2025-03-04
All’Italia non conviene il debito comune Ue
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
I dati Istat sul 2024 indicano che il rapporto deficit/Pil è sceso al 3,4%, al di sotto delle stime. Risultato migliore di quello francese. Ora dovremmo pensare alla crescita: la corsa al riarmo alle condizioni finanziarie immaginate da Bruxelles rischia di farci male.«Naturalmente tutto questo è confortante ed è ragione di soddisfazione. Ma non possiamo fermarci, ora la sfida è la crescita in un contesto assai problematico non solo italiano ma che coinvolge tutta Europa».Sono le parole con cui il ministro Giancarlo Giorgetti ha commentato ieri la prima stima dell’Istat su crescita, deficit e debito del 2024, che descrivono bene la mappa delle minacce che attendono i conti pubblici del nostro Paese.Infatti è motivo di soddisfazione, nel senso di aver dimostrato capacità di governo e controllo dei conti, al contrario di quanto accaduto alla Francia, il cui deficit/Pil del 2024 potrebbero aver sfiorato il 6%, contro un obiettivo del 5,1%. Invece l’Italia, ha migliorato l’obiettivo del 3,8%, chiudendo il 2024 con un deficit/Pil del 3,4%. La crescita del Pil in termini reali è stata dello 0,7% (+2,9% a prezzi correnti) leggermente inferiore al 1% previsto. Significativo l’aumento del saldo primario, per la prima volta in territorio positivo (+0,4%) dal 2019. Il rapporto debito/Pil è salito al 135,3%, contro il 134,6% del 2023, comunque inferiore all’ultima stima del 135,8%. Pressione fiscale in salito al 42,6%.La soddisfazione non può estendersi al fatto di aver comunque sottratto risorse alla crescita del Paese, perché quasi mezzo punto di deficit/Pil significa aver evitato circa 10 miliardi di maggiori spese o minori entrate che avrebbero fatto comodo, senza peraltro destabilizzare più di tanto i conti. Ma sono le stesse parole di Giorgetti a fornirci l’indicazione che si tratta di fieno in cascina che vorremmo sperare torni presto disponibile per affrontare il «contesto assai problematico» che si para davanti all’Italia.Perché è sotto gli occhi di tutti quanto sta per accadere ai bilanci pubblici per reggere l’urto delle maggiori spese per la Difesa. È vero che, come accadde con Ronald Reagan nei primi anni Ottanta, spesso un forte incremento delle spese militari costituisce un forte stimolo per la crescita, ma non è tutto oro ciò che luccica. L’andamento dei mercati di ieri è una chiara dimostrazione dei pro e dei contro. Da un lato, l’indice di Borsa europeo delle aziende del settore Difesa e aerospazio è cresciuto ieri del 8,2%, e da metà gennaio è cresciuto del 30%; dall’altro c’è stato un apprezzabile deprezzamento (con rialzo dei tassi) di tutte le obbligazioni governative di Francia, Italia e Germania, con gli spread tra questi titoli che sono rimasti sostanzialmente invariati. Gli investitori semplicemente richiedono maggiori rendimenti per le massicce emissioni di titoli che si annunciano e incorporano già nei prezzi tale dinamica. La Germania non è affatto immune, tutt’altro, da tale fenomeno, tanto che ieri il Bund trentennale ha chiuso sui massimi a 2,82%, con un aumento secco di 12 punti base.I timori di Giorgetti sono fondati perché se «si tratta fondamentalmente di trasformare l’Ucraina in un porcospino d’acciaio indigeribile per i potenziali invasori», come ha dichiarato ieri, con particolare «sobrietà», Ursula von der Leyen, il livello di spesa richiesto si misura in decine di miliardi a livello nazionale e centinaia di miliardi a livello della Ue.Per far sì che la spesa militare degli Stati membri della Ue possa raggiungere almeno il 3%-3,5% del Pil e avere la disponibilità immediata di almeno 200 miliardi (come chiesto ieri da Emmanuel Macron dalle colonne del quotidiano Le Figaro), la Von der Leyen ha promesso di presentare ai leader europei un piano dettagliato per il Consiglio europeo straordinario di giovedì su Difesa e sicurezza. Altre stime si attestano su un fabbisogno di 270 miliardi di dollari all’anno per dieci anni. Lo stesso Macron ha avanzato un ventaglio di proposte (sempre le stesse che circolano da giorni), invitando la Von der Leyen a proporre «finanziamenti innovativi» e ponendo l’attenzione sui prestiti congiunti e l’utilizzo del Mes, come strumento di pronto intervento. Dello stesso tenore la proposta del primo ministro norvegese Jonas Gahr Store, favorevole a spesa congiunta a livello Nato.E qui cominciano i problemi per l’Italia. Infatti aumentare le spese per la Difesa utilizzando i «generosi» finanziamenti della Ue o, peggio, del Mes, riproporrebbe su scala ancora più grande, i difetti e i costi già visti col Pnrr. Da Bruxelles ci sarà richiesto di spendere come dicono loro, comprando cosa dicono loro, con finanziamenti che costeranno quanto sarà deciso da loro. Una prospettiva da respingere in radice. Oggi il Btp decennale offre un rendimento di soli 58 punti superiore a quello dei titoli emessi dalla Commissione. Forbice che - una volta tenuto conto dei costi di gestione che vanno riconosciuti a Bruxelles e dei costi burocratici per controllo e rendicontazione e delle diseconomie derivanti da acquisti non necessari - è destinata a chiudersi rapidamente.Credere che un debito possa essere sostenibile in relazione a chi presta i soldi (i mercati direttamente o la Ue) è solo una chimera. Se quella spesa non genera crescita sufficiente, il rapporto debito/Pil cresce. A maggior ragione in questo caso, quando i potenziali fornitori di apparati militari sono quasi tutti stranieri. Nell’indice di Borsa europeo Stoxx difesa/aerospazio, tra i primi dieci titoli ci sono tre imprese francesi, due tedesche, tre britanniche, una svedese e una italiana (Leonardo). Per non parlare dello strapotere Usa in questo campo. Ciò significa essere importatori netti con un impatto negativo sul Pil e con un evidente impatto sulla sostenibilità di quel debito.Dopo tanta attenzione sul controllo dei conti, sarebbe un errore madornale ascoltare le sirene di Bruxelles.
Thierry Sabine (primo da sinistra) e la Yamaha Ténéré alla Dakar 1985. La sua moto sarà tra quelle esposte a Eicma 2025 (Getty Images)
La Dakar sbarca a Milano. L’edizione numero 82 dell’esposizione internazionale delle due ruote, in programma dal 6 al 9 novembre a Fiera Milano Rho, ospiterà la mostra «Desert Queens», un percorso espositivo interamente dedicato alle moto e alle persone che hanno scritto la storia della leggendaria competizione rallystica.
La mostra «Desert Queens» sarà un tributo agli oltre quarant’anni di storia della Dakar, che gli organizzatori racconteranno attraverso l’esposizione di più di trenta moto, ma anche con memorabilia, foto e video. Ospitato nell’area esterna MotoLive di Eicma, il progetto non si limiterà all’esposizione dei veicoli più iconici, ma offrirà al pubblico anche esperienze interattive, come l’incontro diretto con i piloti e gli approfondimenti divulgativi su navigazione, sicurezza e l’evoluzione dell’equipaggiamento tecnico.
«Dopo il successo della mostra celebrativa organizzata l’anno scorso per il 110° anniversario del nostro evento espositivo – ha dichiarato Paolo Magri, ad di Eicma – abbiamo deciso di rendere ricorrente la realizzazione di un contenuto tematico attrattivo. E questo fa parte di una prospettiva strategica che configura il pieno passaggio di Eicma da fiera a evento espositivo ricco anche di iniziative speciali e contenuti extra. La scelta è caduta in modo naturale sulla Dakar, una gara unica al mondo che fa battere ancora forte il cuore degli appassionati. Grazie alla preziosa collaborazione con Aso (Amaury Sport Organisation organizzatore della Dakar e partner ufficiale dell’iniziativa, ndr.) la mostra «Desert Queens» assume un valore ancora più importante e sono certo che sarà una proposta molto apprezzata dal nostro pubblico, oltre a costituire un’ulteriore occasione di visibilità e comunicazione per l’industria motociclistica».
«Eicma - spiega David Castera, direttore della Dakar - non è solo una fiera ma anche un palcoscenico leggendario, un moderno campo base dove si riuniscono coloro che vivono il motociclismo come un'avventura. Qui, la storia della Dakar prende davvero vita: dalle prime tracce lasciate sulla sabbia dai pionieri agli incredibili risultati di oggi. È una vetrina di passioni, un luogo dove questa storia risuona, ma anche un punto d'incontro dove è possibile dialogare con una comunità di appassionati che vivono la Dakar come un viaggio epico. È con questo spirito che abbiamo scelto di sostenere il progetto «Desert Queens» e di contribuire pienamente alla narrazione della mostra. Partecipiamo condividendo immagini, ricordi ricchi di emozioni e persino oggetti iconici, tra cui la moto di Thierry Sabine, l'uomo che ha osato lanciare la Parigi-Dakar non solo come una gara, ma come un'avventura umana alla scala del deserto».
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