2022-05-28
Addio di Caltagirone al cda Generali. All’orizzonte la lotta per Mediobanca
Francesco Gaetano Caltagirone (Ansa)
Mossa inaspettata: non sono state fornite motivazioni ufficiali. Potrebbe servire per avere le mani libere su Piazzetta Cuccia. E a favorire le mosse di Delfin.La battaglia di Trieste sembrava ormai consumata nell’assemblea di fine aprile e invece ieri è arrivato l’ennesimo colpo di scena: Francesco Gaetano Caltagirone ha lasciato a sorpresa il cda delle Generali dimettendosi con effetto immediato. Per la seconda volta: la prima era avvenuta lo scorso 13 gennaio, quando da vicepresidente se ne era andato dal vecchio consiglio denunciando in una lettera «l’impossibilità di dare il proprio contributo critico» ed esplicitando la spaccatura tra azionisti. A questo giro le motivazioni non sono state rese note, spiega una nota diffusa dal gruppo assicurativo. Dove si ricorda che l’imprenditore romano detiene il 9,95% del capitale e si aggiunge che il board sarà convocato nei prossimi giorni «per ogni conseguente decisione in merito alla sua sostituzione». Il titolo, che al momento della notizia uscita ieri mattina attorno alle 11 era piatto, ha subito ingranato la retromarcia per poi chiudere la seduta con un calo di quasi 2 punti percentuali. La domanda che si sono subito posti nelle sale operative è: perché dimettersi adesso? Una versione ufficiale, come si è visto dal comunicato del Leone, non c’è. È comunque subito partita una girandola di telefonate dall’entourage dell’editore del Messaggero per far sapere che la partecipazione nelle Generali resta strategica mentre secondo altre fonti a lui vicine la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso sarebbero state le tempistiche con cui ai consiglieri veniva inviato il materiale da visionare sui temi all’ordine del giorno dei cda. Tempistiche giudicate non congrue per poter fare una valutazione approfondita. La domanda, però resta. Quale sarà la prossima mossa di Caltagirone, che non è uomo da colpi di testa istintivi o improvvisati? La strategia potrebbe essere stata determinata dalla volontà di lasciarsi le mani libere, restando comunque azionista. Ma per fare cosa? Nel tentativo di dare una risposta, i riflettori di molti osservatori si spostano verso Mediobanca. Dove si potrebbe giocare, è lo scenario su cui ancora si scommette nella City milanese, il secondo round della battaglia di Trieste che è stata letta anche come il rodaggio di un’alleanza che potrebbe scendere in pressing sulla governance di Piazzetta Cuccia di cui ormai Caltagirone e Leonardo Del Vecchio hanno quasi il 25%. Una sfida assai diversa da quella giocata - e persa - sul campo delle Generali. Prima di tutto perché quello più interessato alle mosse in Piazzetta è sempre sembrato più Del Vecchio che Caltagirone. Il patron di Luxottica, che ha sin qui catalogato l’investimento come finanziario, non ha mai nascosto di puntare al 20%. Per il quale serve però l’autorizzazione della Bce che in caso di grandi manovre chiederà quali obiettivi abbia e con quali mezzi e persone intenda perseguirli, ponendo anche eventuali condizioni. E qualche settimana fa, il quotidiano finanziario Mf ha anticipato le decisioni di Francoforte in relazione alle mosse del gruppo di Del Vecchio e della sua holding Delfin. Replicando quanto accaduto due anni fa, l’azienda dell’occhialeria si sarebbe rivolta alla Banca centrale per chiedere l’autorizzazione per portare le proprie quote dall’attuale 19% abbondante ad almeno il 25. Non a caso nelle scorse settimane Romolo Bardin, ad di Delfin, avrebbe ricevuto un articolato feedback dalla società di consulenza Oliver Wyman. La richiesta sarebbe stata quella di verificare le modifiche da apportare alla holding in caso di salita sopra il 20 e il 25%. Ne conseguirebbe una riorganizzazione drastica con effetti a cascata sul gruppo. Certo, in caso d’Opa, Caltagirone potrebbe comunque muoversi in parallelo con l’obiettivo di portare a casa una assemblea straordinaria prima dell’autunno. Se invece l’investitore romano volesse andare per le vie ordinarie, dovrebbe accettare di diluire nel tempo l’operazione. Non prima dell’ottobre 2023.Vedremo se ora la strategia si farà più aggressiva magari cercando una sponda in altre big del credito (Intesa?) o in un outsider come Francesco Canzonieri che ha lasciato proprio Mediobanca con cui aveva seguito come advisor finanziario l’operazione Intesa-Ubi per fondare la sua boutique di private equity Nextalia di cui sono soci anche la stessa Intesa e Unipol. Di certo, la mossa a sorpresa di Caltagirone avviene a ridosso della riunione del comitato nomine, prevista per lunedì, che avrebbe dovuto sanare con la mediazione del neopresidente Andrea Sironi la spaccatura aperta nelle scorse settimane dopo che la compagnia guidata da Philippe Donnet, nel suo nuovo assetto di governance, aveva scelto di non prevedere un comitato per le operazioni strategiche, considerato cruciale, invece, dal costruttore capitolino per esprimere preventivamente le proprie opinioni sul tema delle acquisizioni. Resta, intanto, da capire chi prenderà il posto lasciato libero in consiglio. Secondo le regole statutarie, il sostituto deve essere scelto dalla seconda lista: il primo nome successivo ai primi tre candidati entrati in cda è quello di Roberta Neri, indipendente, ex ad di Enav, ex direttore finanziario di Acea e dal 2017 al 2020 anche consigliere di Cementir holding, indicata direttamente da Caltagirone. Se la Neri non accettasse l’incarico, il nome successivo in lista è quello di Claudio Costamagna, che l’imprenditore romano aveva candidato come presidente, o magari Luciano Cirinà, sesto nella lista, ed ex manager della compagnia proposto per la poltrona di Donnet.