2024-01-15
Alessandro Amorese: «Vogliamo sostenere il calcio minore. È più vicino alla gente»
Alessandro Amorese (Imagoeconomica)
Il parlamentare di Fdi: «La Superlega adesso è irrealizzabile. Cairo ha un approccio sbagliato, bisogna valorizzare i giovani».Alessandro Amorese, deputato toscano di Fratelli d’Italia, è primo firmatario di una risoluzione approvata all’unanimità in Commissione Cultura, con il parere favorevole del governo, che impegna l’esecutivo a sensibilizzare la Lega Calcio, tanto di Serie A quanto di Serie B, a prevedere un calmiere dei prezzi e una serie di agevolazioni per evitare che lo stadio diventi un luogo d’élite. La risoluzione impegna anche il governo a attivarsi con l’autorità di settore affinché convochi un tavolo tecnico con gli operatori della comunicazione per trovare possibili soluzioni che permettano l’accesso alla visione degli eventi anche alle persone meno abbienti.Onorevole Amorese, a proposito di sport popolare, cosa pensa della Superlega?«Parliamo intanto di un progetto al momento non praticabile, non realizzabile. C’è però una sentenza che certifica come non debba esistere un monopolio e questo porta inevitabilmente a degli stimoli a tutto il sistema calcio, Lega Serie A in primis, per rinnovarsi e trovare soluzioni adeguate a risollevarlo da una crisi debitoria, di risultati ma direi anche di vicinanza culturale e umana con i tifosi che scema anno dopo anno. Difendo i campionati nazionali (dove segnalo però che lo sbilanciamento è ormai assodato) ma dobbiamo lavorare a una ristrutturazione della quale devono beneficiare i tifosi, gli utenti, quindi i cittadini, da non trattare come clienti. Davanti ad un calcio che ha un’autonomia organizzativa e di rappresentanza ci sono però delle normative nazionali che sono quantomeno obsolete e possiamo ragionare in armonia per una ristrutturazione globale, Figc e politica. Dobbiamo parlare dei vivai e delle scuole calcio. Quindi l’approccio (e le sparate), per esempio, di Cairo vanno rimandate al mittente, la nostra priorità è aiutare prima i più fragili (anche nello sport) soprattutto nelle condizioni economiche finanziarie in cui lo Stato italiano si trova».Già, un attacco forte quello del presidente Cairo, che ha accusato il governo di voler affossare il calcio italiano con riferimento particolare al decreto crescita…«Beh ci sono ovviamente risvolti anche politici. Ha risposto benissimo il nostro senatore Marcheschi, responsabile del dipartimento Sport di Fratelli d’Italia: si chiede l’autonomia ma contemporaneamente si invoca l’aiuto della politica. Dire che questo governo vuole far fallire il calcio è surreale, c’è una sensibilità semmai verso un settore che genera entrate per lo Stato e sta a cuore a milioni di tifosi. La lesa maestà è stata quella di sospendere i benefici previsti per le squadre di calcio per l’acquisto di calciatori stranieri: scelta che rivendichiamo. Ma in un settore dove girano enormi interessi e altrettante risorse, come mai buona parte delle squadre di serie A generano solo debiti e non profitti? Quindi andando oltre gli alibi e la colpa data ai governi di turno, è evidente come le società non siano riuscite a sfruttare bene quelle norme approvate negli anni da una politica fin troppo consenziente».Il patrimonio rappresentato dalle cosiddette serie minori è spesso sottovalutato, eppure è la linfa dell’intero movimento, non crede?«Il territorio e le comunità, con i settori giovanili e le famiglie, devono essere valorizzate, la Serie C è il bacino storico del calcio italiano (cito Riva o Baggio solo per fare esempi calzanti), non esiste solo la Serie A. La Lega Pro cresce anche come pubblico, mi sembra indicativo... È più vicina alla gente normale, i giocatori tendenzialmente sono meno divi e più umani. Poi la Serie C viene descritta, giustamente, come la categoria dei campanili, mi fa piacere ed è un dato da rafforzare, ma cosa c’entrano le squadre secondarie o under 23 o next gen? Tolgono un posto ad un campanile, ad un territorio, ad una provincia. Lo so, sono troppo romantico, ma per esempio Matteo Marani è d’accordo con me su questo ed altro, ed io sono d’accordo con lui».La situazione degli stadi italiani? «Sono entrato in centinaia di stadi, tutti hanno una propria identità, una propria storia, dai più funzionali ai più oggettivamente “brutti”. Oggi contesto la tendenza a costruire strutture come cattedrali nel deserto, lontane da ogni tipo di umanità, irraggiungibili. Anche qui ci vengono incontro dall’Inghilterra ma non solo, perché a parte rari casi gli stadi vengono recuperati o ricostruiti quasi sempre dentro il tessuto cittadino o di quartiere. Si tratta anche di creare un indotto dentro e fuori i campi; sono strutture e zone che così vivono di più per tutta la settimana, con musei, merchandising, ecc. Non è complicato, è mediamente ambizioso ma fattibile».Si parla tanto di modello inglese...«Se ne parla a targhe alterne e spesso a sproposito, quantomeno senza conoscerne tutte le sfaccettature. Faccio degli esempi: su tempi e orari delle partite c’è molta più programmazione, più serietà e chiarezza, molti mesi prima. Il contrario dell’Italia, dove il tutto non è a misura di tifoso ma esclusivamente di altre logiche. Le squadre meno blasonate vedono una redistribuzione degli introiti dai diritti più giusta permettendo a società genericamente meno forti di “acquistare” giocatori comunque forti e di aumentare la potenziale competizione, anche in premiership. Attualmente questo in Italia è improbabile ma altrettanto auspicabile. Aggiungerei che non tutto è in diretta tv, così per dire».A proposito dei tifosi, lei se ne occupa da sempre. Come valuta la situazione attuale delle tifoserie italiane? Quali sono gli ostacoli a una partecipazione più popolare? «Tra le varie cose è passata una mia risoluzione affinché si arrivi ad un tetto di costo del biglietto per quelli che una volta venivano chiamati settori popolari (anche per i tifosi ospiti) e che adesso, in molte partite, sono un sacrificio economico assurdo. Siamo quindi in un’epoca spartiacque: o il calcio ritrova l’anima (quella dello spot natalizio dell’Atletico Madrid) oppure la deriva porterà ad un progressivo disinteresse, anche dei più giovani. Aggiungo che spesso leggo decisioni dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive che sono illogiche, a volte in partite senza alcun problema di ordine pubblico, con limitazioni sui biglietti che possono essere superate con il buon senso. Ritrovare una politica più vicina ai tifosi serve a tutti».Torniamo all’attualità: cosa mi dice sul tema scommesse?«Partendo dal presupposto che meglio le scommesse legali e quindi il betting come argine contro il gioco illecito, è chiaro che si genera un valore immenso e questo valore deve essere a disposizione dello sport sociale: destinando risorse per progetti nei settori sportivi giovanili, nelle attività paraolimpiche, nell’abolizione delle barriere architettoniche, ecc. Su questo tema c’è anche una intesa tra noi ed i gruppi di minoranza. Il tema della ludopatia è attualissimo e va affrontato seriamente. Anche su questo sottolineo il lavoro del mio collega Marco Perissa, anch’egli in Commissione Cultura».Aumentano i prezzi per la visione in streaming delle partite: secondo lei perché gli operatori preferiscono meno abbonati a prezzi più alti e non più abbonati a prezzi più accessibili?«Probabilmente per problemi di qualità di un servizio che è oggettivamente da migliorare, aggiungo però che siamo davanti ad una posizione di fatto monopolista e quindi possono in realtà avere l’uno e l’altro, in attesa anche dei correttivi della prossima stagione calcistica».A che punto siamo con la riforma del lavoro sportivo? «Una riforma necessaria che afferma la dignità degli operatori sportivi. Essendo una riforma epocale ha bisogno di un rodaggio che dovrà essere monitorato dall’osservatorio interministeriale sulla sua applicazione. Come Fdi pensiamo che un messaggio importante sarebbe quello di un fondo di non meno di 70 milioni l’anno che accompagni le società più piccole negli oneri tributari e finanziari che derivano dalla riforma. Il ministro Abodi ha gestito e seguirà tutto questo con il consueto equilibrio».