2021-03-03
Addio a Cocco dj, intellettuale della consolle
Claudio Coccoluto (Facebook/iStock)
Se n'è andato a 59 anni Claudio Coccoluto, il re della «dance» italiana. Snobbato dai critici di establishment perché poco «politico», ha riempito le piste di mezzo mondo e fatto ballare svariate generazioni. Creò da solo una filiera per la nostra industria musicale.Non è facile spiegare l'importanza di una figura come Claudio Coccoluto, a chi non ha mai frequentato un club o una discoteca. Ma ne vale la pena, perché la morte di quello che è unanimemente considerato il più grande dj italiano di tutti i tempi, è l'occasione per raccontare una vicenda straordinaria legata alla musica dance, una delle eccellenze italiane più misconosciute ma allo stesso più brillanti e moderne. E allo stesso tempo così lontana dagli stereotipi in cui il resto del mondo ha voluto relegare, talvolta per pigrizia e spesso per malizia, il nostro Paese. Coccoluto è scomparso a 59 anni nella sua casa di Cassino, nel Lazio meridionale (terra di cui era originario), a causa di un male contro cui stava lottando da un anno e in circostanze rese ancora più meste dalla pandemia, che ha interrotto ogni spettacolo dal vivo, privando verosimilmente il pubblico delle sue ultime performance alla consolle. Quando la triste notizia ha cominciato a diffondersi, non è un caso che la definizione più appropriata per Coccoluto sia arrivata da Claudio Cecchetto, vale a dire da colui che per primo, in Italia, fece conoscere al pubblico mainstream la figura del disc-jockey, fornendole dignità di artista musicale e imponendone le capacità imprenditoriali e produttive. Per Cecchetto, Coccoluto era «un intellettuale della consolle», uno di quelli che ha trovato nel «mixare» dischi nei club e nelle discoteche di tutto il pianeta lo sfogo a una genialità che esisteva a prescindere e che si sarebbe forse manifestata in qualsiasi ambito si fosse cimentato. Un genio a tutto tondo, dunque, che ha portato alto il nome dell'Italia al pari di altri giganti dell'intrattenimento colto o popolare e che ha messo d'accordo i più anziani e i giovanissimi. Perché, come fanno i più grandi, Coccoluto aveva «studiato»: era cresciuto immerso nei dischi e negli impianti hi-fi nel negozio di famiglia a Gaeta, era stato mosso da un amore sconfinato per tutta la musica, che ne aveva determinato una conoscenza storica e una perizia tecnica impareggiabili. E soprattutto, come i grandi, Coccoluto aveva fatto la gavetta, prima nelle emittenti locali e nei club del suo territorio, per poi spostarsi nella capitale e infine spiccare il volo nel resto del mondo. Nella Roma degli anni Novanta, migliaia di giovani andavano in «pellegrinaggio» nel suo club d'elezione (il Goa) per vederlo all'opera, mentre tirava fuori dal suo cilindro dei brani sconosciuti ai più, mixandoli e creando nuovi suoni, nuovi ritmi e un'energia positiva col pubblico in pista. Questa capacità magica di creare sempre l'atmosfera migliore, gli valse il passaporto per i palcoscenici più prestigiosi del mondo, come il Sound factory bar di New York e il Ministry of sound di Londra. Ma Coccoluto non si limitò alle performance dal vivo, cimentandosi anche nella produzione di altri artisti e nell'incisione di mix, tutti rigorosamente fatti su vinile, per non recidere mai il legame con la «vecchia scuola» della dance italiana, dalla quale rivendicava orgogliosamente la discendenza. Pur nella sua variante più «underground», la storia di Coccoluto si inserisce infatti a pieno titolo nell'onda lunga della produzione italiana Italodisco e Dance, nel solco tracciato dal tre volte premio Oscar Giorgio Moroder (che Carlo Azeglio Ciampi fece in tempo a nominare commendatore). La Italodisco e la Dance italiana degli anni Novanta, il nostro movimento musicale più di successo dopo la musica lirica, un made in Italy meno celebrato del tessile o dell'agroalimentare, ma che come questi settori aveva saputo creare una filiera, un'industria florida per l'economia del Paese, mentre veniva snobbato e privato della dignità musicale da un establishment critico orientato inguaribilmente verso il cantautorato autoreferenziale delle «messe cantate» politicizzate. Che una cosa, invece, non escludesse l'altra, Coccoluto lo ha dimostrato con l'interesse per l'impegno civile e politico, come quando si candidò con la Rosa nel pugno alle elezioni del 2006, e con altre iniziative dettate dal suo spirito critico e libertario al tempo stesso. Il vuoto che lascerà nel panorama culturale italiano è stato adeguatamente sottolineato dalla caratura delle personalità che, nella giornata di ieri, gli hanno reso omaggio, a partire dal ministro della Cultura Dario Franceschini. «Con Claudio Coccoluto», ha scritto Franceschini, «scompare un protagonista della scena creativa italiana e internazionale che con le sue note e la sua musica all'avanguardia ha fatto ballare intere generazioni di ragazzi e ragazze. Un artista che amava la contaminazione delle arti, mancherà a tutti noi». Non è mancato, ovviamente, il tributo del mondo dello spettacolo, con gli artisti che hanno lavorato a più stretto contatto con lui e l'omaggio del Festival di Sanremo, così come non poteva mancare il ringraziamento dei discografici, al cui settore il talento di Coccoluto ha dato uno sviluppo enorme.
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