2019-05-27
Addio contante? Attenti alla grande truffa
Chiedono all'Italia di rinunciare al cash, che in realtà viene usato in abbondanza in tutti i Paesi europei, compresa la Germania. La Deutsche Bank: «Abolire le banconote non eliminerà certo il crimine». In compenso ci guadagneranno i colossi della finanza.Il blogger Il Pedante: «È preoccupante che istituzioni sovranazionali insistano per obbligarci a ridurre il denaro circolante. Vogliono controllare la nostra vita, bisogna reagire».Lo speciale contiene due articoli. Gli antichi solevano ripetere che pecunia non olet, ma per molti a quanto pare il contante puzza, eccome. Nell'ultimo decennio organizzazioni, aziende del settore e persino istituzioni governative hanno dichiarato guerra al cash, la moneta frusciante che tanto ci piace tenere in tasca e, a volte, conservare sotto al materasso. Ma perché, viene spontaneo chiedersi, il contante è stato preso di mira al punto da auspicarne la totale sostituzione in favore della valuta digitale? La ragione principale dell'aggressione alle banconote risiede nel dogma secondo cui i «liquidi» rappresentano il carburante per crimini assai gravi come il riciclaggio di denaro e l'evasione fiscale. Per questo, capita che il nostro Paese sia additato per una certa ritrosia nei confronti di strumenti di pagamento digitale come bancomat e carte di credito. L'equazione dei detrattori è molto semplice: poiché gli italiani sono intrinsecamente disonesti, preferiscono optare per il contante che permette loro di frodare il fisco e foraggiare l'economia sommersa. Ma è proprio così? Innanzitutto sfatiamo un mito: l'Italia è ben lungi dal poter essere considerata «terzo mondo» nell'utilizzo del contante. Stando ai dati, diffusi dalla Bce, sul numero di transazioni effettuate in contanti, è vero che l'Italia sfodera un ragguardevole 86%, ma davanti a noi troviamo Malta (92%), Grecia (88%) e Spagna (87%), mentre poco dietro si posizionano Austria (85%), Portogallo (81%), Slovenia e Germania (proprio lei, all'80%), Slovacchia (78%). Considerando invece il volume delle transazioni, il primo gradino del podio se lo aggiudica la Grecia (75%), seguita da Italia e Slovenia (68%), Austria (67%), Slovacchia (66%), Lituania (62%) e, udite udite, la Germania (ancora lei, al 55%). Molto più performanti i Paesi del nord, anche se nel migliore dei casi (Paesi Bassi al 45% ed Estonia al 48%) ci si avvicina appena a una transazione su due con sistemi di pagamento cashless. Tra gli abitanti dell'eurozona, i tedeschi sono quelli che amano portarsi dietro maggiori quantità di denaro liquido: in media 103 euro, il triplo dei francesi, il doppio degli spagnoli e un terzo in più rispetto agli italiani. Berlino, inoltre, è al quarto posto in Europa, dopo Cipro, Lussemburgo e Austria, per valore medio delle transazioni in contante (poco meno di 17 euro contro i quasi 14 dell'Italia). La metà delle banconote in uso nel 2016 (pari a 1.100 miliardi di euro) erano state stampate in Germania, ed è proprio grazie a questo Paese se anno dopo anno la quantità di biglietti circolanti è in costante aumento. Quella che alcuni media definiscono «ossessione» è in realtà un problema molto sentito dai tedeschi, per i quali il cash è sinonimo di libertà, privacy e riservatezza. Viceversa, limitarne l'uso è considerato un tabù in quanto durante il nazismo furono numerosi i paletti introdotti in questa direzione. Basti pensare che una proposta di legge del 2016 per fissare a 5.000 euro il limite per le transazioni in contanti (la normalità qui in Italia) ha ricevuto feroci critiche dal mondo dei media e della politica. La strenua resistenza della Germania all'ideologia cashless dovrebbe far riflettere anche dalle nostre parti, dove Berlino viene da molti considerata baluardo di rigore e virtù. Ma a differenza dei tedeschi gli italiani, si dirà, sono un popolo di corrotti e perciò è giusto togliere loro (o quantomeno limitare fortemente) l'accesso al contante. La vicenda a questo punto diventa meno chiara di quanto il pensiero mainstream vorrebbe farci credere. Uno studio del 2016 elaborato dalla divisione Ricerche della Deutsche Bank smonta punto per punto i miti legati alla relazione tra cash e aumento del crimine. Prima di tutto, gli autori evidenziano che «un'alta percentuale di pagamenti in contanti non coincide necessariamente con l'esistenza di una forte economia sommersa». Vengono citati gli esempi della Germania e dell'Austria (tanto contante, poco sommerso), della Svezia (poco contante, discreto sommerso) e dell'Italia, della Spagna e della Grecia (tanto contante, tanto sommerso». Situazioni che combinate tra loro dimostrano la «scarsa correlazione» tra cash e shadow economy. Secondo, se è vero che il crimine organizzato fa largo uso del contante a livello internazionale, è poco chiaro se le misure per limitarne l'utilizzo possano portare a un declino significativo delle attività illecite. In definitiva, ammettono i ricercatori di Deutsche Bank, «abolire il contante non eliminerà di certo il crimine». Una verità confermata persino dalla Banca centrale europea. Durante un discorso tenuto a Londra a febbraio del 2018, il membro del board Yves Mersch ha spiegato che «non esistono prove che eliminare il contante fermerà il crimine. Anzi, il deposito e i trasferimenti digitali potrebbero addirittura rendere la vita più facile ai criminali». Per contro, emerge con forza il tema collegato alle libertà individuali. Sempre lo stesso Mersch, in un altro discorso tenuto a Francoforte nello stesso periodo, ha affermato che il contante «garantisce la privacy e di conseguenza salvaguardia alcuni diritti fondamentali» quali «la libertà d'azione e di parola». Non solo, aggiunge Mersch, «la facilità di accesso al contante, specialmente per i più anziani, gli individui socialmente vulnerabili e i minori, consente una maggiore inclusione sociale», dal momento che vengono completamente bypassate le barriere per l'accesso agli strumenti bancari. Un discorso che i promotori della società cashless non vi faranno mai. Forse perché dietro alle grandi campagne di advocacy per sensibilizzare l'opinione pubblica agli strumenti di pagamento digitale ci sono, guarda caso, i colossi del settore. Come per esempio la Better than cash alliance, un potentissimo consorzio finanziato tra gli altri da Citigroup (tra i dieci maggiori gruppi bancari per capitalizzazione), Mastercard e Visa. Queste due, insieme a Nexi e Paypal, le ritroviamo anche nella community Cashless society, messa in piedi da Ambrosetti (quelli del forum di Cernobbio). Tutti soggetti che dall'estinzione del contante non hanno altro che da guadagnarci. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/addio-contante-attenti-alla-grande-truffa-2638194513.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="attenzione-la-moneta-elettronica-minaccia-i-diritti-delle-persone" data-post-id="2638194513" data-published-at="1757958648" data-use-pagination="False"> «Attenzione: la moneta elettronica minaccia i diritti delle persone» Abbiamo parlato con Il Pedante, autore del blog www.denarolibero.org, che ha collaborato all'iniziativa italiana che promuove il dibattito intorno al tema della lotta al contante. Cosa vi prefiggete di ottenere con Denaro libero? «Denaro libero è un blog e un videoblog nato per dare voce a un movimento di opinione che vede nella imposizione forsennata di strumenti digitali in ogni campo, e in particolare in quello della moneta, una minaccia ai diritti delle persone e un ingiustificato strumento di arricchimento e potere di pochi. Lo scopo è quello di sensibilizzare il pubblico sui rischi di dover cedere la gestione del proprio denaro ad altri, e su quanto siano pretestuosi gli appelli di chi vuole rendere tutto ciò obbligatorio». Quali sono le attività che avete realizzato e avete in programma di realizzare? «L'iniziativa è appena nata, in questa fase ci interessa soprattutto diffonderla e arricchirla di contenuti. In futuro potrà sfociare in progetti multimediali, gadget, pubblicazioni, incontri col pubblico e altro. Molto dipenderà anche da ciò che accadrà a livello governativo». Siete in contatto con altre entità simili che promuovono il diritto di utilizzare il contante? «Il tema purtroppo è poco affrontato. Siamo in contatto con blogger e autori già impegnati da tempo su questo fronte, con cui collaboriamo. In futuro ci piacerebbe coinvolgere ricercatori e realtà all'estero per creare una rete, perché il fenomeno è globale». Perché l'utilizzo del cash è demonizzato? Quali sono le vere intenzioni delle istituzioni che promuovono la diffusione dei pagamenti digitali? «Che una riduzione del denaro fisico circolante sia auspicata dai colossi della moneta elettronica, è normale. Preoccupa invece quando diventa una battaglia dei politici e delle istituzioni sovranazionali». Perché lo fanno? «Noi temiamo che la demonizzazione del contante sia parte di una tendenza più ampia, a ridurre la libertà dei cittadini in ogni campo perché ne farebbero un cattivo uso: per evadere le tasse, commettere reati, creare economie sommerse e parallele, eccetera. Per chi governa, è forte la tentazione di controllare e colpire con più facilità i cittadini, ma si tratta di una scorciatoia pericolosa perché crea l'illusione che fiducia e consenso non li si debba guadagnare con il buon governo. C'è poi il problema - previsto da molti, certamente voluto da qualcuno - che in questo modo non si sopprimono affatto i comportamenti illeciti, ma li si riserva ai più forti e ai più potenti, creando monopoli criminali ancora più inattaccabili». Quali sono a vostro avviso i maggiori rischi in materia di libertà individuali? «Oggi, più che in ogni altra epoca, con il denaro si fa tutto e tutto si scambia e si misura. I rischi sono perciò di due ordini. Il primo è che, in una società cashless, le tracce lasciate dalle transazioni elettroniche rivelerebbero la nostra vita in tutti i suoi segreti. Non è solo una questione di privacy. Qualcuno sta già pensando, ad esempio, di usare queste informazioni per limitare l'assistenza sanitaria a chi acquista troppi alimenti poco sani o fuma troppo o compra troppi farmaci». Il secondo ordine di rischio? «Quello che deriva dal fatto che chi governa l'infrastruttura tecnologica della moneta elettronica ha le chiavi per indirizzare, limitare o addirittura sopprimere la nostra capacità di spesa, per i più vari e anche arbitrari motivi». E come farebbe? «Può ad esempio decidere che dobbiamo consumare certi prodotti e non altri (magari “per il nostro bene") oppure impedirci di spendere e ricevere soldi a causa del nostro credo politico, come un'associazione umanitaria ha recentemente chiesto di fare a Mastercard per boicottare alcune formazioni di destra americane o, ancora, come è accaduto in passato a Wikileaks. Sono rischi già reali, francamente distopici, contro i quali è urgente difendersi».
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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