2021-08-27
Sull’Afghanistan aleggia la guerra civile come in Siria. Russia ago della bilancia
Sergej Lavrov (Getty Images)
Il Paese rischia di essere dilaniato dalle fazioni mentre la Cina espande il suo dominio. Uno scenario che Mosca non può tollerare. Oggi Sergej Lavrov incontra Mario Draghi e Luigi Di Maio.William Burns è capo della Cia dallo scorso 19 marzo. Lunedì è volato a Kabul per incontrare la sua controparte afgana, Abdul Ghani Baradar, storico braccio destro del mullah Omar. I due si erano già incrociati undici anni fa. All'epoca Baradar stava in Pakistan. Dalla Cia ricevette un paio di manette che si è dovuto tenere ai polsi fino al 2018. Liberato, ricompare a Doha come negoziatore e nel novembre scorso è in prima fila per le foto di rito al fianco di Mike Pompeo, il segretario di Stato ai tempi di Donald Trump. Insomma, la carriera di Baradar in meno di tre anni ha fatto passi da gigante e così all'incontro di lunedì si è presentato come mediatore per la gestione logistica dell'evacuazione. Non si sarebbero detti altro, fanno trapelare le fonti vicine alla Cia sui giornali Usa. Se così fosse, la partita è decisamente sbilanciata. Gli Usa avrebbero abbandonato il Paese in tre settimane invece che in tre mesi, lasciando indietro almeno 250.000 persone (è il numero di coloro che hanno collaborato indirettamente con gli eserciti o con le Ong, secondo l'università americana di Kabul) e una enorme fetta di armamenti subito passati dalle mani dell'Ana (l'esercito governativo) a quelle dei talebani. In pratica un mix che lascia accese tutte le fiamme attorno alla polveriera. Non ci riferiamo soltanto all'attento preannunciato e realizzato ieri alle porte dello scalo cittadino, ma anche allo scenario di breve e medio termine. È sempre più probabile che l'area cada in una ragnatela non troppo diversa da quella che da anni sta destabilizzando la Siria. I talebani, come già più volte è stato scritto, sono tra loro divisi. Per non parlare della zona a Nord di Bagram, il Panshir, vicina ad Ahmad Massoud, deciso a combattere contro i talebani. La guerra civile potrebbe acuire le divisioni con il risultato di non sapere mai chi davvero comandi a Kabul. Non solo. Gli Usa hanno dato il loro assenso a esportare e commerciare materie prime verso la Cina. Di per sé la notizia potrebbe nascondere un dettaglio non da poco. Parte dei talebani potrebbe ufficialmente aprire relazioni diplomatiche stabili con la Cina, ma dall'altra parte avviare una progressiva destabilizzazione della regione cinese dello Xinjiang dove risiedono gli uiguri. E dalla quale Kabul è separata da una strettissima valle. Un discorso simile vale per l'Iran. Detto in parole povere, agli Usa potrebbe fare comodo uno scenario siriano perché i talebani diventerebbero parte dell'ingranaggio della Via della seta, ma allo stesso tempo granelli di sabbia dentro il motore di Pechino. Ovviamente, la Cina la pensa allo stesso modo anche se all'opposto. Pechino immagina di garantirsi con i pagamenti l'appoggio di Kabul per concentrarsi dal punto di vista bellico soltanto nel Mar cinese meridionale. Chi avrà ragione? Non è dato saperlo. Innanzitutto i talebani sono altamente inaffidabili e poi le cose quando possono vanno storte. Basti pensare ai margini di errore della Casa Bianca nelle ultime tre settimane. Su tutto incombe una ulteriore variabile, che si chiama Russia. Possiamo essere certi che Mosca non veda di buon occhio né il modello siriano, né la previsione cinese. Nel primo caso rischierebbe un fronte troppo vicino e nel secondo un predominio cinese sarebbe troppo invasivo nei confronti del mercato geopolitico dell'energia e dei relativi rapporti con l'Europa. Per questo motivo, gli incontri previsti oggi a Roma tra il ministro Sergei Lavrov, il nostro titolare degli Esteri, Luigi Di Maio, e il premier Mario Draghi sono più che mai importanti.Vladimir Putin rischia di diventare un ago della bilancia per evitare gli scenari estremi e ciò sarebbe un vantaggio per il Vecchio Continente e pure per l'Italia. Anni di guerra come in Siria aggiungerebbero ai flussi migratori un turbo non da poco. E un conto è accogliere chi ha lavorato per la Nato e chi si è esposto agli occhi dei talebani, un altro è immaginare un fronte come la Libia che finirebbe con l'impattare su Turchia e Balcani. Non è questione di accoglienza come piace pensare alle anime belle, ma di stabilità mondiale. I profughi e gli immigrati sono e possono essere armi di destabilizzazione politica. Inoltre c'è un aspetto molto più vicino al nostro futuro ruolo in Medio Oriente. Da dicembre la Difesa italiana prenderà il comando della missione in Iraq con l'obiettivo di evitare un nuovo califfato dell'Isis. Era già rischioso prima. Adesso lo sarà molto più. In caso di frammentazione del territorio afghano ancora peggio. Senza tenere conto che i nostri militari stanno sbarcando nel Sahel e pure in Mozambico dove le succursali di Al Qaeda si sentono a loro agio. Ieri nel tardo pomeriggio Di Maio ha rilasciato all'agenzia russa Tass alcune dichiarazioni distensive. Ha ricordato quanto la Russia sia importante nell'affrontare le sfide globali e come i rapporti con Roma siano buoni e possano pure migliorare. Forse il riferimento è ai due diplomatici espulsi dal Paese per aver corrotto un capitano di vascello. Le cose cambiano e adesso per Draghi il G20 è più importante del G7 che si è appena tenuto con somma delusione di tutti i partner Nato europei. Ora che Angela Merkel è sull'uscio, se Roma vuole in qualche modo subentrare dovrà giocare una partita atlantista più complessa. Anche questo gioco di sponda passerà da Mosca e da Israele che in tema di equilibrio anti Isis e di bilanciamento al potere cinese agisce in gran silenzio ma con attività estremamente mirate.