2022-06-30
Decreti sicurezza aboliti: sono liberi i nigeriani che han picchiato i vigili
(Roberta Basile/KONTROLAB/LightRocket via Getty Images)
I vigili urbani di Napoli erano stati malmenati da un centinaio di nigeriani inferociti a causa della loro azione di controllo. Il giudice non ha punito nessuno, optando per la denuncia a piede libero. Così si alimenta il senso d’impunità degli immigrati. Cronaca di una sconfitta. Neppure la divisa, neppure la giustizia fermano la «gang dei nigeriani» in quello spicchio di Napoli che dovrebbe essere una porta d’ingresso della città e invece è territorio dominato dall’illegalità. Sabato notte in piazza Garibaldi, davanti alla stazione Centrale, una scena di ordinario delirio etnico: cinque vigili urbani intenti a controllare l’attività illegale di una donna in un mercatino abusivo vengono aggrediti da un centinaio di extracomunitari che li circondano, li minacciano, li bersagliano con ogni oggetto a disposizione (perfino cucchiai da minestrone), poi scappano nel rione Vasto. La donna lancia acqua bollente contro gli agenti, viene bloccata, identificata, fotosegnalata mentre tutti e cinque sono costretti a farsi medicare in ospedale. «Denuncia a piede libero», è la decisione del magistrato di turno. Immediatamente restituita alla piazza fra i complici nigeriani che la acclamano. E un senso di impunità che ormai diventa granitico, non scalfibile. La guerriglia senza colpevoli ha una conseguenza immediata, le forze dell’ordine alzano bandiera bianca. Il bilancio della vicenda è demotivante, fa cascare le braccia e in questi giorni sulle chat dei vigili i commenti sono di preoccupazione e scoramento. «Tutti contro di noi e nessuno in manette. Vale la pena ancora esporci in questa maniera?». La domanda è retorica, l’assenza di ogni garanzia è sconfortante. Si voltano e non trovano più lo Stato. Allora tirano le somme e scoprono che il totale è in rosso: «Tre auto inservibili, tre agenti della San Lorenzo e due di Avvocata sono andati a farsi refertare», come riporta Il Mattino in un articolo dettagliato.Cronaca di una resa. La conquista del territorio è conclusa, nello storico rione Vasto neppure la polizia entra più. C’è chi parla di «favela» proprio a due passi dalla stazione frequentata da migliaia di turisti, pendolari, lavoratori. È un deficit di legalità che pagano tutti proprio dove Napoli sembra divisa in due, dentro la splendida piazza dalle molte facce disegnata dall’archistar Dominique Perrault. Da una parte ristoranti e alberghi, dall’altra un angolo di Gotham City dove ogni illegalità è permessa: prostituzione, spaccio, violenza, abusi, penombre sociali che si allungano fra i vicoli abitati da un’umanità di frontiera, quella tra il dolore e il crimine.Proprio qui il sindaco Gaetano Manfredi aveva deciso di creare un presidio per dare il segnale fisico della presenza delle istituzioni. «La sicurezza non riguarda solo i turisti ma soprattutto i napoletani», aveva sottolineato. «A Napoli c’è un’arretratezza sulla videosorveglianza, ci vogliono investimenti per milioni, stiamo premendo su prefettura e governo». Significa ministero dell’Interno, significa Luciana Lamorgese, la ministra a parole, così selettiva da scegliere quando mandare i reparti speciali con gli idranti (manifestazioni contro il Green pass) e quando far finta di niente. Così in un sabato notte d’inizio estate è saltato tutto: vigili cacciati dopo una rivolta spontanea, definitiva. Della serie «jatevenne», come usavano fare i famigliari dei clan camorristi nei confronti dei poliziotti che andavano ad arrestarli. Non ci sono feriti gravi, tranne il senso dello Stato. Ed è per questo che il caso non va sottovalutato; somiglia troppo ad altre realtà meno narrate, protette dal marketing politico. Come quella della stazione Centrale a Milano, davanti al Pirellone pensato da Giò Ponti «per dare il benvenuto al mattino a chi viene a lavorare nella metropoli». Anche lì, quando cala la sera, domina la legge della giungla. E quando il questore decise di ripulire la zona si trovò contro anche il sindaco Giuseppe Sala, in nome di un’inclusività ipocrita, di una resilienza che lascia sul terreno solo sconfitti. Tornando a Napoli, il rione Vasto è abitato anche da italiani. Li chiamano superstiti. Una volta era il classico quartiere povero ma bello, negozi e dignità, «mille voci e mille colori» come avrebbe cantato Pino Daniele. Era la Broadway napoletana, dove il baluginare del mare si poteva solo percepire dalle lame di luce. Ora coloro che non se ne sono andati vivono un’angosciata resistenza civile fra l’impossibilità di scappare e la paura di essere aggrediti. E devono fare lo slalom fra rifiuti, materassi, baracche in pieno centro. Il comitato di quartiere ha provato mille volte a sollecitare un recupero di legalità. Invano. Contano di più l’immagine e la narrazione stanca dell’accoglienza sorridente che l’ammissione di una sconfitta di tutti con annesso bagno di realismo.Ci voleva il presidio assaltato, schernito, cacciato a pedate per svegliare chi dovrebbe garantire il minimo sindacale di legalità. «Ora assumeremo altri 250 vigili», ha tuonato Manfredi. Lo disse anche Sala a Milano dopo l’assalto delle baby gang in piazza Duomo a Capodanno. Soluzioni numeriche, senz’anima. In definitiva si tratta solo di qualche divisa in più destinata a diventare bersaglio della microcriminalità organizzata. La stessa che davanti a un giudice - codice penale alla mano - diventa impunita.
Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa podcast del 12 settembre con Carlo Cambi
iStock
Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
Continua a leggereRiduci