
Tuttavia, per intercettare tale valore secondo la Corte sarebbe stato meglio fare riferimento ai dati dichiarati ai fini dell’imposta sui redditi delle società (Ires), dal momento che da lì la maggiore ricchezza è facilmente riscontrabile in termini di surplus di utili conseguiti.
Il fatto, invece, di aver scelto le regole Iva per intercettare una parte di quella ricchezza può portare a distorsioni, che infatti puntualmente sono state rilevate.
La Corte però lancia un salvagente al governo. La scelta, per quanto alla fine parzialmente errata, fu giustificata dalla necessità di reperire in breve tempo le risorse per finanziare il pacchetto di aiuti a famiglie e imprese stabilito con il decreto legge 21 del febbraio 2022. Non vi era la possibilità, dice la Corte, di utilizzare i più adeguati dati rilevanti ai fini dell’Ires, perché sarebbe stato necessario, attendere la chiusura dei bilanci 2022. Dunque le entrate fiscali si sarebbero potute materializzare solo nel 2023.
È solo la straordinarietà della congiuntura del momento, insomma, a salvare l’impianto della tassa: «È solo tenendo conto del carattere del tutto particolare del contesto in cui è stato calato il temporaneo intervento impositivo che, quindi, può eccezionalmente ritenersi non irragionevole lo strumento utilizzato». Però conclude la Corte, «la straordinarietà del momento e la temporaneità della imposizione non possono essere ritenute una giustificazione per l’introduzione di qualsiasi forma di imposizione fiscale».
Pertanto, l’inclusione nella base imponibile delle accise versate allo Stato e indicate in fattura (che per alcune imprese aumentano la base imponibile del contributo straordinario senza che tale aumento rappresenti una maggiore ricchezza), compromette radicalmente la ragionevolezza della disposizione censurata.
Del resto, che la norma fosse male impostata è stato chiaro da subito, come abbiamo scritto a suo tempo. Le successive correzioni non hanno cambiato di molto la situazione, se è vero che neppure le successive modifiche contenute nella legge di stabilità per il 2023 hanno rilevato questa mancanza.
Salvati i moventi dell’urgenza e della straordinarietà della situazione, resta il fatto che ora la tassa sugli extraprofitti, già zoppa, perde un altro pezzo. La sentenza apre la porta a richieste di rimborso parziale, considerato che la questione di illegittimità era stata sollevata proprio in due corti di giustizia tributaria. Difficile dire quale sarà l’impatto sui conti dello Stato, ma qualcosa andrà restituito.
Si manifesta così un’altra incrinatura nei conti pubblici lasciata dal governo Draghi, dopo il mancato freno al Superbonus e il buco lasciato per rimpinguare a tutti i costi (letteralmente) gli stoccaggi di gas nel 2022: una voragine da oltre 4 miliardi di euro che ora gradualmente i cittadini stanno ripagando, attraverso una delle componenti parafiscali inserite nella bolletta del gas. Ricordiamo che lo scorso febbraio anche il Tar del Lazio ha chiesto alla Corte di pronunciarsi su una possibile doppia imposizione in relazione alla tassa sugli extraprofitti. Una nuova crepa si profila all’orizzonte.






