2018-05-04
Scoperto un farmaco che avrebbe potuto curare il piccolo Alfie
Il test su 23 bambini colpiti da malattie neurodegenerative ha dimostrato di poter rallentare la progressione dei sintomi. Uno dei quattro centri interessati dalla sperimentazione è quello che ospitò Charlie Gard.Alfie Evans poteva essere salvato? Studi scientifici lo stanno dimostrando. Lo scorso 24 aprile, sul New England Journal of Medicine sono stati pubblicati i risultati di sperimentazioni di un nuovo farmaco su piccoli pazienti affetti da ceriodolipofuscinosi neuronale di tipo 2 (Cln2), una malattia neurodegenerativa simile a quella che aveva colpito il piccolo inglese di appena 23 mesi, lasciato morire a Liverpool. La cura, a base di cerliponase alfa iniettata direttamente nel cervello, è stata praticata per tre anni su 23 bambini, di età compresa tra i 3 e i 16 anni. Sei dei piccoli erano in cura all'Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, proprio il centro che si era offerto di accogliere Alfie, ricevendo il rifiuto dei medici e dei giudici inglesi.Uno dei bambini è di Verona, scrivono sulla rivista inglese. La sperimentazione ha interessato altri quattro centri, oltre a quello italiano: l'Hamburg-Eppendorf di Amburgo, l'ospedale Great Hormond Street di Londra, il Nationwide Children's hospital della Ohio State University a Columbus negli Stati Uniti e il Citigroup biomedical imaging center al Weill Cornell Medicine di New York. Sembra che il farmaco, provato per la prima volta su esseri umani, sia in grado di arrestare la progressione della malattia. I bambini con Cln2 iniziano a manifestare crisi epilettiche tra i 2 e i 4 anni, precedute nella maggior parte dei casi da un ritardo nello sviluppo del linguaggio. La malattia progredisce rapidamente, la maggior parte dei bambini perde la capacità di camminare e di parlare a circa 6 anni. I sintomi iniziali sono seguiti da disturbi del movimento, demenza, cecità e morte, che si verifica di solito tra gli 8 e i 12 anni.La cerliponase alfa, un medicinale «orfano», utilizzato nelle malattie rare, è stata somministrata direttamente nel cervello dei giovanissimi pazienti, per aggirare la barriera ematoencefalica che separa il flusso sanguigno dal cervello (e impedisce ai medicinali di penetrare nel tessuto cerebrale), alla velocità di 2,5 millilitri l'ora per 4 ore, aumentando il dosaggio ogni due settimane. Si è visto che l'87% dei bambini non ha manifestato alcuni sintomi tipici dell'evoluzione della malattia, per cui la sperimentazione è stata giudicata positivamente. Perché allora non è stato possibile provare il farmaco anche su Alfie? Perché ai genitori era stato vietato anche il trasporto in un altro ospedale, con la scusa «che il bambino era troppo malato» e lo spostamento l'avrebbe messo in pericolo? A detta dei medici inglesi, il cervello di Alfie presentava una situazione irreversibile. Affetto da un disturbo neurodegenerativo che stava distruggendo lentamente il suo cervello (all'Alder Hey hospital avevano anche ipotizzato che si trattasse di un disturbo mitocondriale, come quello di cui soffriva il piccolo Charlie Gard), il piccolo aveva passato gli ultimi 17 mesi della sua vita attaccato a un respiratore artificiale. Il bimbo, però, non era un malato terminale e curarlo non significava accanimento terapeutico: quando gli staccarono le macchine per la ventilazione aveva ripreso a respirare da solo, sorprendendo tutti. Il giudice dell'High Court aveva stabilito che non era necessario per Alfie essere trasferito in un ospedale estero, quando poteva ricevere questo tipo di trattamento nel suo Paese: «Potrebbe valere la pena rischiare tutto questo se ci fosse qualche prospettiva di trattamento, che non c'è. Per questa ragione l'alternativa avanzata dal padre è inconciliabile con il best interest di Alfie. Il padre di Alfie non riesce ancora ad accettare che l'unica possibilità offerta a suo figlio sia una cura palliativa e non una terapia», aveva dichiarato. Da quel momento non ci furono più aggiornamenti ufficiali sullo stato di salute del piccolo Alfie, se non le informazioni che i suoi genitori avevano fatto circolare su social e giornali.Prima dell'alta corte inglese, sono stati i medici a non consentire sperimentazioni di farmaci. La cerliponase alfa avrebbe potuto arrestare la sua condizione neurodegenerativa progressiva, così come è accaduto con i bambini sottoposti al trattamento? Purtroppo non possiamo avere risposte. Nel caso di Charlie Gard, la speranza risiedeva in un farmaco sperimentale, potenzialmente in grado di rallentare la progressione della malattia, ma non di risanare i gravissimi danni neurologici già avvenuti. Anche lo studio pubblicato sulla rivista inglese non regala certezze: il farmaco non ristabilisce le condizioni neurologiche originarie del bambino, ma sembra arrestare la progressione di malattie come quella che aveva colpito il povero, sfortunato Alfie. All'ospedale Bambino Gesù di Roma potevano provarci, così come stanno facendo con altri piccoli pazienti di cui non si conoscono i tempi di sopravvivenza. Ma non si smette di curarli. Mentre la scienza prova a combattere la battaglia contro le malattie rare, anche con una terapia preventiva a base di cerliponase alfa, dobbiamo constatare che tanti sforzi finiscono vanificati proprio grazie alla chiusura, all'ottusità di certi medici che hanno la legge dalla loro parte.
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