2020-11-08
Alle presidenziali la spunta Biden. E lo aspetta un mandato da incubo
Sleepy Joe agguanta i delegati mancanti vincendo in Pennsylvania: «Onorato di guidare il Paese». Giubilano i dem, ma le loro faide interne indeboliranno il comandante in capo. Tampinato dai repubblicani al Senato.Prosegue lo scontro sui suffragi postali, un tempo invisi ai progressisti. Donald Trump non molla: «Ho vinto io di molto».Lo speciale contiene due articoli.Joe Biden è il vincitore delle elezioni presidenziali americane. È questo il verdetto della Cnn, che per prima, nel pomeriggio italiano di ieri, ha attribuito il fondamentale Stato della Pennsylvania al candidato democratico: candidato che ha così superato la soglia dei 270 grandi elettori, necessari per espugnare la Casa Bianca. Nelle ore successive, anche gli altri grandi network televisivi statunitensi hanno riconosciuto Biden come vincitore e quindi come prossimo presidente degli Stati Uniti. «America, sono onorato che tu abbia scelto me per guidare il nostro grande Paese. Il lavoro che ci attende sarà duro, ma vi prometto questo: sarò un presidente per tutti gli americani, indipendentemente dal fatto che avete votato per me o no. Manterrò la fiducia che avete riposto in me», ha twittato Biden, aggiungendo in una nota: «Con la campagna finita, è tempo di lasciarci alle spalle la rabbia e la dura retorica e unirci come nazione». Il democratico ha inoltre tenuto un discorso nella nottata italiana. Secca la replica della Casa Bianca, che in un comunicato ha dichiarato: «Il semplice fatto è che queste elezioni sono tutt'altro che finite. Joe Biden non è stato certificato come il vincitore di nessuno Stato, per non parlare di nessuno degli Stati altamente contestati che avranno riconteggi obbligatori o Stati in cui la nostra campagna ha contenziosi legali validi e legittimi che potrebbero determinare il vincitore finale». Trump, insomma, non sembra minimamente intenzionato a riconoscersi sconfitto e si prepara a riconteggi e contenziosi legali in Georgia, Wisconsin e Michigan. Una situazione che, fatte le dovute distinzioni, chiama molto alla memoria il braccio di ferro tra George W. Bush e Al Gore nel 2000. Ricordiamo del resto che, a fine novembre di quell'anno, Bill Clinton si rifiutò di avviare le operazioni di transizione presidenziale, fin quando i riconteggi dei voti nel cosiddetto Sunshine State fossero stati in corso. Grande soddisfazione è stata intanto espressa dai vertici del Partito democratico americano. La vicepresidentessa in pectore, Kamala Harris, ha twittato: «Ce l'abbiamo fatta, Joe». Stessi toni per la speaker della Camera, Nancy Pelosi: «Abbiamo conservato la Repubblica! Congratulazioni a Joe Biden per la sua vittoria per l'anima del nostro Paese. Congratulazioni a Kamala Harris per aver scritto la storia. È un tempo per guarire e un tempo per crescere insieme», ha twittato. Tutto questo, mentre Hillary Clinton ha definito la vittoria dem un «rifiuto di Trump». Parole di festa anche da sinistra, con il senatore del Vermont, Bernie Sanders che ha dichiarato: «Voglio congratularmi con tutti coloro che hanno lavorato così duramente per rendere possibile questa giornata storica». Insomma, uno spirito di grande coesione. Una coesione che rischia tuttavia di avere vita breve. Il primo grande problema che una presidenza Biden dovrà affrontare è proprio quello della faida interna allo stesso Partito democratico: un partito che - come dimostrato dalla sua ultima convention nazionale - è unito esclusivamente dall'anti-trumpismo. Biden dovrà quindi gestire una sinistra sempre più irrequieta, che proverà a imporgli un'agenda fortemente progressista su temi come la sanità e l'ordine pubblico. Il nuovo presidente rischia quindi di finire ostaggio dell'ala radicale, mentre i dissidi tra centristi e sinistra sono già riaffiorati in seno all'asinello nel corso degli ultimi giorni. Alcuni analisti ritengono che Biden potrebbe cercare di aggirare l'ostacolo, aprendo ai repubblicani centristi. E c'è chi ipotizza - come il Washington Times - addirittura un Mitt Romney al Dipartimento di Stato. Il problema di questa strategia è che poteva funzionare negli anni Novanta: oggi, nel clima di crescente polarizzazione della politica americana, risulta infinitamente più difficile da attuare. Senza poi contare che, nel caso l'asinello non riuscisse a ottenere la maggioranza in Senato, per Biden sarebbe molto complicato non solo favorire le proposte legislative della sinistra, ma anche nominare giudici e ministri. Insomma, il rischio è che la nuova presidenza possa risultare paralizzata, senza contare il forte clima di incertezza sul fronte programmatico. Anche perché non dimentichiamo che, con l'attuale ticket democratico, arriveranno alla Casa Bianca i grandi interessi di Wall Street e della Silicon Valley. E chissà che cosa ne penseranno tra poco Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez. Non trascuriamo inoltre il fattore della salute. Biden è il presidente al primo mandato più anziano della storia americana e ha talvolta mostrato problemi di lucidità nel corso della campagna elettorale: elemento che rende improbabile l'eventualità di otto anni di presidenza. Del resto, non dimentichiamo che - negli scorsi mesi - sono circolate anche ipotesi (più o meno fondate) di sue dimissioni anticipate: uno scenario che, in base a quanto prescrive la Costituzione, catapulterebbe la Harris direttamente alla presidenza. Prepariamoci ad ascoltare discorsi altisonanti sulla democrazia e la volontà popolare. Ma prendiamoli per quello che sono. Perché Trump ha sicuramente commesso molti errori. Ma lottare pressoché a mani nude contro la Silicon Valley, la grande stampa e pezzi dell'apparato governativo non è semplice. E alla fine Alamo è caduta, sì. Tuttavia non è del generale Santana che oggi ci ricordiamo, ma di Davy Crocektt. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/alle-presidenziali-la-spunta-biden-e-lo-aspetta-un-mandato-da-incubo-2648662576.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-la-corte-suprema-congela-le-schede-giunte-a-urne-gia-chiuse" data-post-id="2648662576" data-published-at="1604804510" data-use-pagination="False"> Ma la Corte Suprema congela le schede giunte a urne già chiuse È una vittoria legale parziale quella ottenuta nelle scorse ore da Donald Trump. Il giudice della Corte Suprema, Samuel Alito, ha ingiunto alla Pennsylvania di mantenere separate le schede elettorali arrivate dopo l'Election day del 3 novembre. Un provvedimento temporaneo, in attesa che il massimo organo giudiziario statunitense si pronunci sulla regola locale che ha per l'appunto reso possibile una dilazione degli arrivi delle schede per corrispondenza. Trump punta molto su un pronunciamento definitivo a suo favore: nonostante la segreteria di Stato della Pennsylvania dica che quei voti non avrebbero un impatto significativo sul risultato finale, è pur vero che - a ieri pomeriggio italiano - il vantaggio di Joe Biden in loco era di appena 28.000 voti. Un margine risicato che - si augurano alla Casa Bianca - possa essere ribaltabile. In particolare, il team del presidente spera nel «soccorso» della nuova giudice della Corte, Amy Coney Barrett, nominata da lui a settembre e confermata recentemente dal Senato. Tra l'altro, la battaglia legale in Pennsylvania acquisirebbe fondamentale importanza, qualora il candidato democratico dovesse in queste ore raggiungere - come hanno assicurato vari media - la soglia dei 270 grandi elettori proprio grazie a questo Stato. Non è quindi escludibile che, nelle prossime settimane, sarà proprio il cosiddetto Keystone State a risultare il centro delle probabili battaglie legali tra Trump e Biden: un po' come fu - mutatis mutandis - la Florida alle presidenziali del 2000. Nel frattempo, un giudice federale ha respinto un ricorso avanzato in Nevada dal locale Partito repubblicano, per ottenere un «accesso significativo» al monitoraggio degli spogli. Ieri Trump è andato all'attacco. «Ho vinto di molto queste elezioni!», ha twittato. «Decine di migliaia di voti sono stati ricevuti dopo le ore 20 di martedì, l'Election day, cambiando totalmente e facilmente i risultati in Pennsylvania e in certi altri Stati sul filo del rasoio. Tra l'altro, centinaia di voti illegalmente non sono potuti essere monitorati», ha inoltre scritto il presidente, ritrovandosi poi segnalato da Twitter. Certamente dovrà essere Trump a incaricarsi di suffragare con delle prove le sue gravi accuse. Restano tuttavia alcuni elementi poco chiari. Come riportato dal Detroit Free Press, la contea di Antrim (in Michigan) ha per esempio dovuto correggere i suoi risultati, dopo aver attribuito erroneamente a Biden alcune migliaia di voti. Rimane inoltre per il momento sospesa la spinosa questione del voto postale effettuato dai militari che, secondo The Hill, non sarebbe stato ancora conteggiato in alcuni degli Stati in bilico. Tra l'altro, va anche detto che - indipendentemente dal caso attuale - il contesto generale del voto per corrispondenza negli Stati Uniti non è di per sé cristallino. Nel 2005 la Commission on federal election reform - organo bipartisan guidato dall'ex presidente democratico Jimmy Carter e dall'ex ministro della Giustizia James Baker - manifestò forti preoccupazioni in riferimento a questa modalità di suffragio. Preoccupazioni evidenziate anche da un articolo del New York Times, pubblicato nell'ottobre del 2012. Era invece novembre del 2018 quando Ed Dolan, senior fellow presso il Niskanen Center, pubblicò su Medium un'analisi in cui denunciava i pericoli del voto per corrispondenza.