
L’associazione: l’inchiesta sul governo non è per contrastare la riforma della Giustizia.Basta leggere, parola per parola, le dichiarazioni ufficiali per rendersi conto che l’Associazione nazionale magistrati ha scelto, sul caso del generale libico Almasri, la difesa corporativa. Perché, dietro al linguaggio paludato e alle premesse prudenti, resta una certezza: l’Anm ha deciso di serrare i ranghi. E di rivoltare la frittata. Lo ha fatto tramite il suo presidente, Cesare Parodi, nel corso del Comitato direttivo centrale dell’Anm. Che per il preambolo sceglie la cautela: «Non conosco ovviamente il merito, le carte, molti giornali hanno scritto di tutto su questa situazione, su quanto e come i presupposti di questi fatti erano stati conosciuti o erano conoscibili dai principali autori». Pur affermando di non conoscere gli atti, però, un attimo dopo si sente di assolvere la categoria: «Quello che mi pare sia emerso con estrema chiarezza adesso è che di responsabilità, di errori, da parte dei magistrati della Corte d’appello di Roma non si parla più». E dopo l’autoassoluzione corporativa aggiunge: «Il problema è stato correttamente incentrato fra il governo italiano e la Corte penale internazionale». La faccenda, insomma, secondo Parodi, non riguarda più i magistrati, ma l’esecutivo. Ed è a questo punto che il tono cambia. E si fa politico. È il segretario dell’Anm, Rocco Gustavo Maruotti, ad aggiungere: «Non accetteremo il tentativo, già goffamente operato dal ministro Carlo Nordio, di provare a sostenere che l’accertamento della verità su questa vicenda è un’operazione finalizzata a contrastare la riforma della magistratura». E rincara: «Si tratta di un’accusa tanto falsa quanto offensiva alla quale reagiamo con fermezza». Il punto, però, è che nessuno, finora, ha messo in discussione il dovere di accertare la verità (il Tribunale dei ministri, peraltro, non ha ancora chiuso l’istruttoria). Ma l’Anm sposta il discorso dal merito alla narrazione. Maruotti afferma che «sulla vicenda Almasri ciò che ci preoccupa non è quello che sarà l’esito», ma sono «le dichiarazioni del ministro Nordio». Una evidente strategia per deviare l’attenzione e portarla su un presunto attacco alla magistratura. La sentenza di Maruotti è questa: «Si è cristallizzato il fatto che c’è una responsabilità politica, che vuol dire che il governo si è assunto la responsabilità di una decisione». E ancora: «Ci auguriamo che non ne conseguano anche responsabilità penali eventuali, su cui sta facendo accertamenti il Tribunale dei ministri». Infine si lagna: «Ormai ogni cosa che la magistratura fa viene letta in questa ottica». E parla di un «filo rosso» che, da due anni, legherebbe ogni atto giudiziario al tentativo di delegittimare la magistratura «per facilitare l’approvazione della riforma». Ovviamente la sinistra si è schierata con le toghe. Il presidente dei senatori dem Francesco Boccia ha subito rilanciato: «Siamo di fronte ad un ministro che mente in Parlamento e impone una riforma costituzionale della giustizia che non si può modificare». La replica è arrivata dal presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri: «Nei confronti di Nordio c’è un attacco strumentale basato su menzogne e su violazioni del segreto istruttorio voluto dai nostri avversari politici e, non vorrei, anche da qualche avversario con la toga sulle spalle». Poi aggiunge: «È inutile che gli esponenti dell’Anm neghino un fatto che è evidentissimo. Noi portiamo avanti una riforma doverosa e giusta, gli avversari, politici o magistrati, usano qualsiasi mezzo per colpire il ministro che la rappresenta». Il nodo, insomma, è la riforma, temutissima dalle toghe. Il caso Almasri, invece, solo un pretesto.
Lirio Abbata (Ansa)
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(Stellantis)
Nel 2026 il marchio tornerà a competere nella massima categoria rally, dopo oltre 30 anni di assenza, con la Ypsilon Rally2 HF. La storia dei trionfi del passato dalla Fulvia Coupé alla Stratos alla Delta.
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Lo ha annunciato uno dei protagonisti degli anni d'oro della casa di Chivasso, Miki Biasion, assieme al ceo Luca Napolitano e al direttore sportivo Eugenio Franzetti: la Lancia, assente dal 1992 dalla massima categoria rallystica, tornerà protagonista nel campionato Wrc con la Ypsilon Rally2 HF. La gara d'esordio sarà il mitico rally di Monte Carlo, in programma dal 22 al 26 gennaio 2026.
Lancia è stata per oltre quarant’anni sinonimo di vittoria nei mondiali di Rally. Un dominio quasi senza rivali, partito all’inizio degli anni Cinquanta e terminato con il ritiro dalle competizioni all’inizio degli anni Novanta.
Nel primo dopoguerra, la casa di Chivasso era presente praticamente in tutte le competizioni nelle diverse specialità: Formula 1, Targa Florio, Mille Miglia e Carrera. All’inizio degli anni ’50 la Lancia cominciò l’avventura nel circo dei Rally con l’Aurelia B20, che nel 1954 vinse il rally dell’Acropoli con il pilota francese Louis Chiron, successo replicato quattro anni più tardi a Monte Carlo, dove al volante dell’Aurelia trionfò l’ex pilota di formula 1 Gigi Villoresi.
I successi portarono alla costituzione della squadra corse dedicata ai rally, fondata da Cesare Fiorio nel 1960 e caratterizzata dalla sigla HF (High Fidelity, dove «Fidelity» stava alla fedeltà al marchio), il cui logo era un elefantino stilizzato. Alla fine degli anni ’60 iniziarono i grandi successi con la Fulvia Coupè HF guidata da Sandro Munari, che nel 1967 ottenne la prima vittoria al Tour de Corse. Nato ufficialmente nel 1970, il Mondiale rally vide da subito la Lancia come una delle marche protagoniste. Il trionfo arrivò sempre con la Fulvia 1.6 Coupé HF grazie al trio Munari-Lampinen-Ballestrieri nel Mondiale 1972.
L’anno successivo fu presentata la Lancia Stratos, pensata specificamente per i rallye, la prima non derivata da vetture di serie con la Lancia entrata nel gruppo Fiat, sotto il cui cofano posteriore ruggiva un motore 6 cilindri derivato da quello della Ferrari Dino. Dopo un esordio difficile, la nuova Lancia esplose, tanto da essere definita la «bestia da battere» dagli avversari. Vinse tre mondiali di fila nel 1974, 1975 e 1976 con Munari ancora protagonista assieme ai navigatori Mannucci e Maiga.
A cavallo tra i due decenni ’70 e ’80 la dirigenza sportiva Fiat decise per un momentaneo disimpegno di Lancia nei Rally, la cui vettura di punta del gruppo era all’epoca la 131 Abarth Rally.
Nel 1982 fu la volta di una vettura nuova con il marchio dell’elefantino, la 037, con la quale Lancia tornò a trionfare dopo il ritiro della casa madre Fiat dalle corse. Con Walter Röhrl e Markku Alèn la 037 vinse il Mondiale marche del 1983 contro le più potenti Audi Quattro a trazione integrale.
Ma la Lancia che in assoluto vinse di più fu la Delta, che esordì nel 1985 nella versione speciale S4 sovralimentata (S) a trazione integrale (4) pilotata dalle coppie Toivonen-Wilson e Alen-Kivimaki. Proprio durante quella stagione, la S4 fu protagonista di un drammatico incidente dove morì Henri Toivonen assieme al navigatore Sergio Cresto durante il Tour de Corse. Per una questione di giustizia sportiva il titolo piloti fu tolto alla Lancia alla fine della stagione a favore di Peugeot, che era stata accusata di aver modificato irregolarmente le sue 205 Gti.
L’anno successivo esordì la Delta HF 4WD, che non ebbe rivali con le nuove regole del gruppo A: fu un dominio assoluto anche per gli anni successivi, dove la Delta, poi diventata HF Integrale, conquistò 6 mondiali di fila dal 1987 al 1992 con Juha Kankkunen e Miki Biasion. Lancia si ritirò ufficialmente dal mondo dei rally nel 1991 L’ultimo mondiale fu vinto l’anno successivo dal Jolly Club, una scuderia privata appoggiata dalla casa di Chivasso.
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