2023-03-12
Testori, «corsaro» del giornalismo all’assalto del guru rosso Napolitano
Giovanni Testori (Getty Images)
Un pamphlet di Alessandro Gnocchi ripercorre, nell’anno del centenario, l’attività di editorialista del genio: dagli interventi sui piccoli fatti di cronaca alle polemiche culturali, come quella contro il futuro capo di Stato.Non è semplice aggiungere qualcosa alla pletora di scritti, critiche, ricordi su - e di - Giovanni Testori, specie nell’anno del centenario della nascita del grande artista lombardo (1923-1993). Ci riesce Alessandro Gnocchi, giornalista e scrittore, che ha intercettato un percorso circoscritto ma essenziale: quello per così dire «editoriale». Testori corsaro (La nave di Teseo, 144 pagine, 17 euro, appena arrivato in libreria), come si evince chiaramente dal titolo «pasoliniano» è una cavalcata nella produzione giornalistica del regista e critico, dalle pagine del Corriere della Sera (dove di fatto prese il posto di PPP dopo la morte violenta di quest’ultimo) e del Sabato. L’impatto del Testori giornalista è impossibile da sottovalutare: qui pubblichiamo stralci di un capitolo in cui si ripercorre l’assalto che l’autore dell’Arialda porta alle cittadelle del potere culturale italiano. Alla fine degli anni Settanta entra in una polemica diretta con Giorgio Napolitano, già pezzo grossissimo del Pci, che piuttosto incredibilmente lamenta la scarsa disponibilità degli intellettuali d’area a «sporcarsi le mani». Testori si scatena, sapendo benissimo di essere solo praticamente contro tutti. Ma in fondo non è neppure la polemica culturale la cifra ultima del suo contributo giornalistico. Testori dà il meglio di sé (anche) affrontando la cronaca spicciola, spesso non ritenuta degna di grandi firme. È capace di commuoversi al pianto per il giovane che si uccide, per i bimbi abortiti, per il delitto di periferia. E, partendo da dettagli «minori», di toccare liricamente l’abisso umano. L’intreccio con la cronaca descritto da Gnocchi diventa non pretesto, ma motivo di una continua indagine sul «pensiero dominante» della contemporaneità. Testori è profetico nel cogliere la paradossale «unità d’intenti» del capitalismo consumista e della cultura marxista che si stava «suicidando», come aveva previsto Augusto Del Noce. Il crollo delle ideologie non porta l’assenza di ideologie ma una distruzione della cultura, della fede, della tradizione. Per questo Testori «sta con l’antico», e per questo è così attuale.La cultura marxista non ha il suo latino (Corriere della Sera, 4 settembre 1977) è una dichiarazione di guerra al pensiero dominante. Testori delinea i principi fondamentali che saranno alla base di tutti i suoi interventi come editorialista. L’origine della polemica è un articolo di Giorgio Napolitano sull’Unità. Il futuro presidente della Repubblica si lamentava degli intellettuali poco disposti a sporcarsi le mani. Testori trasecola. Al limite, gli intellettuali hanno le mani troppo sporche. Poi parte l’assalto alle casematte del potere. La cultura come affare per piccole cosche di eruditi. L’intellettuale impegnato come impiegato al servizio della propaganda. Il marxismo come mediocre imitazione del cristianesimo e della chiesa. Il rifiuto netto del materialismo. Il Vangelo come guida in tutti gli aspetti, pubblici e privati, essendo pubblico e privato inscindibili per i cristiani. L’orizzonte limitato del progressismo: il marxismo non fa i conti con la morte. Anche la propria morte. Il Vangelo invece sì: l’Apocalisse è il primo e l’ultimo dei libri, il libro che comprende e compendia tutti gli altri libri. Senza fare i conti con la morte è inutile parlare di società, sociale, uomo e vita. Pasolini avrebbe detto: «Io sono una forza del passato». Testori invece scrive: «Se così pensando, sono tacciato di stare con l’antico, bene, sto con l’antico. Sulla modernità che ha tramutato la rivoluzione in capitale e in consumo, sputo». reazioni scomposteIl mondo della cultura non la prende benissimo. È un coro contro Testori, anche sullo stesso Corriere della Sera, ma in fondo è proprio l’effetto voluto, no? Ottone e Testori possono essere soddisfatti. Primo articolo «politico», primo putiferio. Intervengono Umberto Cerroni, Franco Ferrarotti, Lucio Lombardo Radice, Alberto Abruzzese, lo stesso Napolitano, Giuseppe Alberigo e perfino alcuni lettori nella pagina della posta. Ce l’hanno tutti con Testori. Non sempre si capisce il motivo. Semplice indignazione senza troppi argomenti che non siano riassumibili nello slogan Anche il marxismo ha la sua Apocalisse, titolo del pezzo di Alberigo, ma non si spiega mai in cosa consistano il latino e l’Apocalisse del marxismo. Il comunista Napolitano accusa Testori di volgarità, motivo per cui si rifiuta di entrare nel merito. Napolitano non era una educanda facile da offendere. Era uno che non aveva trovato offensivi i carri armati sovietici a Budapest e neppure l’esilio di Solzenicyn. Qui invece ci resta male. Napolitano rilancia comunque il suo appello affinché gli intellettuali si misurino con le proposte del Pci. Altri interpretano la polemica come il segno della svalutazione degli intellettuali che non possono più svolgere la tradizionale (?) funzione di mediatori tra popolo e politica (laddove la politica sembra coincidere con il Pci). Insomma, un minuetto che possiamo riassumere così: Testori, come osi criticare il marxismo? Pentiti o sarai dichiarato pazzo.A un certo punto, Testori risponde con un minuetto satirico. Articolo brillante, ma escluso dalla Maestà della vita, forse perché ritenuto troppo contingente, forse per il tono comico, assente negli articoli scelti per comporre l’antologia d’autore. Ecco un passaggio di «Quanta gente indignata con me» (Corriere della Sera, 17 settembre 1977): «Quali prefiche, quali vestali, quali amazzoni, quali Norme (o come altrimenti chiamarle?) principiarono fin dal mattino a urlare per entro i telefoni (no non a me che non uso frequentarle; bensì a qualche povero amico): «Hai visto?»; «Cosa?»; «Ma è impazzito, impazzito come?»: «Impazzito! Ti dico che è impazzito!» L’amico (più d’uno, in verità) stringeva spaurito il telefono tra le dita: «Ma vuoi capire o non vuoi capire? Ha fatto il loro gioco…»: «Il gioco? E quale gioco?»: «Il gioco della destra, anzi della reazione!». Emesse le due parole, le sventurate crollavan giù, entro le poltrone desainirizzate, pallide ed esauste; non diversamente doveva accadere alle indemoniate, allorché, pronunciata dal sacerdote la formula dell’esorcismo, lo spirito dell’Esecrando le lasciava».Ancora più cattivo, quasi celiniano nell’invettiva: «L’isole, i romiti, le barche, il marxismo senza latino, il latino senza Marx, il Napolitano, l’Abruzzese, santa Teresa dei Zangari, Lucio Lombardo Radice, Lomba Radardo Ludice, la Lolli, la Lalli, la Lilli, Flora Lillo (no, Flora Lillo era solo una stupenda soubrette dei tempi dell’«Italietta») tutto mi vorticava dentro la testa. Mi diventava impossibile vivere; preso da una nausea incontenibile, le persone, le cose, i rapporti, gli affetti, tutto mi si disfaceva dentro, davanti e intorno…».conta solo la parolaBellissimo, averne di pezzi come questo, e pensare che oggi nessuno lo scriverebbe e comunque nessuno lo pubblicherebbe. Tranne qualche pazzo che non ha paura di essere tagliato fuori da tutto. Ne esistono ancora, di pazzi simili, dovrebbero essere una specie protetta, invece sono mal sopportati perché fanno casino, insomma, fanno dibattito, che noia poi dover pubblicare le repliche, e che noia quando telefona l’editore alle sette di mattina perché la Lalli e la Lilli sono sue amiche, e che noia quando arrivano i messaggi di chi si sente insultato, di chi minaccia la querela, di chi non ha capito un’acca e vuole sapere cosa c’entra la compianta Flora Lillo. Tutta questa noia per la terza pagina, si occupassero di libri belli, recensioni belle, mostre belle, scrivessero che sono tutti bravi, e lasciassero perdere le polemiche.Il dibattito letterario non appassiona Testori. L’avanguardia… Il ritorno all’ordine… Da sbadigliare… La questione è un’altra. Nel 1979 il Corriere della Sera Illustrato chiede a Testori quale direzione abbia preso la letteratura. Questione posta male, secondo lo scrittore. Non conta dove vada la letteratura. Conta dove va la parola:«Chi abbia veramente (e non sperimentalmente) afferrata, amata, bestemmiata, ferita, piagata, distorta e strozzata la parola affinché potesse in qualche modo essere se stessa e spremere da sé ancora un grido, una goccia o un baluginio di luce pur nei funesti tempi del suo presente, consumistica e ideologicizzante soggiacenza all’immagine (abuso e soggiacenza che l’hanno minacciata di mutezza), sa che ad essa resta solo una possibilità; quella di farsi umilmente carne e nello stesso tempo, trapassare e portare quella carne verso il centro della sua origine, verso il centro della sua verità».Che sia letteratura poco importa: «che sia parola, quella parola, la parola che non è più letteratura, che non è più teatro o poesia, ma disfa in sé, esaltandoli e bruciandoli, teatro, letteratura e poesia, questo sì preme».
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Donald Trump (Getty Images)