
Il ministro Matteo Piantedosi in Senato: «L’arresto non è stato convalidato e l’ho mandato via per motivi di sicurezza del Paese». Antonio Tajani: «L’Aja non è il verbo». Critiche da sinistra.Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha risposto ieri al question time al Senato fornendo una prima ricostruzione dei fatti che hanno portato prima all’arresto e poi al rimpatrio del comandante della polizia giudiziaria libica Najeem Osema Almasri Habish. Almasri, lo ricordiamo, era stato arrestato dalla Digos alle 3 del mattino dello scorso 19 gennaio a Torino, poche ore dopo aver assistito alla vittoria della Juventus, la sua squadra del cuore, sul Milan.L’ordine di arresto è stato spiccato dalla Corte penale internazionale dell’Aja, che accusa Almasri di stupri, torture, abusi e omicidi sui migranti all’interno del carcere di Mitiga. Il 21 gennaio, Almasri è stato scarcerato e rimpatriato in Libia e le opposizioni si sono scatenate. «Il governo», ha detto ieri Piantedosi, «ha dato la disponibilità a rendere un’informativa di maggiore dettaglio sul caso la prossima settimana, sarà quella l’occasione utile per approfondire e riferire su tutti i passaggi della vicenda. Lo scorso 19 gennaio», ha evidenziato Piantedosi, «Najeem Osema Almasri Habish, da poco arrivato a Torino dopo essere stato nei giorni precedenti in altri Paesi europei, è stato sottoposto all’esecuzione del mandato di arresto internazionale a fini di estradizione, emesso il giorno precedente dalla Corte penale internazionale. Ad avvenuta esecuzione del provvedimento, sono stati informati gli uffici della Procura generale presso la Corte d’appello di Roma e il competente dipartimento del ministero della Giustizia, oltre al difensore nominato d’ufficio e le autorità consolari. Il cittadino libico», ha continuano il ministro dell’Interno, «è stato temporaneamente associato alla locale casa circondariale Lorusso e Cotugno e, quindi, messo a disposizione dell’autorità giudiziaria competente, ossia la Corte d’appello di Roma e la citata Procura generale presso la stessa Corte d’Appello».Piantedosi ha, poi, ricostruito l’iter della scarcerazione di Almasri: «Il successivo 21 gennaio», ha argomentato il titolare del Viminale, «la Corte d’appello di Roma, nell’ambito delle prerogative di vaglio dei provvedimenti di limitazione della libertà personale, ha dichiarato il non luogo a provvedere sull’arresto del cittadino libico, valutato come irrituale in quanto non previsto dalla legge, disponendone l’immediata scarcerazione se non detenuto per altra causa. L’uomo è stato dunque rilasciato nella serata dello stesso giorno. A seguito della mancata convalida dell’arresto da parte della Corte d’appello di Roma», ha detto ancora Piantedosi, «considerato che il cittadino libico era a piede libero in Italia e presentava un profilo di pericolosità sociale, come emerge dal mandato di arresto emesso in data 18 gennaio dalla Corte penale internazionale, ho adottato un provvedimento di espulsione per motivi di sicurezza dello Stato».Sulla vicenda è intervenuto anche il ministro degli Esteri, Antonio Tajani: «L’Aja non è il verbo», ha detto Tajani, «non è la bocca della verità. Si possono avere anche visioni diverse. Noi non siamo sotto scacco di nessuno: siamo un Paese sovrano e facciamo la nostra politica, l’opposizione può dire ciò che vuole». Opposizione che va, inevitabilmente, all’attacco. Il capogruppo dell’Alleanza verdi e sinistra, Peppe De Cristofaro, presidente del gruppo Misto di palazzo Madama, ha replicato in Aula a Piantedosi: «Siamo esterrefatti», ha detto De Cristofaro, «dalla risposta del ministro. Prendo atto che il nostro Paese fa finta di non ascoltare quello che c’è scritto nell’articolo 86 del Trattato di Roma che obbliga gli stati a cooperare nelle indagini e nelle azioni giudiziarie che la Corte penale internazionale svolge per i crimini sui quali ha giurisdizione. Alla destra non importa nulla della Cpi», ha aggiunto l’esponente di Avs, «e lo avevamo capito dalla vicenda dell’arresto di Netanyahu. La destra sta facendo sprofondare il nostro Paese in una condizione di assoluta vergogna, parla di cavilli quando invece è stata una precisa scelta politica la ragione per cui avete rimandato indietro un criminale ricercato». Sulla vicenda Luigi Li Gotti, sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi dal 2006 al 2008, ha presentato una denuncia alla Procura della Repubblica di Roma contro il premier, i ministri Piantedosi e Carlo Nordio e il sottosegretario Alfredo Mantovano per favoreggiamento personale e peculato.
Elly Schlein (Ansa)
La leader Pd dice che la manovra «favorisce solo i ricchi», come se avere un reddito da 50.000 euro lordi l’anno fosse da nababbi. In realtà sono fra i pochi che pagano tasse dato che un contribuente su due versa zero Irpef. Maurizio Landini & C. insistono con la patrimoniale. Giorgia Meloni: «Con me mai». Pure Giuseppe Conte non ci sta.
Di 50.000 euro lordi l’anno quanti ne finiscono in tasca a un italiano al netto di tasse e contributi? Per rispondere è necessario sapere se il contribuente ha moglie e figli a carico, in quale regione viva (per calcolare l’addizionale Irpef), se sia un dipendente o un lavoratore autonomo. Insomma, ci sono molte variabili da tener presente. Ma per fare un calcolo indicativo, computando i contributi Inps al 9,9 per cento, l’imposta sui redditi delle persone fisiche secondo i vari scaglioni di reddito (al 23 per cento fino a 28.000 euro, al 35 per la restante parte di retribuzione), possiamo stimare un netto di circa 35.000 euro, che spalmato su tre dici mensilità dà un risultato di circa 2.600 euro e forse anche meno. Rice vendo un assegno appena superiore ai 2.500 euro al mese si può essere iscritti d’ufficio alla categoria dei ricchi? Secondo Elly Schlein e compagni sì.
Elly Schlein e Vincenzo De Luca (Ansa)
Dopo aver sfidato lo «sceriffo di Salerno» il segretario dem si rimangia tutto. E per Roberto Fico conta sui voti portati dal governatore, che impone ricompense per il figlio. Sulla partita veneta, Ignazio La Russa apre a Luca Zaia nel governo.
«Vinciamo»: il coordinatore regionale di Forza Italia in Campania, Fulvio Martusciello, capodelegazione azzurro al Parlamento europeo, lo dice alla Verità e sembra convinto. L’ennesima manifestazione elettorale di Fi al centro di Napoli è un successo clamoroso: centinaia di persone, il ritratto di Silvio Berlusconi troneggia nella sala. Allora crede ai sondaggi più ottimisti? «No», aggiunge Martusciello, «credo a quello che vedo. Siamo riusciti a entrare in tutte le case, abbiamo inventato il coordinatore di citofono, che si occupa di curare non più di due condomini. Parcellizzando la campagna, riusciremo a mandare a casa una sinistra mai così disastrata». Alla remuntada in Campania credono tutti: da Giorgia Meloni in giù. Il candidato presidente del centrodestra, Edmondo Cirielli, sente aria di sorpasso e spinge sull’acceleratore.
Matteo Zuppi (Ansa)
Il cardinale Matteo Zuppi, in tv, svela la fonte d’ispirazione della sua dottrina sociale sui migranti: gli «industriali dell’Emilia-Romagna». Ai quali fa comodo la manodopera a buon mercato, che riduce le paghe medie. Così poi la sinistra può invocare il salario minimo...
Parafrasando Indro Montanelli, viene da pensare che la Chiesa ami talmente i poveri da volerne di più. Il Papa ha appena dedicato loro un’esortazione apostolica, ma le indicazioni di politica economica ai cattolici non arrivano da Leone XIV, bensì dai capitalisti. E vengono prontamente recepite dai vescovi. Bastava ascoltare, venerdì sera, il presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Zuppi, intervistato a Propaganda live: l’immigrazione, ha insistito il cardinale su La 7, «è necessaria. Se si parla con qualsiasi industriale in Emilia-Romagna dice che non c’è futuro senza».
Il Carroccio inchioda i sindacati: «Sette mobilitazioni a novembre e dicembre. L’80% delle proteste più grosse si è svolto a ridosso dei festivi. Rispettino gli italiani».
È scontro politico sul calendario degli scioperi proclamati dalla Cgil. La Lega accusa il segretario del sindacato, Maurizio Landini, di utilizzare la mobilitazione come strumento per favorire i cosiddetti «weekend lunghi», sostenendo che la maggioranza degli scioperi generali indetti nel 2025 sia caduta in prossimità di giorni festivi o di inizio e fine settimana.





