
Da oggi al 18 aprile, di scena a Verona l'appuntamento imperdibile per gli appassionati di enologia. Festa grande per il mezzo secolo dell'etichetta di Bolgheri che ha cambiato i destini dei calici nazionali.Pronti si stappa. Come da 52 anni, passata la Pasqua, si torna a Verona, per il Vinitaly, a celebrare uno dei (pochi) vanti rimasti all'economia nazionale. L'Italia leader nella produzione, assai vicina per qualità alla Francia con la quale intratteniamo un derby sui volumi d'export perché sui fatturati – purtroppo – ancora non c'è corsa, si specchia nei padiglioni della fiera che da domani al 18 aprile sarà il centro del mondo del vino. Ma l'Italia quest'anno a Verona tenta anche un vaticino guardando nei fondi delle bottiglie. Tra gli stand – 4300 aziende da 25 Paesi, solita ressa di visitatori, ogni edizione è record – si aggireranno Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Entrambi – sia pure con credenziali diverse – hanno nel vino un serbatoio di consensi: Salvini perché il Veneto è casa sua e perché l'agricoltura e la difesa del made in Italy sono da sempre priorità della Lega, Di Maio perché qui è pieno di gente che chiede una svolta. C'è un'antica tecnica per migliorare la qualità dei vini: si chiama «governo» (alla toscana). Dirà Vinitaly se questo vale anche per il Paese (un governo all'italiana!) e cioè se si sigla tra Lega e M5s il patto del fiasco o se invece ci sarà il fiasco del patto. Quest'anno, però, il festival dei filari potrebbe, se ne avesse, la capacità celebrare la storia dei successi del vino italiano. Partendo dal mezzo secolo di quell'etichetta che ha cambiato i destini delle bottiglie italiane sui mercati del mondo. Si chiama Sassicaia, si fa a Bolgheri, lì dove corrono i cipressi alti e stretti in duplice filar di carducciana memoria, e Mario Incisa (della Rocchetta) lo presentò a Bordeaux con le insegne della tenuta San Guido che sono le stesse del figlio del vento, Ribot, il cavallo che tutto il mondo invidiava all'Italia, dopo che l'enologo che gli avevano prestato gli Antinori lo aveva messo a posto. I francesi rimasero a bocca aperta. Per la prima volta un blend bordolese (cabernet sauvignon, cabernet franc e nel caso del Sassicaia un altro vitigno che viene dal mare) non prodotto in Francia era migliore dei grand cru classes. Quell'enologo si chiamava Giacomo Tachis. Emile Peyneaud - il guru del vino francese - lo aveva eletto a suo erede e Giacomo, col Sassicaia, ma anche e prima con il Tignanello e il Solaia di Antinori e poi con una serie infinita di vini dal Terre Brune di Antonello Pilloni di Santadi al Turriga di Argiolas, dal San Leonardo di Carlo Guerrieri Gonzaga al Solengo di Argiano, dal Pelago di Umani Ronchi fino alla Ab vinea doni di Casale Falchini, ha cambiato il vino italiano: introducendo l'uso della barrique, studiando l'infinitamente piccolo dei lieviti, obbligando i produttori a fare la malolattica (è una fermentazione ulteriore). Ha fatto col vino ciò che Marsilio Ficino nel 1400 aveva prodotto con la filosofia: ha firmato il Rinascimento. Il Sassicaia esordì nel 1968 e questo Vinitaly sarà pieno di cinquantenari: lo celebrano il più famoso dei bianchi italiani, il marchigiano Verdicchio dei Castelli di Jesi, lo celebrano il Rosso Piceno e il Montepulciano d'Abruzzo, lo celebrano in Valpolicella. Mezzo secolo fa il vino italiano scopriva la Doc. Di questa storia c'è poca traccia nel corpaccione del Vinitaly che però i fili dell'evoluzione qualitativa li annoda assegnando il premio internazionale «Vinitaly Tasting» a una cantina che è testimone dell'evoluzione nel tempo: l'umbra Arnaldo Caprai. Marco Caprai – che è premiato insieme a un colosso del vino mondiale come l'americana Gallo - è lo snodo del vino italiano: ha affermato nel mondo il Sagrantino, vitigno affascinante per quanto difficile, ha portato tecnica e scienza in vigna, ha segnato il legame profondo tra qualità dei territori facendo di Montefalco una case history e qualità dei vini. E oggi esplora con la sostenibilità in vigna il nuovo orizzonte: il vino buono da bere, buono da pensare, buono per l'ambiente. Che significa andare oltre il biologico, che è pure la nouvelle vague del Vinitaly, dove tutti si dichiarano produttori di vini biologici. In realtà la sostenibilità è molto d'altro: è dare all'agricoltura un ruolo da protagonista nello sviluppo. Lo scopriremo tra i padiglioni di Verona, dove anche si misurano le nuove tendenze. Che sono vini bio, ma anche vini spumanti. L'Italia guida il boom delle bollicine (più 240% di consumo in dieci anni, oltre 360 milioni di bottiglie italiane vendute nel mondo ) per l'effetto prosecco contendendo in quantità i primati francesi (non i valore, non ancora in qualità). Sugli spumanti di altissima gamma territori come la Franciacorta di cui è presidente Vittorio Moretti che con Bellavista ha conteso agli champagne i primati qualitativi, sono un'avanguardia sui quali l'Italia può finalmente costruire il valore dei suoi vini. A Verona si scoprirà anche che il mercato del vino ridisegna la geografia dei consumi seguendo il nuovo profilo del benessere economico: tiene il mercato Usa, flette l'Europa, ma la nuova frontiera è in estremo Oriente. La Cina che cresce del 40% l'anno nei consumi resta però per noi italiani un rebus nonostante i passati roboanti annunci renziani di alleanze strategiche con il colosso del trading on line Alibaba. Si capisce così che non è tutto oro perché all'orizzonte c'è la nuova Pac, perché manca un vero sistema Paese, perché la politica agricola sarà assente dalla fiera. Maurizio Martina – ministro in freezer – forse verrà, ma pare avere altri problemi: evitare che il Partito democratico diventi aceto!
Matteo Ricci (Ansa)
Gli inquirenti puntano il faro sugli eventi conviviali del candidato dem alla Regione Marche durante il tour per il libro. I contratti, a spese del Comune di Pesaro, alla società che lavora per il Pd nazionale.
(Getty Images)
A novembre alla Cop11 di Ginevra, la Commissione vuol introdurre il voto a maggioranza qualificata per scavalcare i singoli Stati e far passare la sua linea su temi delicati come tabacco, salute e alimentazione. C’era stato un tentativo a Panama, il blitz era fallito.