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2021-12-30
Addio alle balle truccate da scienza. La card non è più una «garanzia»
Ansa
Che tra quarantene e tamponi il governo sia in totale confusione lo dimostra il caos di questi giorni, di cui gli italiani sono vittime, costretti in casa, anche senza sintomi, dopo essere entrati in contatto con un positivo o in fila per ore fuori dalle farmacie per sottoporsi a un test anti Covid per poter lavorare. Ma se ancora ci fosse chi nutre dubbi sulle disastrose strategie della combriccola guidata da Roberto Speranza, la prova più convincente è giunta ieri, con le nuove misure adottate dall’esecutivo di fronte a un’esplosione di contagi. Resisi conto di essere finiti in un vicolo cieco a causa dell’istituzione del green pass e di norme restrittive di discussa efficacia, ministri ed esperti sono stati costretti a fare retromarcia, adottando decisioni che di fatto contraddicono la linea del rigore, ma soprattutto sconfessano mesi di certezze pseudo scientifiche. In pratica, basta tamponi per tutti coloro che sono entrati in contatto con un contagiato, stop alle quarantene se si hanno avuti stretti rapporti con un positivo. A patto però di essere addetti a servizi essenziali e purché si sia vaccinati da meno di quattro mesi, con tripla o doppia dose. Speranza e compagni, ammettono cioè che il certificato verde non serve a nulla ed è una foglia di fico usata per spingere le persone a vaccinarsi, ma non certifica un bel niente, di certo non di essere immuni. Se infatti fosse ciò che ci hanno fatto credere, dicendoci che averlo ci avrebbe garantito di essere «tra persone che non sono contagiate e non si contagiano», oggi non sarebbe necessario introdurre norme che ammettono i rischi per chiunque sia stato nella stanza con un positivo, a prescindere dal passaporto vaccinale. Non solo. Se le cose stessero come ci erano state raccontate, ora non si dovrebbe restringere la possibilità di circolare a chi, dopo il contatto con un contagiato, sia immunizzato da più di quattro mesi. Ma come? Fino all’altroieri il green pass aveva validità di un anno, poi è stato ridotto a 9 mesi e da febbraio si restringerà a 6 mesi e adesso, senza fare un plissé, implicitamente ci dicono che se si è ricevuta l’iniezione anti Covid da più di quattro mesi ci si può contagiare e infettare le persone vicine. Non è finita: la misura più antiscientifica di cui si è parlato riguarderebbe l’esenzione per le persone impiegate nei servizi essenziali, per le quali non varrebbero le regole in vigore per il resto degli italiani. Si tratterebbe - se confermato - di una resa, di una bandiera bianca sventolata di fronte a una situazione sfuggita di mano. Altro che modello Italia. Per non bloccare il Paese, per evitare milioni di persone in quarantena anche se non contagiate e senza sintomi, per scongiurare code interminabili di persone in cerca di un tampone che non si trova, il governo alzerebbe le mani, riconoscendo il fallimento. Se si è impiegati in servizi ritenuti essenziali si può ignorare ciò che è richiesto alle persone comuni? Ma il Covid non colpisce tutti indistintamente? E che senso avrebbe poi porre un limite di quattro mesi, quasi che quello fosse l’argine che protegge dal virus? Conosco personalmente chi, pur essendosi vaccinato con tre dosi, dopo poco più di un mese si è ritrovato positivo. E allora perché adottare una misura che non ha nulla di scientifico? Il nostro Antonio Grizzuti si è preso la briga di calcolare quante persone vaccinate si siano contagiate negli ultimi sei mesi. Si tratta di dati ufficiali, ricavati dalle statistiche diffuse dall’Istituto superiore di sanità. Basta leggerlo per capire che il green pass come certezza di stare tra persone non contagiate e che non contagiano è una sciocchezza, come una stupidaggine è l’idea che l’epidemia a cui stiamo assistendo sia quella dei non vaccinati. Chi non si è immunizzato si ammala di più e muore di più, ma dei 754.000 casi registrati in Italia da giugno al 5 dicembre, il 51% riguardava persone non vaccinate, mentre il 49% dei positivi aveva ricevuto almeno una dose. Nessuno di noi nega il Covid e nessuno di noi ritiene che i vaccini, per quanto imperfetti, non ci abbiano aiutato, ma insistere a raccontarci cose false del tipo che basti un Qr code a proteggerci non aiuterà a superare una pandemia. Di false certezze spacciate per oro colato ne abbiamo le tasche piene. E purtroppo anche le corsie.
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Se il certificato avesse funzionato, non servirebbero ancora restrizioni per chi, inoculato da più di 120 giorni, ha avuto contatti con un positivo. Crollano le false certezze sulla pandemia. Che non si supera con i Qr code.Che tra quarantene e tamponi il governo sia in totale confusione lo dimostra il caos di questi giorni, di cui gli italiani sono vittime, costretti in casa, anche senza sintomi, dopo essere entrati in contatto con un positivo o in fila per ore fuori dalle farmacie per sottoporsi a un test anti Covid per poter lavorare. Ma se ancora ci fosse chi nutre dubbi sulle disastrose strategie della combriccola guidata da Roberto Speranza, la prova più convincente è giunta ieri, con le nuove misure adottate dall’esecutivo di fronte a un’esplosione di contagi. Resisi conto di essere finiti in un vicolo cieco a causa dell’istituzione del green pass e di norme restrittive di discussa efficacia, ministri ed esperti sono stati costretti a fare retromarcia, adottando decisioni che di fatto contraddicono la linea del rigore, ma soprattutto sconfessano mesi di certezze pseudo scientifiche. In pratica, basta tamponi per tutti coloro che sono entrati in contatto con un contagiato, stop alle quarantene se si hanno avuti stretti rapporti con un positivo. A patto però di essere addetti a servizi essenziali e purché si sia vaccinati da meno di quattro mesi, con tripla o doppia dose. Speranza e compagni, ammettono cioè che il certificato verde non serve a nulla ed è una foglia di fico usata per spingere le persone a vaccinarsi, ma non certifica un bel niente, di certo non di essere immuni. Se infatti fosse ciò che ci hanno fatto credere, dicendoci che averlo ci avrebbe garantito di essere «tra persone che non sono contagiate e non si contagiano», oggi non sarebbe necessario introdurre norme che ammettono i rischi per chiunque sia stato nella stanza con un positivo, a prescindere dal passaporto vaccinale. Non solo. Se le cose stessero come ci erano state raccontate, ora non si dovrebbe restringere la possibilità di circolare a chi, dopo il contatto con un contagiato, sia immunizzato da più di quattro mesi. Ma come? Fino all’altroieri il green pass aveva validità di un anno, poi è stato ridotto a 9 mesi e da febbraio si restringerà a 6 mesi e adesso, senza fare un plissé, implicitamente ci dicono che se si è ricevuta l’iniezione anti Covid da più di quattro mesi ci si può contagiare e infettare le persone vicine. Non è finita: la misura più antiscientifica di cui si è parlato riguarderebbe l’esenzione per le persone impiegate nei servizi essenziali, per le quali non varrebbero le regole in vigore per il resto degli italiani. Si tratterebbe - se confermato - di una resa, di una bandiera bianca sventolata di fronte a una situazione sfuggita di mano. Altro che modello Italia. Per non bloccare il Paese, per evitare milioni di persone in quarantena anche se non contagiate e senza sintomi, per scongiurare code interminabili di persone in cerca di un tampone che non si trova, il governo alzerebbe le mani, riconoscendo il fallimento. Se si è impiegati in servizi ritenuti essenziali si può ignorare ciò che è richiesto alle persone comuni? Ma il Covid non colpisce tutti indistintamente? E che senso avrebbe poi porre un limite di quattro mesi, quasi che quello fosse l’argine che protegge dal virus? Conosco personalmente chi, pur essendosi vaccinato con tre dosi, dopo poco più di un mese si è ritrovato positivo. E allora perché adottare una misura che non ha nulla di scientifico? Il nostro Antonio Grizzuti si è preso la briga di calcolare quante persone vaccinate si siano contagiate negli ultimi sei mesi. Si tratta di dati ufficiali, ricavati dalle statistiche diffuse dall’Istituto superiore di sanità. Basta leggerlo per capire che il green pass come certezza di stare tra persone non contagiate e che non contagiano è una sciocchezza, come una stupidaggine è l’idea che l’epidemia a cui stiamo assistendo sia quella dei non vaccinati. Chi non si è immunizzato si ammala di più e muore di più, ma dei 754.000 casi registrati in Italia da giugno al 5 dicembre, il 51% riguardava persone non vaccinate, mentre il 49% dei positivi aveva ricevuto almeno una dose. Nessuno di noi nega il Covid e nessuno di noi ritiene che i vaccini, per quanto imperfetti, non ci abbiano aiutato, ma insistere a raccontarci cose false del tipo che basti un Qr code a proteggerci non aiuterà a superare una pandemia. Di false certezze spacciate per oro colato ne abbiamo le tasche piene. E purtroppo anche le corsie.
Giorgio Locatelli, Antonino Cannavacciuolo e Bruno Barbieri al photocall di MasterChef (Ansa)
Sono i fornelli sempre accesi, le prove sempre uguali, è l'alternarsi di casi umani e talenti ai Casting, l'ansia palpabile di chi, davanti alla triade stellata, non riesce più a proferire parola.
Sono le Mistery Box, i Pressure Test, la Caporetto di Iginio Massari, con i suoi tecnicismi di pasticceria. Sono, ancora, i grembiuli sporchi, le urla, le esterne e i livori fra brigate, la prosopopea di chi crede di meritare la vittoria a rendere MasterChef un appuntamento imperdibile. Tradizionale, per il modo silenzioso che ha di insinuarsi tra l'Immacolata e il Natale, addobbando i salotti come dovrebbe fare l'albero.
MasterChef è fra i pochissimi programmi televisivi cui il tempo non ha tolto, ma dato forza. E il merito, più che dei giudici, bravissimi - loro pure - a rendere vivo lo spettacolo, è della compagine autoriale. Gli autori sono il vanto dello show, perfetti nel bilanciare fra loro gli elementi della narrazione televisiva, come comanderebbe l'algoritmo di Boris. La retorica, che pur c'è, con l'attenzione alla sostenibilità e alla rappresentazione di tutte le minoranze, non ha fagocitato l'impianto scenico. L'imperativo di portare a casa la doggy bag sfuma, perché a prevalere è l'esito delle prove. Il battagliarsi di concorrenti scelti con precisione magistrale e perfetto cerchiobottismo. Ci sono, gli antipatici, quelli messi lì perché devono, perché il politicamente corretto lo impone. Ma, tutto sommato, si perdono, perché accanto hanno chi merita e chi, invece, riesce con la propria goffaggine a strappare una risata sincera. E, intanto, le puntate vanno, queste chiedendo più attenzione alla tradizione, indispensabile per una solida innovazione. Vanno, e poco importa somiglino alle passate. Sono nuovi i concorrenti, nuove le loro alleanze. Pare sempre sincero il divertimento di chi è chiamato a giudicarle, come sincero è il piacere di vedere altri affannarsi in un gesto che, per ciascuno di noi, è vitale e quotidiano, quello del cucinare.
Bene, male, pazienza. L'importante, come ci ha insegnato MasterChef, è farlo con amore e rispetto. E, pure, con un pizzico di arroganza in più, quella dovuta al fatto che la consuetudine televisiva ci abbia reso più istruiti, più pronti, più giudici anche noi del piatto altrui.
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Ecco #DimmiLaVerità del 12 dicembre 2025. Il nostro Alessandro Da Rold ci rivela gli ultimi sviluppi dell'inchiesta sull'urbanistica di Milano e i papabili per il dopo Sala.