2020-03-03
Algeri diventa partner strategico. L’ Eni raddoppia la produzione di gas
Con il nuovo gasdotto da 185 chilometri, realizzato assieme a Sonatrach, il cane a sei zampe aggiunge 65.000 barili agli attuali 90.000 estratti ogni giorno. E si rende più indipendente dall'instabile Libia.Si parla di nuovo di Eni e Algeria. Questa volta, a differenza di quanto accaduto un mese e mezzo fa, non per la sentenza con cui la seconda Corte d'Appello di Milano ha ribaltato assolto l'ex ad del Cane a sei zampe Paolo Scaroni e la compagnia petrolifera italiana nel processo sul caso Saipem-Algeria. Si parla, invece, del colosso energetico italiano e delle sue attività nel Paese nordafricano dopo l'annuncio di ieri: Eni ha completato con successo, e nel rispetto delle tempistiche, la costruzione del gasdotto che collega i siti produttivi di Bir Rebaa Nord e di Menzel Ledjmet Est nel Bacino del Berkine, nella parte sudorientale dell'Algeria.L'annuncio di Eni, primo partner della compagnia di stato algerina Sonatrach e primo fornitore di gas del Paese, ha molto a che fare con la crescente instabilità delle aree centrale del Nord Africa. L'ultimo, clamoroso episodio è proprio di ieri: si è dimesso Ghassan Salamé, inviato delle Nazioni Unite in Libia, dopo due anni e mezzo di sforzi per riunificare il Paese, agonizzante nello scontro tra Tripolitania e Cirenaica, e «prevenire ingerenze esterne», ha scritto su Twitter. Un impegno non portato a termine. E ora lo stato di salute non gli permette di proseguire negli sforzi. Con l'Egitto, il Cane a sei zampe ha rapporti saldi confermati dall'accordo della scorsa settimana con il riavvio dell'impianto di gas naturale liquefatto di Damietta. Ora l'annuncio del gasdotto completato in Algeria: 185 chilometri di lunghezza e 16 pollici di diametro per con una capacità di trasporto di 7 milioni di metri cubi standard di gas al giorno. Eni, presente in Algeria con una produzione equity di 90.000 barili di olio equivalente al giorno, ha presentato il progetto come un esempio di fast track «fondato sulla strategia comune di un time to market accelerato e sulla disponibilità e capacità delle società contrattiste del gruppo Sonatrach chiamate ad eseguire i lavori». In particolare, il progetto a gas del Berkine Nord porterà a regime a una produzione di altri 65.000 barili di olio equivalente al giorno entro il 2020. Allo stato attuale è ancora troppo presto per stimare l'equivalente netto. Ma ci si avvicina a un raddoppio potenziale.È parte del tentativo italiano di rafforzare gli scambi commerciali tra il nostro Paese e l'Algeria, diminuiti di oltre un miliardo di euro nel 2019, cioè circa del 17% rispetto all'anno precedente. Il settore energetico continua a caratterizzare le esportazioni algerine, anche se con il segno meno: l'Italia rimane infatti uno dei principali acquirenti di gas algerino nonostante il calo del 23,43% rispetto al 2018 a causa del calo degli acquisti italiani di gas algerino.Pochi giorni prima della sua recente nomina a ministro dell'Industria, Ferhat Ait Ali aveva dichiarato all'Agenzia Nova che gli algerini non hanno dimenticato che l'Italia «è stata uno dei pochi Paesi al mondo ad aver fornito aiuti finanziari e materiali all'Algeria durante gli anni Novanta, quando tutti ci hanno chiuso la porta in faccia». Per questo, secondo Ait Ali, con l'elezione del presidente Abdelmajid Tebboune «l'Italia e le sue imprese saranno in grado di svolgere un ruolo importante nello sviluppo dell'economia nazionale». A partire dal settore energetico (che vede impegnate, oltre a Eni, anche Enel ed Edison) senza dimenticare l'alimentare e il meccanico.E come spesso accade è il Cane a sei zampe a guidare la politica estera del nostro Paese. Lo confermano gli ultimi spostamenti della Farnesina. Il sottosegretario agli Esteri, Manlio Di Stefano, è stato ricevuto ieri ad Algeri dal ministro dell'Energia Mohamed Arkab per discutere di rinnovabili. Nel frattempo il viceministro degli Esteri, Emanuela Del Re, era a Marrakesh, in Marocco, per la Conferenza ministeriale del dialogo 5+5 in tema di migrazioni e sviluppo. Presente, tra i Paesi rappresentanti della sponda Sud del Mediterraneo, anche l'Algeria.A ulteriore conferma dell'attenzione del nostro Paese verso l'Algeria per interessi economici e strategici è arrivata, sempre ieri, la relazione annuale dei servizi segreti. La nostra intelligence analizza la crisi libica, che «con tutto il suo portato destabilizzante» ha continuato «a condizionare la sicurezza dell'intero quadrante maghrebino, teatro dell'attivismo di estremisti e reclutatori che si giovano delle porosità confinarie». Se alcuni Paesi nordafricano appaiono in difficoltà, con ripercussioni sui rapporti con i vicini, lo stesso non si può dire, scrivono i nostri servizi dell'Algeria. «Pur assorbite da una delicata transizione politico-istituzionale interna e da pressanti istanze di rinnovamento, le autorità dell'Algeria hanno continuato a far fronte ai fenomeni del terrorismo e del contrabbando», si legge, grazie ad azioni di monitoraggio e contrasto, specie nei riguardi delle formazioni qaediste presenti proprio nelle aree al confine orientale e nel Sud.
A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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Il fiume Nilo Azzurro nei pressi della Grande Diga Etiope della Rinascita (GERD) a Guba, in Etiopia (Getty Images)