Giorgia Meloni (Ansa)
Freddezza a Palazzo Chigi sulle mosse di Parigi. Tajani: «Per noi aiutare Kiev e fare la guerra sono sempre state cose diverse». Il premier: «Difendersi non è bellicismo».
Le fughe in avanti di Emmanuel Macron non meravigliano più nessuno: da Palazzo Chigi non filtra alcuna reazione rispetto all’iniziativa del presidente francese, che, in solitaria, ha aperto al dialogo con il presidente russo, Vladimir Putin, disponibilità ricambiata dal Cremlino.
La posizione ufficiale del governo italiano rispetto a questa novità è espressa dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani, e dalle sue parole traspare una certa freddezza: «Va certamente bene», dice Tajani al Qn, «riaprire un canale di comunicazione, ma il canale deve essere europeo: non può essere di un solo Paese. La cosa rilevante è che Putin torni a parlare con l’intera Europa. Dobbiamo lavorare tutti per la pace, che è l’obiettivo primario», aggiunge Tajani, «in questo senso, per capirci, la premessa è che noi non siamo mai stati in questi anni in guerra con la Russia. L’Italia è sempre stato il Paese che ha distinto in maniera netta tra gli aiuti all’Ucraina, per impedire che l’Ucraina venisse sconfitta, e la guerra con la Russia. Noi abbiamo solo aiutato l’Ucraina a difendersi, che è un’altra cosa rispetto a fare la guerra alla Russia. Noi abbiamo sempre sostenuto anche gli sforzi americani. E, dunque, ogni iniziativa che porti alla pace deve essere vista in maniera molto positiva: sempre con le garanzie di sicurezza per l’Ucraina, con una sorta di articolo 5-bis sul modello Nato, a partecipazione anche Usa. A questo punto», osserva Tajani, «tocca alla Russia decidere se vuole sedersi al tavolo e affrontare anche con gli europei la trattativa, perché l’Europa non può non essere protagonista di una trattativa di pace tanto più che dal cessate il fuoco e dalla pace dipendono le sanzioni e la nostra sicurezza».
Parole pesate col bilancino, con un passaggio, quello sull’Italia «mai stata in guerra con la Russia» dal quale fa capolino una sorta di rivendicazione di un atteggiamento sempre prudente, proprio ora che Macron accelera sul percorso negoziale dopo essere stato per anni tra i «falchi» europei anti Russia, mentre l’Italia si è spesso trovata, in realtà più che altro per alcune dichiarazioni della Lega e per la vicinanza della Meloni a Donald Trump, accusata di eccessiva morbidezza nei confronti di Putin. Ora invece Macron sorpassa tutti sull’autostrada per Mosca, provocando un disallineamento in Europa, se non un vero e proprio imbarazzo, tanto che ieri i portavoce della Commissione hanno evitato di rispondere a tutte le domande sull’iniziativa dell’Eliseo.
Guerra e pace sono anche al centro del messaggio che ieri il premier Meloni ha rivolto alle missioni militari italiane all’estero per gli auguri di fine anno in collegamento dal Comando operativo vertice interforze: «La pace, chiaramente, è un bene prezioso», sottolinea Giorgia Meloni, «quando la si possiede. ed è un bene da ricercare con ogni sforzo quando la si perde. Però questo lo comprende più di chiunque altro chi conosce la guerra ed è preparato a fronteggiarla. Per questo io non ho mai accettato la narrazione, diciamo così, di chi contrappone l’idea del pacifismo alle forze armate. Alla fine del quarto secolo dopo Cristo», ricorda la Meloni, «Publio Flavio Vegezio Renato scrive: “qui desiderat pacem, praeparet bellum”. Diventa poi il più famoso “si vis pacem para bellum”, cioè chi vuole la pace prepari la guerra. Il punto è che il suo non è, come molti pensano, un messaggio bellicista, tutt’altro. È un messaggio pragmatico. Il senso è che solo una forza militare credibile allontana la guerra perché la pace non arriva spontaneamente, la pace è soprattutto un equilibrio di potenze: la debolezza invita l’aggressore, la forza allontana l’aggressore. L’etimologia della parola deterrenza arriva dal latino e significa de, cioè via da, e terrere, cioè incutere timore. Il senso della parola deterrenza è incutere timore al punto da distogliere. È la forza degli eserciti, è la loro credibilità lo strumento più efficace per combattere le guerra. Il dialogo, la diplomazia, le buone intenzioni, certo, servono, ma devono poggiare su basi solide. Quelle basi solide le costruite voi con il vostro sacrificio, con la vostra competenza, con la vostra professionalità, con il vostro coraggio».
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Emmanuel Macron (Ansa)
Dopo mesi di sfottò e accuse a Trump e Orbán, il presidente francese rompe l’asse dei volenterosi e capisce alla buon’ora che con lo zar bisogna dialogare. Stavolta però Berlino e Bruxelles non lanciano scomuniche.
Contrordine! Adesso dialogare con Vladimir Putin non è più un sacrilegio. L’apertura di Emmanuel Macron ad avere contatti diretti con lo zar non ha infatti innescato il putiferio politico-mediatico puntualmente esploso ogni volta che un leader internazionale ha auspicato o avviato un tentativo diplomatico col Cremlino.
Donald Trump è stato criticato per aver ricevuto lo zar in Alaska ad agosto: da più parti, il presidente americano è stato accusato di aver fatto il gioco di Putin o di avergli regalato un immeritato prestigio diplomatico. Per non parlare poi di Viktor Orbán! Quando a novembre il premier ungherese incontrò lo zar a Mosca, finì bersagliato dagli strali di Friedrich Merz, che lo tacciò di agire senza alcun mandato europeo. Eppure con Macron, sia da Bruxelles che da Berlino, sono arrivati commenti soft. «Restiamo in coordinamento in termini di contatti bilaterali per raggiungere una pace sostenibile in Ucraina e accogliamo con favore gli sforzi di pace», ha dichiarato un portavoce dell’Ue, parlando dell’eventualità di una telefonata tra il presidente francese e Putin. «Non abbiamo alcuna preoccupazione che l’unità europea sulla guerra possa incrinarsi. Non c’è alcun dubbio sulla nostra posizione comune», ha inoltre affermato il governo tedesco, riferendosi alle aperture di Macron allo zar, per poi sottolineare (non senza un po’ di freddezza) che Berlino «ha preso atto dei segnali di disponibilità al dialogo».
Ora, è forse possibile formulare alcune considerazioni. La prima è che la diplomazia è un concetto differente dall’appeasement. Il problema è che alcuni settori politici e mediatici hanno finito indebitamente col sovrapporli. Trump, per esempio, ha, sì, ripreso il dialogo con Mosca. Ma lo ha anche alternato a forme di pressione (si pensi soltanto alle sanzioni americane contro Lukoil e Rosneft). Questo dimostra che si può dialogare senza essere necessariamente arrendevoli. D’altronde, se si chiudono aprioristicamente tutti i canali di comunicazione con l’avversario o con il potenziale avversario, si pongono le basi affinché una crisi sia essenzialmente irrisolvibile. Andrebbe inoltre ricordato che, secondo lo storico John Patrick Diggins, anche Ronald Reagan fu criticato dai neoconservatori per il suo dialogo con Mikhail Gorbachev.
Tutto questo per dire che, se Bruxelles non ha quasi toccato palla sulla crisi ucraina per quattro anni, è per due ragioni. Una strutturale: l’Ue non è un soggetto geopolitico. Un’altra più contingente: rinunciando pressoché totalmente all’opzione diplomatica, Bruxelles ha perso margine di manovra, raffreddando anche i rapporti con ampie parti del Sud globale. Paesi come l’India o l’Arabia Saudita hanno infatti sempre rifiutato di mollare Mosca, al netto della sua invasione dell’Ucraina. La strategia dell’isolamento perseguita dall’Ue ha quindi soltanto spinto sempre più il Cremlino tra le braccia della Cina e di vari Paesi del Sud globale.
La seconda considerazione da fare riguarda invece Macron. Dobbiamo veramente pensare che il presidente francese sia improvvisamente diventato uno stratega della diplomazia? Probabilmente no. Da quando la crisi ucraina è cominciata, il capo dell’Eliseo ha fatto tutto e il contrario di tutto. All’inizio, voleva tenere i contatti col Cremlino e diceva che Putin non doveva essere umiliato. Poi, dall’anno scorso, si è improvvisamente riscoperto falco antirusso. Addirittura, a maggio 2024, l’amministrazione Biden prese le distanze dalla proposta francese di inviare addestratori militari in Ucraina. Ciò non impedì comunque a Macron di essere, sempre a maggio 2024, uno dei pochi leader europei a mandare un ambasciatore alla cerimonia d’insediamento di Putin. Non solo. A marzo, il presidente francese quasi derise gli sforzi diplomatici di Trump in Ucraina, mentre, poche settimane fa, ha cercato di avviare un processo diplomatico parallelo a quello della Casa Bianca, tentando di convincere Xi Jinping a raffrenare lo zar. Tutto questo fino a venerdì, quando il capo dell’Eliseo ha aperto alla possibilità di parlare con Putin.
Macron sa di essere finito all’angolo. E sa perfettamente che gli interessi geopolitici alla base del riavvicinamento tra Washington e Mosca sono troppo forti per essere ostacolati. Sta quindi cercando di rientrare in partita. Non solo. Il leader francese sembra sempre più insofferente verso Berlino. Prima ha rotto con Merz sulla questione degli asset russi. Poi, con la sua svolta dialogante, ha de facto sconfessato la linea dura del cancelliere, che ha dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Nel frattempo, non si registrano commenti significativi da parte del Regno Unito, che potrebbe temere un disallineamento di Parigi dall’asse dei volenterosi. Il punto è che il presidente francese gioca una partita molto «personale». Pertanto, anziché affidarsi a lui, Bruxelles, per contare finalmente qualcosa, dovrebbe forse coordinarsi maggiormente con Trump, sostenendo il suo processo diplomatico e rafforzando le relazioni transatlantiche. Esattamente quanto propone da mesi il governo italiano.
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Polizia (iStock)
La donna, malata di cancro, stava prelevando a un bancomat a Bologna, quando è stata aggredita da un marocchino: le ha afferrato i polsi e portato via i contanti. L’uomo è stato poi arrestato mentre stava acquistando una dose di droga.
Ha afferrato un’anziana donna ai polsi e poi le ha rubato i soldi che la vittima aveva appena prelevato allo sportello del bancomat. La squadra mobile della questura di Bologna ha arrestato un ventisettenne marocchino che, lo scorso 19 novembre, ha rapinato una malata oncologica di 73 anni. L’aggressione è avvenuta in via Cairoli, a Bologna, e, dopo alcune settimane di indagini, le forze dell’ordine sono riuscite a individuare il presunto responsabile e identificarlo. Nei confronti del giovane marocchino, che è risultato irregolare in Italia, è stata disposta la misura cautelare della custodia in carcere. Le indagini hanno consentito di ricostruire quanto accaduto ai danni di una donna «anziana e malata oncologica».
Dopo aver prelevato i soldi allo sportello del bancomat, la donna «era stata avvicinata da un uomo che, dopo averle afferrato i polsi, si era impossessato della somma appena prelevata pari a 150 euro». La vittima, che ancora presentava segni sui polsi, «ha chiesto aiuto in un esercizio commerciale» e poi, ancora in preda allo choc, ha denunciato l’aggressione alla polizia. Da quel momento sono state avviate le indagini delle forze dell’ordine.
Gli investigatori, sin da subito, si sono concentrati sulle immagini delle telecamere di videosorveglianza presenti nella zona e le indagini «hanno avuto una svolta quando, durante un servizio in Bolognina», i poliziotti «hanno assistito a uno scambio di una dose di crack» e hanno notato che «l’acquirente, opportunamente controllato, presentava somiglianze significative con l’autore della rapina». I riscontri all’attività investigativa hanno consentito di accertare che si trattava proprio del ventisettenne marocchino che è, quindi, stato fotosegnalato. Dalle succ essive verifiche sono emersi «gravi e concordanti indizi» a carico del marocchino che coincideva con il giovane che aveva aggredito e rapinato l’anziana lo scorso 19 novembre. Gli inquirenti hanno valutato, poi, la situazione dell’arrestato e, considerate «l’assenza di attività lavorativa e la conclamata dipendenza dal crack, è stato ritenuto sussistente un grave rischio di reiterazione di reato, contenibile unicamente con la misura della custodia in carcere». Dopo che è stata resa nota la notizia dell’arresto del giovane marocchino, ha iniziato a diventare virale sul Web e sui social un video che riprende alcuni momenti della rapina in cui si vede l’anziana donna difendersi dal rapinatore che la strattona per rubarle i soldi appena prelevati. Quanto accaduto a Bologna ha riacceso, nuovamente, i riflettori sul problema sicurezza anche alla luce dell’aumento dei casi di violenze e aggressioni che vedono, sempre più, vittime tra giovani, donne e anziani e tra i «responsabili» cittadini stranieri molti dei quali irregolari sul territorio nazionale.
Il 2025 si conclude con un elevato numero di violenze, aggressioni e rapine. Solo alcune settimane fa, una ragazza di appena 23 anni è stata immobilizzata e violentata a Roma all’uscita della metro B Jonio. Nel cuore della notte del 7 dicembre, la giovane è stata aggredita da tre extracomunitari: due di loro l’hanno bloccata, mentre il terzo ha abusato di lei. I tre, poi, si sono dileguati a piedi tra le vie del quartiere che a quell’ora erano deserte. La ragazza ha iniziato a urlare dalla disperazione ed è riuscita poi a raggiungere il pronto soccorso dell’ospedale Pertini. Ma a fine novembre, la Capitale era sprofondata nell’angoscia dopo lo stupro di una ragazza di appena 18 anni avvenuto nel parco di Tor Tre Teste. Un «branco formato da almeno cinque cittadini stranieri» avrebbe violentato la giovane davanti agli occhi terrorizzati del suo fidanzato. Tre di loro sono sono stati arrestati dalle forze dell’ordine. I due giovani erano nella loro auto quando il gruppo si è avvicinato e ha sfondato il finestrino della vettura. La loro intenzione, hanno raccontato i tre arrestati agli inquirenti dopo il fermo, era «solo quella di rubare il cellulare». Ma la vittima della violenza sessuale e il suo fidanzato hanno ricostruito una scena ancora più raccapricciante: la giovane è stata afferrata dal braccio e portata fuori dal veicolo: «Devi venire con noi», le avrebbero urlato gli stranieri. Uno di loro ha abusato di lei. Mentre il suo fidanzato, un giovane di 24 anni, è stato immobilizzato e costretto a rimanere inerme mentre uno del «branco» abusava della sua fidanzatina.
Per non parlare delle aggressioni che si sono ventificate a Milano e nell’hinterland. Un giovane di 22 anni è stato aggredito lo scorso 12 ottobre in zona corso Como, a due passi dalla movida milanese, e ha riportato danni permanenti a una gamba per le coltellate ricevute. Le immagini delle telecamere di videosorveglianza hanno consentito di individuare i presunti responsabili di quel massacro, due diciottenni (uno di Monza e un egiziano) e tre diciassettenni (tutti lombardi): dal video si vede una gang di «ragazzini» massacrare il giovane con calci e pugni per rubargli 50 euro. L’elenco di aggressioni e rapine sembra «stridere» con le classifiche che vedono alcune di queste città ai primi posti per qualità della vita.
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Alla F. Hamad Abdelkarim (Ansa)
Il legale: «Nuova istanza di revisione». Tra gli altri quattro c’è Franco Cioni, l’anziano che uccise la moglie malata terminale.
Concedere la grazia ad alcuni detenuti in prossimità delle festività natalizie è da sempre un gesto di clemenza simbolico molto forte, tradizionalmente riservato a vicende giudiziarie con risvolti umani delicati. Ma tra i cinque provvedimenti di clemenza firmati ieri dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, con il parere favorevole del ministro della Giustizia, Carlo Nordio, c’è n’è uno destinato a far discutere. È quello nei confronti di Alla F. Hamad Abdelkarim, già calciatore della Serie A libica giunto in Italia su un barcone, condannato alla pena complessiva di 30 anni di reclusione per delitti di concorso in omicidio plurimo, violazione delle norme sull’immigrazione per fatti avvenuti nel 2015.
Nato in Libia 30 anni fa, nel 2017 la giustizia italiana lo ritenne, insieme a quattro complici, uno degli scafisti di un barcone che, nella notte di Ferragosto di dieci anni fa, venne soccorso dalla Marina italiana al largo di Lampedusa e nella cui stiva vennero trovati i corpi di 49 persone, morte asfissiate durante la traversata. Le cronache dell’epoca raccontavano dettagli agghiaccianti. L’inchiesta della Procura distrettuale di Catania aveva infatti collegato il decesso dei 49 uomini con l’assenza di aria all’interno dell’angusta stiva del peschereccio. Secondo l’accusa, gli otto avrebbero «colpito con calci, pugni e l’utilizzo di cinghie ferrate» i migranti nella stiva, «bloccando con i loro corpi i boccaporti che avrebbero consentito il passaggio al ponte superiore» dei viaggiatori, «causando così la morte per mancanza di ossigeno» delle 49 vittime.
«Nel concedere la grazia parziale, che ha estinto una parte della pena detentiva ancora da espiare», fa sapere il Quirinale, «il capo dello Stato ha tenuto conto del parere favorevole del ministro della Giustizia, della giovane età del condannato al momento del fatto, della circostanza che nel lungo periodo di detenzione di oltre dieci anni, sinora espiata dall’agosto del 2015, lo stesso ha dato ampia prova di un proficuo percorso di recupero avviato in carcere, come riconosciuto dal magistrato di sorveglianza, nonché del contesto particolarmente complesso e drammatico in cui si è verificato il reato. Ciò è stato evidenziato anche dai giudici della Corte d’Appello di Messina i quali, nel rigettare l’istanza di revisione per ragioni processuali, hanno sottolineato che per «ridurre lo scarto indubbiamente esistente tra il diritto e la pena legalmente applicata e la dimensione morale della effettiva colpevolezza», si può fare ricorso solo all’istituto della grazia che consente di ridurre o commutare una parte della pena». Clemenza che è prontamente arrivata, forse anche sull’onda delle pressioni mediatiche arrivate attraverso una campagna stampa caratterizzata da un violento attacco ai testimoni del legale del giovane libico, Cinzia Pecoraro, che ieri si è detta «felicissima» («Al mio cliente restano 6-7 anni, ora prepariamo nuova istanza di revisione»): «Due testimoni sui nove sentiti, selezionati non si sa con quale criterio, hanno dichiarato che Alla si occupava di distribuire l’acqua e mantenere l’ordine sul barcone». Poi l’affondo, dai toni a dir poco singolari, che in altre circostanze avrebbero fatto inorridire le femministe: «Si tratta di testimonianze rese subito dopo lo sbarco da parte di donne sotto choc e allo stremo delle capacità fisiche e psichiche, che avevano perso familiari nel tragitto e non dormivano, mangiavano e bevevano da giorni». Una campagna mediatica arrivata anche su Rai 3, che nel gennaio di quest’anno, all’interno del programma Il fattore umano aveva dedicato un servizio alla storia di Abdelkarim, con tanto di intervista al giovane tunisino, che dopo che si trovava recluso nel carcere dell’Ucciardone di Palermo.
Meno clamorosi gli altri provvedimenti di clemenza, tra cui quello a favore di Franco Cioni, l’anziano che il 14 aprile 2021 a Vignola (Modena) uccise la moglie malata terminale e fu condannato a sei anni e due mesi.
Gli altri tre beneficiari della grazia di Mattarella sono Zeneli Bardhyl, nato nel 1962, condannato alla pena di un anno e mezzo per il delitto di evasione dagli arresti domiciliari; Alessandro Ciappei, nato nel 1974, condannato alla pena di dieci mesi di reclusione per il delitto di truffa, commesso nel 2014; Gabriele Spezzuti, nato nel 1968, condannato alla pena detentiva della reclusione, espiata fino al 2014, e alla pena pecuniaria di 90.000 euro di multa per delitti in materia di sostanze stupefacenti, commessi nel 2005. L’atto di clemenza riguarda solo la pena pecuniaria residua da eseguire (80.000 euro di multa).
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